IT IS WRITTEN

"... del lungo, lungo viaggio per giungere al mattino,
attraverso gli arabeschi disegnati dal destino"
(Tiziano Sclavi)

Il destino è l'inevitabile. Credere al destino significa credere che è scritto. Ci sono situazioni già decise, eventi segnati, immodificabili, qualunque cosa tu possa o voglia fare, o anche solo immaginare. Non puoi opporti al destino, non puoi spingere il vento, non puoi evitare l'inevitabile.

Il destino evoca entità metafisiche, angeli o demoni inaccessibili ai nostri sensi, e pur presenti, che gli conferiscono una dimensione soprannaturale, lo trasformarlo nel Destino. Perché se è scritto, allora qualcuno dovrà pur averlo scritto. Siamo dentro un libro, il Gran Libro del Destino, personaggi alternativamente di favole e avventure, romanzi e tragedie, farse e sceneggiate, ma invariabilmente creati e governati dallo scrittore, sempre lo stesso, il Destino, che non vediamo, non possiamo percepire, perché fuori dal libro, in cui ci ha imprigionato. E' scritto, non puoi cambiarlo, e però il Destino, questo dio pagano, dà un soffio vitale ai suoi personaggi, li illude di esser liberi di tracciare idee, trame e narrazioni, dentro il libro, quando invece è già tutto scritto, fuori dal libro.

Nessuno può credere al Destino, pensare realmente che qualcosa, qualunque cosa, sia già scritta, per quel minimo d'istruzione ricevuta, per quel poco di capacità di ragionamento che abbia preservato. Il Destino si contrappone all'intenzione, alla libera scelta, alla decisione responsabile. Perché mai sognare e progettare, tentare e riprovare, se l'esito è scritto? Perché sperare e agitarsi, gioire e soffrire, se è già scritto? Tanto vale rimanere inerti e passivi, ascetici, in attesa che il destino si compia, ché si compirà comunque, qualunque cosa si decida di fare o non fare. Perché, anzi, non usare il soffio vitale del Destino, quella perfida illusione di libertà, per sfidare il Destino stesso? Mettiamolo alla prova, il Destino, per vedere se, come e quando riuscirà a realizzare i suoi progetti, senza la nostra collaborazione, con l'intralcio del nostro rifiuto a interpretare la parte che ci aveva assegnato, illudendoci di esser stati noi a sceglierla. Se davvero è scritto, allora ritagliamoci il ruolo di semplici spettatori, attendiamo inoperosi l'arrivo della pagina in cui è scritto, aspettiamo serenamente che accada ciò che deve accadere. Nessuno può razionalmente credere al Destino o vedervi qualcosa in più di una primitiva superstizione.

"Sono abbastanza colto da non essere superstizioso, ma lo sono", scrive Dostoevskij nelle sue "Memorie dal sottosuolo". Abbiamo studiato e concluso con successo i nostri percorsi di formazione scolastica, universitaria e specialistica. Abbiamo continuato a studiare anche dopo, per dovere e per piacere, per le esigenze della professione e il gusto della cultura. Siamo abbastanza colti e raffinati da non credere al Destino, ma... ci crediamo lo stesso.

"Non era destino...", sospiriamo affranti, a braccia larghe, in segno di resa, quando gli eventi non hanno assecondato i nostri desideri, per quanto impegno abbiamo messo per realizzarli. "Era destino!", esclamiamo stupefatti, con gli occhi sgranati per la meraviglia, quando i fatti si sono disposti nella più improbabile delle sequenze, per culminare nel più insperato e felice degli esiti.

Siamo abbastanza colti da non credere al Destino, per ridere e sorridere di tutto ciò che è scritto, eppure...

FATO E DESTINO - Tra mito e contemporaneità.
Esposizione di dipinti, sculture, disegni, grafiche e mosaici, sul tema del fato e del destino,
dall'8 settembre 2018 al 6 gennaio 2019, al Palazzo Ducale di Mantova.

Un Grande Collezionista incontrò un Grande Mercante, nell'immediato dopoguerra. Era destino? Era scritto? Mah! Tutti i Grandi Collezionisti transitavano per quel Grande Mercante, all'epoca, e non serve appellarsi al soprannaturale per spiegare quell'incrocio di vite. Il Grande Collezionista entrò in perfetta sintonia col Grande Mercante, ne diventò uno spirito affine, e il Grande Mercante lo ripagò indirizzandogli tutto ciò che di più bello gli passava tra le mani, e che non tratteneva per sé, giacché il Grande Mercante era egli stesso, prima di tutto, un Grande Collezionista. La collezione cresceva anno dopo anno, gemma dopo gemma, diventando sempre più imponente e pregiata. Dopo oltre quarant'anni non era più una collezione. Era la reificazione di un sogno.

Poi quel sogno svanì, perché la sua fine era scritta, perché il destino di ogni collezione essere dispersa.

Sabato 2 marzo 1991, nei saloni della Bolaffi di Torino, quel sogno apparve per l'ultima volta in tutta la sua maestosità. La "Collezione Pedemonte" di Ercole Lanfranchi, il Grande Collezionista, servito da Giulio Bolaffi, il Grande Mercante, cadde per l'ultima volta sotto gli occhi di una moltitudine di appassionati, collezionisti e commercianti, che ne avrebbero segnato la fine, portandosene via ognuno un pezzo, in proporzione alle rispettive forze.

Il catalogo d'asta della Collezione "Pedemonte".
Torino, 2 marzo 1991.

Quel sabato, quel 2 marzo del 1991, due aquile furono separate. Chissà quando si erano incontrate, chissà per quanto tempo erano rimaste assieme. Erano lì quel giorno, appaiate a pagina 56 del catalogo d'asta, schedate con i numeri "189" e "190", per l'ultima volta una accanto all'altra, come erano state sin dal loro primo incontro, e come furono ancora tenute assieme nelle pagine finali, a colori, destinate alle eccellenze.






Due aquile furono separate, quel sabato del 2 marzo 1991, e quel giorno la sala espresse una netta preferenza per la "190", come aveva già fatto il banditore, nel fissare le basi d'asta.


                       

Chissà perché, vista la coincidenza di valore monetario, secondo la bruta metrica delle quotazioni dei cataloghi di allora. Forse l'angolo di foglio fu giudicato più naturale, più realistico e armonioso, di un pezzo talmente grosso da apparire inverosimile, sebbene fosse proprio nato così. Forse si pensò alla maggiore, obiettiva rarità dell'angolo di foglio, rispetto all'ampiezza dei margini, perché di angoli di foglio ce ne sono pochi per costruzione. Forse qualche pioniere delle idee scorse un annullo del periodo della Seconda Guerra d'Indipendenza, che un giorno avrebbe potuto conferire maggior pregio alla lettera. O forse, chissà, era destino che andasse così, semplicemente era scritto.

Due aquile furono separate, il 2 marzo del 1991, a Torino, nelle sale della Bolaffi, perché ogni collezione soggiace allo stesso inflessibile destino: essere dispersa.

"Il Fato", di Matteo Filiddani.
Il Fato è una figura a bocca bendata,
per simboleggiare un destino neutrale, che non si intromette nelle nostre vite.
La rosa - fragile, ma pungente - raffigura l'essere umano,
 tenuto in mano dal destino a cui è legato, pur restando libero di muoversi a suo piacimento. 
Il fumo è il simbolo di tutto ciò che attraversa i nostri pensieri,
e fuoriuscendo dalla rosa si concretizza in un serpente, che raffigura la realizzazione dei sogni.

Che cosa è una collezione? E' un mondo dentro il mondo. Il collezionista sceglie i suoi oggetti, li salva dalla dispersione, dall'oblio, per conferirgli un'anima e assegnarli un ruolo nel suo mondo, il mondo che lui ha creato, il mondo della collezione. Una collezione è un mondo nel mondo, di oggetti dentro un album, e il collezionista ne è l'artefice, fuori dall'album, che ne decide incontri e disposizioni, sequenze e trame, per legare tra loro i protagonisti di questo mondo nel mondo. Il collezionista è il Destino della collezione.

Migliaia di collezionisti vengono a questo mondo, ognuno per creare il proprio mondo, con i talenti ricevuti dalla sorte. C'è chi ha denaro, stile e arte, e sono i più grandi, chiamati dal Destino a scrivere la storia. C'è chi non ha denaro, però possiede stile e arte, e lascerà un segno, sarà destinato a esser ricordato. C'è chi ha solo lo stile, e potrà ancora tratteggiare un mondo piacevole, se il Destino gli sarà compiacente. C'è chi vuol esercitare l'arte, senza aver prima affinato lo stile, destinato a disastri tanto più grandi quanto più denaro possiede. C'è chi ha solo il denaro, e sono i maledetti dal Destino, che combineranno catastrofi superiori a quelle di chi dal Destino non ha avuto né denaro né stile né arte.

Migliaia di collezionisti vengono a questo mondo, per creare il loro mondo, perché - con le parole di Arring Cajumi - "non sappiamo perché, e che mai siamo venuti a fare quaggiù: quindi, cerchiamo di passare il tempo nel modo più consono ai nostri gusti" e possiamo solo "applaudire chi, nato per fare il collezionista di francobolli, non ha che questo scopo nella vita", perché siamo di fronte a chi "ha raggiunto la vera felicità".

Migliaia di collezionisti sono a questo mondo, nelle vesti del Destino del loro mondo, per interpretare il Destino del mondo della collezione.

Migliaia di collezioni sono a questo mondo e uno di loro riunì un giorno le due aquile separate quel giorno, quel sabato 2 marzo 1991, a Torino, nelle sale della Bolaffi.

Come c'è riuscito?


Ha barato? Può darsi. Forse non c'è mai riuscito e si diverte solo a farlo credere, mostrando sul web immagini fittizie, create ad arte al computer. Forse è solo un pazzoide, uno dei tanti matti in questo mondo di creatori di mondi, destinato ad attrarre una quota di mitomani più alta di quella che gli spetta (il collezionismo rende folli o sono i folli a esser attratti dal collezionismo?).

E' stato fortunato? Può darsi. Forse si è solo trovato nel posto giusto, al momento giusto, con le persone giuste e le giuste disponibilità economiche. Tutto qui. Una fortuita concomitanza di eventi, che poteva verificarsi o non verificarsi, e che per puro caso si è verificata, permettendo la ricomposizione della coppia di aquile, senza alcun merito reale da parte di chi ora le possiede.

E' un genio? Può darsi. Forse è un personaggio ben introdotto nell'ambiente filatelico, che sta nei gangli del sistema, costantemente informato su "chi possiede cosa", sugli album in cui riposano i pezzi più pregiati, e persino su quale sia il momento più opportuno per sferrare l'attacco, per trovare una controparte psicologicamente preparata a vendere, purché stimolata con le giuste argomentazioni, non solo economiche.

Un millantatore, un colpo di fortuna o di genio, sono tutte ipotesi plausibili. Può darsi sia andata secondo una di queste ricostruzioni, e scegliete pure voi quale, se una soltanto o più d'una, in vario modo miscelate.

O forse, chissà, le cose sono a un tempo più semplici e più complesse, soffuse di un impenetrabile mistero. Forse le due aquile sono semplicemente nate per stare insieme, e il loro destino è andare accoppiate. Possiamo separarle, tenerle lontane, anche per lunghi periodi, ma ogni volta il Destino si rimetterà all'opera, per ricongiungerle. Il collezionista è il Destino della collezione, ma il collezionista soggiace a un Destino più grande. "Il collezionista si muove in una zona sospesa tra il visibile e l'invisibile, dal momento che la collezione è qualcosa che vive di vita propria, entità mossa da forze oscure e inconoscibili", con le belle parole di Marco Belpoliti.

Le due aquile sono tornate insieme semplicemente perché...


"E ci saranno altri arabeschi del destino,
nel lungo, lungo viaggio per giungere al mattino,
e di nuovo giocheranno l'illusione e la realtà"

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