TOSCANA - Plattare o non plattare?


"Nuova luce ai francobolli di Toscana"

Una "nuova luce" è stata gettata sui francobolli di Toscana, per riprendere la chiosa di Roberto Monticini ai lavori di Emilio Calcagno e Tiziano Nocentini (sul plattaggio dei "Marzocchi" e più di recente sulle varietà dell'emissione del Governo Provvisorio).
 
Parliamo di un corpo di studi in espansione, con un significato che oltrepassa i pur rilevanti contenuti tecnici, e chiama tutti noi - collezionisti, studiosi e persino operatori di mercato - al momento della verità.
 
Si ripete ossessivamente - e il più delle volte solo per darsi un tono - che la filatelia è "studio, conoscenza e ricerca"; ma poi - all'atto pratico - il cosiddetto "studio" non ha nulla di metodico, la "conoscenza" è celata per farne una rendita di posizione, e la presunta "ricerca" si risolve in scoperte casuali, senza alcuna prospettiva interessante.
 
Ora - con i lavori di Calcagno e Nocentini - abbiamo finalmente un'agenda filatelica, intravediamo un mondo da esplorare, e se gli sviluppi manterranno la qualità delle premesse, se si troverà il modo di razionalizzare e sistematizzare i singoli contributi in uno schema unitario, ne potrebbe venir fuori un'opera destinata a segnare la storia della filatelia (toscana) come avvenuto con lo studio di De Angelis-Pecchi sulle "Cento Croci" (per la filatelia napoletana).
 
Curioso, quindi, che almeno all'inizio, almeno in Italia, tutto ciò sia rimasto in sordina, o abbia al più raccolto dei tiepidi complimenti formali. Curioso che collezionisti, associazioni e cultori della materia non abbiano voluto subito saperne di più, offrire il loro contributo e se del caso criticare, preferendo ripiegare ora sull'indifferenza (tanto più inspiegabile quanto più si andava avanti) ora sulla riproposizione meccanica di nozioni stereotipate (senza nessuna conoscenza per diretto contatto con gli oggetti di studio).

Ecco allora che "plattare" o "non plattare" (i "Marzocchi") è un dilemma che va oltre la disputa tecnica; diventa una scelta di campo, una dichiarazione di appartenenza; si tratta di decidere se assecondare ancora una tradizione che mostra la corda, che si auto-perpetua con appelli al principio di autorità - a volte per pigrizia, più spesso a difesa di benefici privati - oppure far posto a una classe di collezionisti e studiosi più onesta e trasparente, intellettualmente evoluta, libera da interessi materiali - segnatamente economici - per dare "nuova luce" non solo ai francobolli toscani, ma all'intero mondo della filatelia.
 

Lieve genesi dell'idea (e possibili sviluppi)

Dopo un periodo di incubazione - un effetto spiazzamento indotto dalla novità - il lavoro di Calcagno e Nocentini "è stato molto apprezzato sia a livello nazionale che internazionale", come ricorda uno dei due studiosi. "Le nostre osservazioni hanno confermato fatti già scritti, già pubblicati, ma hanno anche mostrato molto di non ancora descritto, e ora portato all'attenzione del pubblico".
 
Persino l'aristocratica ASPoT - l'Associazione per lo Studio della Storia Postale Toscana, per tradizione refrattaria ad ascoltare voci esterne - ha riconosciuto la qualità dei contributi, "approfonditi [...] oltre che innovativi", e perciò meritori di diffusione, anche se maturati "fuori dalla nostra Associazione".
  
Ma da dove nasce l'idea (rivoluzionaria) di plattare i "Marzocchi"? Cosa ha offerto lo spunto a un'attività sinora giudicata impossibile? Qual è la stata la sorgente da cui è sgorgato uno dei filoni di ricerca più promettenti dell'ultimo decennio?

Tutto proviene dalla costruzione naturale di ogni filatelico - la collezione - e precisamente da "I Cinquecento Leoni di Toscana" di Tiziano Nocentini, un progetto concepito nel filone tradizionale, "con l'intento di raccontare tecnicamente la filatelia di Toscana, toccando ogni suo aspetto, dalle tariffe, agli annulli, le varietà, i colori e le filigrane", così da far conoscere "ogni possibile sfumatura del collezionismo di Toscana".
 
Nocentini - all'inizio - non si proponeva di realizzare nulla di  nuovo, ma solo di reinterpretare - col suo gusto e la sua sensibilità, in funzione dei suoi interessi - dei temi già abbondantemente indagati e conosciuti (in linea con lo stile prevalente tra i collezionisti di Antichi Stati).

Ma la collezione - si sa - è un viaggio: lo si può pianificare solo in parte, se ne conosce il punto di partenza, ma non del tutto quello di arrivo, e soltanto il percorso, la realizzazione dell'itinerario, permetterà di fare del viaggio - della collezione - un filtro attraverso cui le idee troveranno una nuova identità, una forma, un'energia e una vitalità insostituibili.
 
"Mi sono trovato così ad ampliare la storia della filatelia di Toscana attraverso lo studio dei pezzi raccolti, andando a esplorare terreni ancora sconosciuti. E' stata  - ed è tuttora - una continua sorpresa. Non avrei mai pensato che dopo 170 anni, e molti studi sull'argomento, ci fosse ancora così tanto di nuovo da dire".
 
L'esplorazione è diventata - qui sì - "studio e ricerca", ha sollecitato la definizione di una cornice teorica entro cui inquadrare i singoli contribuiti, la visione di un percorso di approfondimento, la messa a punto di modalità espositive per rendere i risultati facilmente fruibili.

E questa ricerca può ora ribaltare il nesso di causa-effetto, diventare la base teorica di una nuova collezione che - se realizzata - "potrebbe lasciare un suo segno del tutto originale", perché formata da "oggetti attraverso i quali si sono potute scrivere pagine completamente nuove della filatelia di Toscana".
 
Il salto dalla teoria alla pratica rimane impegnativo.

Un conto è accumulare quanti più esemplari possibili, o comunque visionarli, nella prospettiva di documentarne caratteristiche tecniche sinora poco conosciute o non conosciute affatto, in una serie di contribuiti di taglio accademico. Altro è fondare una collezione su quel corpo di studi, creare cioè una narrazione basata su quegli oggetti.
 
Quando si parla di plattaggio il pensiero corre alla ricostruzione della tavola, uno dei classici filoni collezionistici - ad esempio - di "Sicilia". E' immaginabile replicarlo nei "Marzocchi"?
 
Nocentini oscilla tra la cautela dello studioso (imposta dalla realtà delle cose) e l'ottimismo del collezionista appassionato (che spera sempre cose straordinarie).
 
"Pensiamo a quanto è stato difficile ricostruire la tavola di stampa della Crocetta, e si trattava di una sola tavola da 100 esemplari.
 
Immaginiamo ora quale lavoro occorrerebbe per le tavole dei 'Marzocchi', composte da 240 esemplari e come minimo una per ognuno dei valori stampati (su due distinte filigrane). Si tratta di una base immensa, che richiederebbe anni di lavoro di una moltitudine di esperti che ricercano e studiano in contemporanea e in collaborazione.
 
Ma la ricostruzione completa delle tavole è possibile, secondo me, anche se forse non per tutte e non completamente. Una condizione necessaria è che siano sopravvissuti abbastanza esemplari da poter rendere il lavoro realizzabile, il che non è scontato".
 
A ogni modo, tra 0 e 100 - tra il dichiarare l'impossibilità di un evento e l'immaginarlo già realizzato - ci sono molteplici sfumature intermedie, non solo interessanti in sé, ma talvolta più interessanti del risultato stesso a cui si ambisce (che diventa un pretesto per portare alla luce conoscenze di ben altro rilievo).
 
Il plattaggio dei "Marzocchi" obbliga a indagare, a studiare, ad approfondire, a darsi un metodo e a segnare un percorso, e ciò che vien fuori strada facendo può rivelare un valore culturale pari a un multiplo dell'obiettivo esplicitamente dichiarato.
 
"Esistono molti altri risultati intermedi cui si può mirare, come ad esempio capire quante tavole di stampa siano state utilizzate - e questo è già un obiettivo realizzabile in tempi umani - oppure la realizzazione di ricostruzioni parziali, o altri tipi di indagini analoghe.
 
Certo è che ci sono ancora molti fatti interessanti da scoprire".

Fuori dalla filatelia, per una filatelia più solida

"Dopo tanto sforzo dialettico dei civilisti, bisogna riprendere il contatto con la realtà. Io e i miei colleghi discepoli abbiamo considerato il diritto commerciale come una scienza di osservazione, vivendo nei porti fra i capitani, nelle aziende di assicurazione fra gli assicuratori, nelle società fra amministratori e azionisti, raccogliendo tutti i frammenti che l'attività umana ci offriva, reputando che nulla sia estraneo al diritto perché composto di tutti gli elementi della vita: abbiamo cercato la conoscenza di fatti fuori dalla logica, per poter poi porre e costruire saldamente a rigore di logica".
 
Le parole di Cesare Vivante - da un articolo del 1923, sulla "Nuova Antologia", dedicato alla riforma dei codici del commercio - offrono suggestioni preziose per qualsiasi studioso.

Bisogna cercare quanta più conoscenza possibile fuori dal proprio ambito di elezione, per potervi poi tornare con rinnovata consapevolezza, con occhi nuovi con cui guardare il già conosciuto, per scoprirne significati inattesi.

"Guardare con occhi nuovi non è affatto semplice e magari per alcuni è più facile che per altri" - osserva Tiziano Nocentini - "Ma guardare con occhi nuovi, ovvero guardare lo stesso soggetto da un punto di vista completamente diverso da quello solito, può portare novità anche là dove decine e decine di studiosi hanno precedentemente cercato e guardato, magari per più di cento anni di seguitoFare ricerca ed innovazione è parte del mio lavoro quotidiano, nell'ambito della Chimica e sono ben consapevole che se si guarda alle cose sempre nello stesso modo, vedremo sempre e solo le stesse cose".
 
Serve abbandonare almeno ogni tanto il proprio confortevole orticello, per dedicarsi ad altro, a molto altro, anche ad attività apparentemente lontane dal campo di interessi nativo, per abbracciare la varietà e la complessità del mondo, perché se ciò in cui si è impegnati merita davvero la fatica e il piacere dello studio, allora nulla gli è estraneo e tutti gli elementi della vita concorrono a dargli spessore e significato.
 
"Il cervello umano non è in grado di creare niente di nuovo dal nulla, ma ogni innovazione sembra provenire da una associazione inedita di concetti diversi" - è il punto di partenza, messo ben in evidenza da Nocentini. "Le invenzioni e le innovazioni quindi sembrano provenire sempre da messa in connessione completamente inedita di due o più concetti che apparentemente sembrano non avere niente a che fare tra loro, reinterpretando il significato che vale per uno nel contesto dell'altro". E' perciò fondamentale rifornire il cervello di "quanti più input diversi è possibile, in modo da aumentare le probabilità che due input a oggi sconnessi possano generare un germe di innovazione", e serve quindi spaziare "quanto più possibile con i propri interessi e non occuparsi sempre e solo di uno stesso argomento".
 
Volete collezionare oggetti postali degli Antichi Stati Italiani? Iniziate con lo studiare la Storia, la Geografia, la Matematica, la Musica, la Letteratura, la Filosofia, la Psicologia, la Chimica e la Fisica, e poi a visitare nazioni, città e paesini, a frequentare mostre e musei, a prestare attenzione a ogni cosa, fosse pure la più minuta, il nome di una via, una targa su un palazzo, o anche solo una scritta su un muro, perché nulla è estraneo al collezionismo, e non potete mai sapere come una conoscenza maturata altrove potrà rivelarsi utile allo sviluppo della vostra collezione.

Sulle prime potrà sembrare una condotta innaturale, perché - osserva ancora Nocentini - "nel nostro tempo libero, quello in cui la creatività meglio si esprime, tendiamo ad occuparci di ciò che più ci piace e non è detto ci possano piacere molte cose diverse". Occorre perciò uno sforzo sistematico - consapevole e mirato - per vincere la naturale pigrizia, fino a ribaltare il concetto stesso di normalità, fino ad "aver bisogno di cambiare di continuo interessi" e trovarsi spontaneamente ad "approfondire fino ad un certo punto un certo argomento, per poi passare ad un altro e poi ad un altro ancora, per ritornare, magari dopo anni, a ricominciare il ciclo per approfondire ulteriormente ogni argomento già trattato".
 
Ex nihilo nihil fit: nulla viene dal nulla o, se preferite, nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma, e la cosiddetta "originalità" altro non è che una ricombinazione nuova - o non vista già troppe volte - di singoli elementi di per sé noti e ben conosciuti.
 
Tutti familiarizziamo - sin da piccoli - con la figura geometrica del cerchio, e tutti abbiamo visto - nella realtà intorno a noi - cerchi di ogni tipo, in gran quantità; tutti - almeno una volta - abbiamo ballato, fosse pure alla meno peggio; e poi arriva Richard Knerr, che mette assieme le cose - il cerchio e il ballo - e fa nascere l'hula-hoop, un successo planetario sempre di moda, oltre le mode.
 
Semplice, ma bisognava pensarci, serviva congiungere le due cose.

Il cervello può solo miscelare ciò che già conosce, e perciò serve equipaggiarlo di conoscenze molteplici e variegate, così da offrirgli quanti più elementi diversi da ricombinare, nella prospettiva di portare "innovazione" in un dato contesto.
  
Solo accumulando esperienza e conoscenza in una varietà di ambiti si potrà rifornire il cervello di elementi strumentali a creare interconnessioni, che in ultima analisi rappresentano la vera conoscenza, di cui potrà beneficiare a pieno anche la comprensione dell'originario ambito di interesse. 

"Se dopo anni torno ad occuparmi di filatelia, dopo avendo imparato a ballare la salsa cubana, a coltivare bonsai, a programmare un computer, a fare fotografie con una tecnica accettabile, ad ottenere nuovi composti chimici, a comprendere come funziona la fisica delle particelle elementari e quali sono le basi della psichiatria, guarderò alla filatelia con gli occhi dello psichiatra, del fisico nucleare, del chimico, del fotografo, del programmatore, del bonsaista e del ballerino di salsa cubana, ovvero occhi completamente diversi da quelli di un filatelista".
 
Solo questo approccio transdisciplinare - l'andare a caccia di suggestioni, stimoli e spunti out of the box - "permetterà di vedere nella filatelia qualcosa che chi si è occupato solo di filatelia non è in grado di vedere", e non solo nel senso di collegare concetti filatelici ad altri non-filatelici, ma anche e soprattutto di portare a galla connessioni tra gli stessi concetti filatelici che altrimenti sarebbero rimasti occultati a causa di una veduta corta e ristretta.
 
E ritorna la metafora del viaggio, qui come fonte di ispirazione e avvio del processo creativo: calarsi in luoghi e contesti nuovi, ritrovarsi circondati da volti dai tratti somatici inusuali, sentire parole di una lingua incomprensibile e odori mai percepiti prima, mangiare cibi a cui non si è abituati, accorgersi di una particolare diffusione della luce solare, o di un curioso mix di temperatura e umidità causato dalla particolare latitudine, tutto ciò - osserva Nocentini - "è un po' come il contadino che sparge semi nel campo con ampie rotazioni delle braccia", e se "inizialmente sembra che non accada niente", in realtà "basta aspettare un po' di tempo e tutto il terreno si riempie di germogli", di informazioni che "vanno a depositarsi nella nostra mente, terreno fertile e tanto più fertile quanto più sono gli input già presenti come esperienze e concetti appresi".
 

Ricercare, censire, storicizzare:

per un database dei francobolli di Toscana

"Amatoriale, questo è il termine più appropriato per definire la filatelia e tutto ciò che gravita intorno alla filatelia. Un mondo costruito sulle buone intenzioni e lastricato di individualità e di improvvisazione. Un mondo dove spesso si utilizzano la tradizione e il senso comune invece della conoscenza e del buon senso". 
 
Franco Filanci salta a piè pari la notoria ipersensibilità del mondo filatelico, pur di veicolare il messaggio con tutta la chiarezza necessaria.

Altro che studio, conoscenza e ricerca! La filatelia è un mondo amatoriale, nell'accezione peggiore del termine: tante buone intenzioni (senza un seguito) troppe individualità (preoccupate solo del proprio tornaconto) improvvisazione (spacciata per cultura) sciocco attaccamento a tradizioni obsolete e ingenuo affidamento a un fallace senso comune (che suppliscono alla conoscenza, a volte con sfregio del buon senso).
 
Quanto siamo distanti dal mondo immaginato da Tiziano Nocentini?
  
"Immaginate che tutti i collezionisti di francobolli di Toscana, si riuniscano, anche  solo virtualmente, e decidano di condividere le immagini di tutti i francobolli che possiedono, recto, verso e trasparenza. Onestamente non so cosa si potrebbe ottenere, alla luce di quanto abbiamo descritto negli ultimi articoli, ma mi aspetto qualcosa, almeno per me, di veramente interessante ed entusiasmante.
 
Per prima cosa suddividerei le immagini dei francobolli granducali su prima filigrana per valore facciale; per ogni gruppo di francobolli con lo stesso valore facciale farei poi una suddivisione per varietà; e per ognuno proverei a determinare la posizione nel quadro di stampa.
 
Quante posizioni diverse troverò per ogni varietà all'interno di ogni valore? Mi aspetto solo poche posizioni, per quanto ho visto finora , e tante di più quanto maggiore fu il numero di francobolli stampati di quel valore.

L'osservabile di questo esperimento è la 'distribuzione delle posizioni per valore e varietà' e da questo posso trarre informazioni rilevanti.

Se ad esempio raccolgo 50 francobolli nella varietà 'ovetto' del 6 crazie su prima filigrana e le posizioni che riscontro sono solo tre diverse, ciò significa che le tavole di stampa furono soltanto tre, per quel valore su quella filigrana.

Onestamente non me ne aspetto molte di più, perché se in sette anni ho visto solamente due esemplari 'ovetto' di quel valore ed entrambi occupavano la stessa posizione, l'istinto mi dice che le posizioni non sono molte di più. Ma l'istinto conta per pianificare l'esperimento, poi sono i dati raccolti che dovranno parlare. Potrei ottenere anche quaranta posizioni diverse con dieci che casualmente si ripetono. Allora trarrei conclusioni diverse, ovviamente.
 
Poi, sempre per lo stesso valore, prendiamo un'altra varietà come ad esempio lo 'zainetto' e determiniamo le posizioni di tutti gli esemplari. Facciamo lo stesso per tutte le varietà che riusciamo a distinguere e per tutti determiniamo se possibile la posizione. Quante posizioni diverse osserviamo per ogni varietà? Sempre le stesse tre del nostro 'ovetto'? Se è così, questa è la prova che quel valore fu stampato utilizzando solamente tre tavole diverse. Otteniamo 40 diverse posizioni anche per le altre varietà? Allora le tavole di stampa forse furono quaranta.
 
Andiamo oltre. La posizione cambia, cambiando tonalità di colore del 6 crazie? Se sì, significa che a ogni tonalità corrisponde una tavola di stampa, come ho visto con un solo indizio per la varietà 'ovetto' del 2 crazie.

Ripetiamo il processo per gli altri valori, da 1 crazia, 2 crazie, 4 crazie, 9 crazie, 60 crazie, 1 quattrino e 1 soldo. Noteremo delle correlazione tra la posizione nel quadro di stampa e la tonalità di colore? Una posizione costante per tonalità? O magari due o tre?
 
Io posso solo ipotizzare le informazioni che otterremmo, sulla base di quanto ho visto finora, ma non so dire cosa si potrebbe scoprire. Sono però ragionevolmente sicuro che sarebbero informazioni preziose per capire meglio i francobolli toscani.

Si tratta 'solo' di raccogliere dati, di mettere assieme tanti collezionisti e convincerli a condividere le immagini dei francobolli che posseggono o hanno posseduto. Una persona sola può arrivare a qualcosa di solido dopo vent'anni di lavoro, tanti collezionisti assieme possono arrivare allo stesso risultato, e sicuramente più solido, in un tempo di gran lunga inferiore, o a risultati inimmaginabili se lavorassero tutti assieme in modo continuo per vent'anni.

Io ho impostato il problema, raccolto alcuni dati preliminari che ho reso pubblici e proposto l'esperimento, come fanno i fisici teorici che elaborano un'ipotesi e poi propongono gli esperimenti per verificarla o confutarla, che starà ad altri realizzare. Spero che un giorno qualcuno riesca a mettere assieme questi dati
".
 
Quel che Nocentini immagina per il mondo della filatelia (di "Toscana") è la realtà di ogni ambito scientifico (fatto di studio, conoscenza e ricerca).
 
Ogni scienza sperimentale - basata sull'osservazione di oggetti ed eventi del mondo reale - vive di censimenti e catalogazioni, di registrazioni continue da sistematizzare in strutture formali (database) e sorrette dalla tecnologia (interfacce) per agevolarne la consultazione.

"La digitalizzazione è un concetto ovvio nel 2023, uno strumento imprescindibile per lavorare seriamente ed efficientemente" - è la constazione di Nocentini - "Il concetto di database dovrebbe essere esteso anche ad altri ambiti, ad esempio a tutte le lettere conosciute del periodo granducale", nello spirito di ciò che è stato qui proposto - a mero titolo dimostrativo - sulla tariffa da 3 crazie assolta con un'affrancatura da 5 soldi.
 
"Oggi, però, siamo ancora al medioevo. Nelle associazioni, anche tra le più serie e strutturate, quando si decide di dedicarsi a una nuova attività si ricorre ancora alla formula banale 'cercate nei vostri archivi tutte le lettere con queste caratteristiche'. Medioevo, appunto.
 
Si dovrebbero investire tempo e risorse nella digitalizzazione, per costruire un database con tutte le lettere con i vari campi (tipo di affrancatura, composizione, valore, mittente, destinatario, date di partenza e arrivo, presenza di testo o meno, e così via) da aggiornare nel continuo, affinché sia sufficiente interrogare l'archivio, ogni volta che si volesse intraprendere o proseguire uno studio.
 
In pochi anni disporremmo di un potente strumento di ricerca".
 
Sono osservazioni ovvie, al limite del banale, ma che al tempo stesso denunciano i limiti dell'attuale mondo filatelico, ne palesano la distanza - culturale e organizzativa - dagli ambienti propriamente accademici.
 
Chi dovrebbe essere il soggetto responsabile del creazione e manutenzione del database? Quali obblighi avrebbe verso i collezionisti contributori e il pubblico in generale? Come finanziare il progetto? Sarebbe sufficiente un'associazione di appassionati, in un mondo di signorotti feudali preoccupati solo dei loro granelli di potere, o servirebbe immaginare dei meccanismi di enforcement?

E' viva la speranza - tutta soggettiva - che si possano quanto prima trovare delle risposte, o almeno degli avvii di risposta, per tirar fuori la filatelia da quella mortificante dimensione "amatoriale" a cui gli stessi collezionisti sembra l'abbiano condannata, con l'atteggiamento tipico delle madri gelose, altere e possessive, in un malinteso senso d'amore verso i propri figli.
 

La mia speranza è e rimane viva, anche se la situazione è piuttosto deprimente.
Qui vedete la lagnanza di un collezionista - peraltro di elevato standing - per essere...
... stato citato tra i ringraziamenti di un lavoro di Calcagno e Nocentini!
Citare le fonti e ringraziare è una prassi storica di ogni ambiente accademico,
e non è semplicemente una forma di educazione istituzionale:
è il riconoscimento ufficiale dell'importanza di chi ci ha preceduto,
del loro ruolo nel consentirci di salire un gradino nella scala della conoscenza.
E invece - qui - il ringraziamento suscita mal di pancia e borbottii...
 

 
Tiziano Nocentini si è preso la pena di replicare allo studioso indispettito,
con un lungo post di spiegazioni da cui stralcio, congiungendoli, l'inizio e la fine.
Non è mia intenzione ravvivare una polemica sterile, senza costrutto,
nello stile di Forum e Gruppi Facebook, da cui il Blog ha sempre preso le distanze.
Ma sento il dovere di offrire uno spazio per la libera espressione di chi vuol raccontare
- con educazione e precisione - la propria versione dei fatti.
 

Ladri di filigrane?

Filigrane dei francobolli granducali,
 
"Non provo più affetto per Cardano".

Nella prima metà del XVI secolo la comunità matematica era impegnata nella ricerca di una formula risolutiva per le equazioni di terzo grado. Niccolò Tartaglia affermò di averla trovata, ma si guardava bene dal pubblicarla. Girolamo Cardano lo supplicò affinché gliela rivelasse, giurò di non farne parola con nessuno e promise di annotarla in codice per proteggerla dai curiosi. Tartaglia cedette alle insistenze di Cardano, e gli declamò il procedimento risolutivo con una serie di terzine divenute celebri. Qualche tempo dopo Cardano pubblicò la sua "Ars Magna", Tartaglia si affrettò a leggere l'opera dell’amico, e... cosa vi trovò? La sua formula, il suo metodo risolutivo, per filo e per segno!

"Non provo più affetto per Cardano", chiosò laconicamente, e poi aggiunse: "Quello che tu non vuoi che si sappia, non dire ad alcuno".

Ci deve essere un destino malevolo che aleggia sui metodi di risoluzione delle equazioni algebriche.
 
Se il grado è superiore al quarto, allora non è possibile venirne a capo "per radicali" - cioè con le quattro operazioni aritmetiche e l'estrazione di radice - e si deve procedere con metodi di approssimazione numerica.

Il più celebre è il cosiddetto metodo di Newton che - indovinate un po' - ... non è di Newton! Joseph Raphson lo aveva scovato cinquant'anni prima, ma di Raphson non sappiamo nulla - nemmeno le date di nascita e morte - e invece Newton è... Newton, quello della mela in testa e della forza di gravità.
 
E se parliamo di Newton, poi, il pensiero corre alla disputa sulla paternità del calcolo infinitesimale - il calcolo sublime, per usare un'espressione dell'epoca: Newton o Leibniz? Chi dei due ne fu l'inventore? A chi spetta la gloria? 

Leibniz pubblicò le sue prime scoperte sul calcolo delle variazioni nel 1684, formò una cerchia di studiosi intorno a sé, e nel 1693 mandò in stampa il primo manuale sul calcolo integrale e differenziale destinato al grande pubblico. Newton, al contrario, non pubblicò quasi nulla. Parecchi sapevano che aveva scoperto una nuova matematica, ma nessuno aveva un'idea precisa su come funzionasse, perché Newton aveva tenuto segreti i suoi risultati, per essere l’unico a servirsene. E ci rimase male, parecchio male, quando Leibniz uscì allo scoperto con la stessa matematica, senza neppure menzionarlo.

Nel 1676, in effetti, Newton aveva spedito una lettera a Leibniz in cui gli esponeva le sue scoperte in linguaggio cifrato, seguendo una prassi dell'epoca. Ma più che contenere una vera spiegazione, la lettera serviva a precostituirsi il primato, era un modo per dire di esser stato derubato, semmai qualcuno lo avesse battuto sul tempo.

Ne seguì una delle diatribe più sgradevoli nella storia della scienza, e persino i contemporanei - pur abituati a vedere di tutto - rimasero sconcertati.

Per anni i seguaci di Newton e Leibniz pubblicarono pamphlet in cui ridicolizzavano la controparte, finché Leibniz non chiese l'intervento della Royal Society, l'istituzione scientifica più rinomata dell'epoca, che avviò un'indagine indipendente per stabilire a chi spettava la paternità del calcolo infinitesimale.

Beh, l'indagine non era poi così indipendente. Newton era il presidente della Royal Society, perciò, fatta salva la forma, la sostanza dell'indagine si ridusse a poco più di nulla, e alla fine fu proprio Newton a redigere in segreto il resoconto della fantomatica commissione, in cui ovviamente si auto-attribuiva il merito della scoperta e accusava Leibniz di essere solo un volgare ladro.

Sarebbero serviti 133 anni per venire a sapere sino a che punto si era spinto Newton per difendere la propria posizione, ma anche sul momento il giudizio della Royal Society non risolse nulla, e le offese reciproche proseguirono per molto tempo, persino dopo la morte di Newton, nel 1716.

Chi aveva ragione? Oggi sappiamo che nel 1665 Newton aveva già scoperto il calcolo di integrali e derivate, ma Leibniz non gli aveva soffiato le idee: semplicemente era arrivato allo stesso risultato, solo qualche anno dopo.
 
Il punto generale, di stretta attualità, è però un altro.

Ancora nel bel mezzo del XVII secolo la scienza non era considerata e vissuta come un'impresa collettiva. Le scoperte erano individuali, una proprietà riservata di chi le realizzava, perché la loro attribuzione serviva a impressionare principi, vescovi e altri benefattori, nella speranza di ottenere una carica prestigiosa o anche solo una forma di sostentamento. Oppure - come nella contrapposizione tra Newton e Leibniz - diventava un punto d'orgoglio nazionale (perché il primo viveva in Inghilterra, il secondo in Germania, e tra i due Paesi vi era all'epoca parecchia maretta).
 
Da allora, però, ne abbiamo fatta di strada: oggi - nel XXI secolo - la scienza si è emancipata dalla dimensione individualistica, per segnare la via del progresso a beneficio di tutti.
 
E tuttavia - di quando in quando - si scoprono ancora delle nicchie in cui sopravvivono atteggiamenti che scaraventano all'indietro, che trasmettono la fastidiosa sensazione di un tempo - ahi noi - trascorso invano.
 
 
La storia è ben nota negli ambienti di "Toscana", ma vale la pena richiamarla, tanto più che bastano poche righe: secondo la vulgata, gli articoli di Calcagno e Nocentini - centrati sulla ricostruzione della filigrana dei "Marzocchi" - si baserebbero su un furto di idee e documentazione di Luigi Guido, la cui buona fede nel condividere la sua base informativa sarebbe stata carpita dai due approfittatori.
 
E' davvero questa la realtà della cose? 
 
"Chi conosce Luigi Guido sa che lui è estremamente riservato e geloso - in senso positivo - del suo lavoro e dei progressi che compie nelle sue ricerche" - precisa Nocentini - "Inoltre, per come l'ho conosciuto io, mi è sembrata una persona pignola e perfezionista. Perciò mi chiedo: quant'è probabile che Luigi Guido abbia condiviso con me questa fantomatica filigrana da lui ricostruita e gelosamente custodita? Pensate che avrebbe divulgato a chicchessia un lavoro non completo, preliminare e quindi verosimilmente affetto da imperfezioni?
 
La domanda è legittima, se si ha presente il modus operandi degli accademici: chi lavora a un progetto, di regola, condivide i propri risultati - anche solo in forma privata - solo quando hanno raggiunto un  livello sufficientemente avanzato e stabile, e mai prima, per evitare rettifiche in corso d'opera sempre piuttosto sgradevoli.
 
E però Nocentini accetta di giocare "fuori casa", vuol dare credito all'inverosimile ipotesi di aver ricevuto da Luigi Guido una versione (provvisoria) del foglio filigranato.
 
"Ipotizziamo per assurdo che lo abbia fatto, che mi abbia inviato una versione preliminare della sua filigrana.

Io come l'avrei utilizzata? Che uso ne avrei fatto? In che modo compare quella filigrana nei miei lavori pubblici?

Non c'è alcuna prova che io abbia utilizzato, per i miei articoli, del materiale che non sia di pubblico dominio o che non rappresenti un mio originale e personale lavoro di composizione grafica.

Non c'è alcuna prova - e non ci sarà mai - semplicemente perché non l'ho fatto".
 
Ma perché - allora - per i più sta in piedi la versione secondo cui Nocentini ha ricevuto la filigrana da Luigi Guido, per poi utilizzarla negli articoli con Calcagno?
 
"Questa credenza si basa probabilmente sulla convinzione che l'esatta forma della filigrana del primo tipo non fosse conosciuta, prima che io e Luigi Guido ce ne occupassimo.
 
Si sapeva grosso modo che c'erano dodici corone, e delle linee orizzontali e verticali, ma si era convinti che non esistesse l'immagine precisa del vero disegno.
 
E siccome Luigi Guido era l'unico che la stava ricostruendo con esemplari reali - quindi il solo a possederne una versione vicina alla realtà - se Tiziano Nocentini ed Emilio Calcagno hanno scritto e pubblicato il lavoro sulle filigrane, non possono che avere avuto accesso al materiale di Luigi Guido, in amicizia e cortesia.
 
E così sta in piedi la favola che Luigi Guido - da persona buona e generosa - mi ha fornito una versione da lui ricostruita, che io altrimenti non avrei potuto possedere".
 
Raccontata così, in effetti, la storia recupera una sua verosimiglianza: Luigi Guido - il nome più noto nell'ambiente - stava procedendo nelle sue ricerche, ed era l'unico impegnato in quel campo di studi; perciò se qualcuno l'ha sorpassato a destra - se a un tratto è balzata fuori la ricostruzione della filigrana, ad opera di altri - è solo grazie al materiale a disposizione di Luigi Guido che l'operazione è stata possibile.
 
"C'è però un elemento - fondamentale - che viene sottaciuto: almeno da sette anni - da quando cioè mi sono cimentato nella mia prima ricerca in rete - è disponibile on-line una versione della filigrana a corone quasi perfettamente sovrapponibile a quella reale che si riscontra nei francobolli di Toscana giunti fino a noi.
 
Quel disegno non è esatto, ma in breve tempo, utilizzando i miei francobolli, siamo riusciti a renderlo tale: basta ruotarlo in senso antiorario di circa 0,8° per migliorarlo di parecchio; ed è a questa versione pubblica - e opportunamente aggiustata - che ci siamo riferiti per la redazione dei nostri articoli.
 
Non avevo quindi bisogno della filigrana di Luigi Guido, perché quella filigrana era già a disposizione di tutti". 
 
Ma come? La comunità dei filatelici di "Toscana" ha sempre creduto che la filigrana a corone non fosse conosciuta e invece ce l'avevano tutti sotto gli occhi? Possibile?
 
"Possibile, anzi è proprio così.
 
Credo - semplicemente - che nessuno si sia mai imbarcato nello studio della filigrana a corone, in tempi moderni. Evidentemente non era di interesse e si è accettata la voce - falsa - che la filigrana non si conoscesse.
 
E quando sono arrivate le critiche dopo l'uscita del primo articolo - 'non è possibile', 'hanno imbrogliato', 'la filigrana a corone non si conosce', 'non esistono fogli interi filigranati' - la mia risposta è stata molto semplice.
 
Dite che non si conosce la filigrana? Non la conoscete voi, forse. Io la conosco. L'ho presa dalla rete".
 
D'accordo, però capiamoci. In rete sono disponibili molte versioni della filigrana a corone, e per lo più si tratta di mere stilizzazioni, del tutto inservibili per un serio lavoro di ricerca. Come è arrivata in rete la versione corretta?
 
"Non ne ho idea, non ho una risposta.
 
Penso però che sia io che Luigi Guido ci siamo resi conto - indipendentemente l'uno dall'altro - che quel disegno disponibile in rete fosse molto preciso.
 
Lui lo ha perfezionato utilizzando esemplari reali - molti dei quali forniti da me - e io ho fatto altrettanto, rendendomi poi conto che era un lavoro interessante ma per molti versi inutile, perché la filigrana reperibile in rete era già più che sufficiente alle mie necessità".
 
Se questa è la realtà dei fatti, o se comunque è questa la ricostruzione più verosimile degli eventi, vuol dire che da oltre un anno è in atto un attacco ingiustificato all'opera di Nocentini e Calcagno, che i due sono vittime di un'infondata accusa di plagio. Perché i diretti interessati non prendono le dovute contromisure per tutelarsi, al limite ricorrendo alle vie legali?
 
"Non tiro in mezzo la legge perché mi vergognerei. Dovrei davvero querelare queste persone? Non è il mio stile.
 
Sembrerei un moccioso frignone, senza la minima traccia di spina dorsale, se andassi dai carabinieri per denunciare una cosa del genere.
 
Se ci fossero di mezzo dei diritti d'autore, se da questa situazione dipendesse il mio sostentamento, se questa faccenda impattasse sulle mie finanze, allora - forse - agirei di conseguenza.
 
Io, però, tutto ciò lo faccio solo per passione, in modo totalmente gratuito. E se insisto a diffondere la versione corretta dei fatti, è solo per mettere a nudo una falsità che fa venire i brividi, solo perché mi danno tremendamente fastidio gli imbroglioni che si approfittano della credulità delle persone.
 
Voglio perciò raccontare - dove può rimanere scritto - il loro modo di operare, affinché si possa riconoscerlo e stigmatizzare: una condanna dell'opinione pubblica, e non certo di un tribunale".
 
A ogni modo - a guardare la vicenda da fuori, senza volersi schierare - viene restituita una brutta immagine dell'ambiente collezionistico di "Toscana", in cui sembra prevalere ancora il desueto principio di autorità, con tutte le sue nefaste conseguenze.
 
"Raramente chi frequenta il mondo della filatelia ha gli strumenti o la voglia di capire come funzionano le cose, soprattutto se il tema esula dai propri diretti interessi, quindi finisce per credere a cosa gli racconta l'autorità di turno e si ferma lì.
 
Questo avviene nella stragrande maggioranza dei casi. Alle persone non interessa capire veramente come stanno le cose, sapere chi racconta la verità e chi mente spudoratamente. Si va per sentito dire".
 
Va bene, sul momento si andrà pure "per sentito dire", ché in fondo è sempre la via più riposante, a minor consumo di energia; ma il buon senso - che si presume quanto meno latente in tutti noi - alla lunga dovrebbe emergere.
 
Si poteva pure credere - al principio - a un furto di idee e documentazione da parte di Calcagno e Nocentini; ma ora, dopo oltre trenta articoli, dopo l'esposizione di concetti mai sentiti prima, dopo l'avvio di un sito internet dedicato all'argomento, dovrebbe esser chiaro a tutti che gli studi di Calcagno e Nocentini - a iniziare dall'articolo sulla determinazione della posizione dei francobolli nel quadro di stampa - appartengono a un filone di ricerca autonomo dagli studi intrapresi da Luigi Guido, al netto di eventuali risultati parziali raggiunti in parallelo (e comunque mai pubblicati da Luigi Guido).

Dopodiché, però, arrendiamoci: esisteranno sempre i "tifosi delle proprie idee", persone intellettualmente limitate, se non disoneste, che sosterranno la propria versione "a prescindere" - come i tifosi, appunto - incuranti delle incoerenze da cui è inficiata e dell'abbondanza di evidenze contrarie.
 
Non ci si può far nulla, se non tollerarli e accettarli per quel che sono: i terra-piattisti della filatelia di "Toscana".
 

Verso un nuovo mondo (di parole e non solo)

"I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo".

Il filosofo Ludwig Wittgenstein porta il linguaggio al centro di ogni nostra attività, ne fa uno strumento di creazione del mondo circostante: il linguaggio filtra sistemi valoriali, credenze, idee, e persino le grezze percezioni, col livello di sofisticazione a cui si riesce a spingerlo, e dove il linguaggio si arresta, ecco che si ferma anche la nostra conoscenza.
 
Non a caso le rivoluzioni - intellettuali e non solo - muovono sempre da una rivisitazione profonda del linguaggio: le parole coniate dai pionieri - nomi, verbi, aggettivi e sostantivi, che formano la "tradizione" - vengono riesaminate con una nuova sensibilità, soppesate con maggior finezza, se del caso rivalutate in funzione del linguaggio specialistico di altri ambiti, per imprimere una variazione di rotta al corso degli eventi.
 
"Il mio background è completamente diverso dalla filatelia e mi capita di prendere a prestito parole e concetti di altri contesti che conosco, che mi sono familiari adattandoli, o implementandoli tali e quali al nuovo ambito" - ci dice Nocentini - "Utilizzare nuovi concetti e nuove parole può condurre ad adottare un diverso punto di vista, nello specifico a guardare la filatelia con occhio da chimico o da fisico, da pittore o da programmatore, da coltivatore di bonsai o da viaggiatore, o da appassionato di fotografia o di danze caraibiche".
 
E' il linguaggio a dare forma a idee e concetti, e quando cambia il linguaggio si possono scoprire nuove sfumature di idee antiche, o veder sorgere direttamente nuove idee, ed è allora che si può avere "innovazione".
 
"Immaginando di voler entrare in un nuovo e più avanzato livello della filatelia dei francobolli di Toscana" - dice ancora Nocentini - "dovremmo cambiare il modo di denominare gli esemplari granducali stampati sui due tipi di filigrana. Oggi si usano comunemente i termini 'prima emissione' e 'seconda emissione', ma a ben vedere non sono termini corretti", perché una "emissione di francobolli" è un atto formale e variamente documentato, e non un tecnicismo di produzione per quanto sofisticato. 
 
"Penso che si potrebbero utilizzare più correttamente le nomenclature 'prima filigrana' e 'seconda filigrana', per indicare gli esemplari stampati su filigrana a corone, la prima, e su filigrana a linee ondulate, la seconda", e quindi, ad esempio, non si parlerà più di un 6 crazie della prima emissione, ma di un 6 crazie su "prima filigrana"; così come, nel caso delle sfumature di colore di uno stesso valore, a parità di filigrana, si potrà parlare di "tiratura" o "ciclo di stampa".
  
Piccole cose, si dirà, ed è vero, ma va colto il punto generale (che potrà poi avere manifestazioni più o meno elementari o complesse): serve un linguaggio preciso e rigoroso, rispettoso della tradizione nella misura in cui la tradizione non sia di ostacolo al progresso, perché "i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo", e auto-sabotarsi con un linguaggio inadeguato, in un malinteso senso di rispetto verso la tradizione, non è un atteggiamento furbo. 
 
Iniziare dai piccoli cambiamenti di linguaggio - come "prima filigrana" e "seconda filigrana" - per predisporre il proprio animo a cambiamenti più significativi, per non scoprirsi sospettosi verso ogni parola nuova, e ritrovarsi così a combattere delle ridicole battaglie di retroguardia.

"Lo si vede chiaramente quando utilizzo le parole 'tavola di stampa' per i francobolli di Toscana: alcuni storcono la bocca o addirittura mi prendono per eretico se non addirittura blasfemo, ma uno che arriva dall'esterno, con mente fresca per il nuovo ambiente, può vedere collegamenti che chi è all'interno da decenni non riesce, non può o nel peggior caso non vuol vedere".
 
Cambiare una parola dopo l'altra, dalle più semplici alle più complesse, condurrà pian piano a riscrivere l'intero vocabolario della filatelia, a possedere un nuovo vocabolario, e con un nuovo vocabolario arriverà una nuova mentalità, una visione del mondo aggiornata ai tempi, che possa scalzare pregiudizi e superstizioni.
 
Pensiamo - per citare il caso più rilevante - all'assurdo atteggiamento pregiudiziale verso ogni conclusione che non sia una certezza assoluta, al rifiuto della probabilità e della statistica come strumenti di conoscenza, quando tutte le scienze sperimentali - e a volte persino le scienze esatte - vivono di credenze parziali, di congetture e confutazioni, di verità provvisorie da convalidare, emendare o smentire.
 
"Sono stati mostrati tre francobolli da nove crazie nella varietà zainetto e tutti e tre sono risultati provenire dalla posizione del quadro di stampa. Non sono tre francobolli di questa varietà scelti ad hoc, sono gli unici francobolli da 9 crazie nella varietà zainetto che in sette anni sono riuscito a rintracciare. Tre su tre ovvero il 100%.
 
Sempre in sette anni sono riuscito a rintracciare solamente due esemplari del valore da 6 crazie con la prima filigrana nella varietà ovetto ed entrambi occupavano la posizione 105. Non scelti ad hoc tra tutti i valori da 6 crazie nella varietà ovetto, ma gli unici due che ho trovato, quindi ancora il 100%.
 
Stessa cosa per il valore da due crazie nella varietà ovetto, due esemplari sempre in posizione 195 e ancora per il quattro crazie nella varietà fumetto, due esemplari sempre in posizione 131 e ancora per il soldo nella varietà ovetto, solo due esemplari sempre in posizione 104".

Quanto più saremo cultori della forma del linguaggio, della scelta delle parole e del modo di veicolarle, tanto più riusciremo ad allenare quell'organo - il cervello - a cui  a ben poco servono le ore trascorse ad allenare il resto del corpo.
   

La forza delle idee fra tradizione e innovazione

"Gli uomini pratici che si sentono completamente liberi da qualsiasi influenza intellettuale, sono in genere schiavi di qualche economista defunto".
 
La stilettata dell'economista John Maynard Keynes diventa un segnale di allerta per tutti noi, contro la presunzione di crederci al di sopra dell'ambiente sociale e culturale che ci ha allevato e in cui viviamo.
 
Fare un bel respiro, censire i propri automatismi di pensiero, parola e azione, e poi analizzarli criticamente uno a uno - per riconoscere quelli ancora validi (da potenziare) gli altri dannosi (da rimuovere) e gli altri ancora da innestare (perché mancanti) - è una sfida a cui siamo chiamati tutti, per migliorare noi stessi, per far progredire l'ambiente in cui ci troviamo.
 
Ma è una sfida che non si affronta con piacere.

Le nostre imperfezioni non sono solo punti di vista o atteggiamenti errati (il che permetterebbe di scrollarceli di dosso senza troppo sforzo); sono una manifestazione della nostra stessa identità, plasmano il nostro modo di sperimentare e conoscere la realtà, di vivere nel mondo; e perciò rimangono per lo più invisibili.
 
Sembra banale - in astratto, in generale - dire che nessuno può pensare di aver sempre ragione su tutto; eppure - in pratica - il nostro cervello vuole convincerci del contrario.
 
Esaminiamo una per una le nostre convinzioni più care, quelle a cui teniamo sul serio, che ci stanno davvero a cuore: no, su questo argomento non ci sbagliamo, e nemmeno su quell'altro, tantomeno su quell'altro ancora, e via così, sino a farci apparire tutta la nostra faziosità indiscutibilmente ragionevole.
 
Quanto più ci allontaniamo dalla nostra cerchia, dalle persone che la pensano come noi, tanto più il mondo circostante ci sembra manchevole e difettoso, fino a giungere a una conclusione inevitabile: solo noi vediamo la realtà per quel che è.
 
Gli psicologi lo chiamano "realismo ingenuo": dato che la realtà ci appare chiara, evidente e insindacabile, penseremo che chiunque la percepisce diversamente da noi sia per forza un idiota, un bugiardo, un cattivo o un insensibile.

Sarà pure uno stato d'animo inevitabile, ma nessun progresso sarà mai possibile se prima non ci si sottrae al "realismo ingenuo", soprattutto se la sua fonte è uno sciocco attaccamento alla situazione di fatto - confusa, contraddittoria, desueta, e col solo merito di essere... la situazione di fatto.
  
"Non si può innovare senza mettere in discussione lo status attuale" - osserva giustamente Nocentini - "Per togliersi di dosso le croste del passato - che possono essere impedimenti al progresso di una disciplina - può occorrere una grossa scossa al tutto. Cambiare richiede comunque energie da spendere, e spesso non piace. Può pure accadere che scuoti l'albero vigorosamente, lo metti alla prova (in discussione) e non si stacca niente, tutto rimane al suo posto e quindi tutto passa il vaglio. Credo che quello sia il momento più triste perché significa che non c'è niente da cambiare, niente da innovare e quindi è un terreno sterile per la ricerca e lo studio".
  
Ma alla fine - ricorda Keynes - "sono le idee, non gli interessi costituiti, che sono pericolose nel bene o nel male", perché sono le idee a spingere verso il progresso o a indurre delle regressioni, e non gli interessi costituiti; e la grande difficoltà - a dirla tutta, citando ancora Keynes - "non risiede nelle idee nuove, ma nello sfuggire a quelle vecchie, le quali, per coloro che sono stati educati come lo è stata la maggioranza di noi, si ramificano in tutti gli angoli della mente".

Sempre si incontrerà una maggioranza di individui dalle idee vecchie, ramificate in ogni angolo della mente, per le quali il piacere di "credere di aver ragione" smorzerà - sino a farli sparire - i segnali inviati da una realtà che procedere in direzione manifestamente contraria a ciò che credono "vero".
 
Che fare?
 
Ce lo dice ancora una volta  Keynes, a conferma che alla fine contano solo le idee: "se fatichiamo a veder affermate le nostre idee, possiamo pur sempre continuare a sviluppare, e sperare che altri, più potenti di noi, ce le rubino e poi le diffondano".

Perché, sì, a volte occorre rinunciare al successo personale per poter diffondere la conoscenza, ma in fondo è una piccola rinuncia, giacché il gusto della scoperta è un premio a sé stesso, più che sufficiente a sentirsi pienamente soddisfatti.
 

Prima di parlare... leggi


 
Non c'è nulla di più deprimente che sentir ripetere - presentate come "critiche" - argomentazioni tanto superficiali da non lasciar neppure intendere se chi le proferisce ha almeno letto le repliche per confutarle, o le ha lette senza capire nulla, o le ha addirittura capite al rovescio.
 
Se la colpa è dell'incompletezza delle presentazioni - frammentarie e disperse, probabilmente più che complete nel loro insieme, ma difficili da rintracciare e tener presenti simultaneamente - ora risolviamo il problema. 
 

 
 
 
 
 
 
 

 
 
 


 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
 

 

 
Purtroppo, però, non basta che le scoperte siano messe nero su bianco e pubblicate; è fondamentale che ogni pubblicazione sia studiata con tutta la cura sufficiente per poter avanzare critiche pertinenti e contribuire così a progredire, a innovare.
 
Se nei lavori di Calcagno e Nocentini ci sono errori, imprecisioni, manchevolezze, o anche sviste clamorose, ebbene, ora quei lavori sono qui, davanti ai vostri occhi, e non dovete far altro che indicare l'articolo, il passaggio, il rigo inficiato dall'errore, dall'imprecisione, o dalla svista clamorosa.

E - in proposito - non trovo chiosa migliore delle parole stesse di Nocentini.

"Per fare ricerca e sviluppo ci si deve abituare a gestire le sensazioni negative derivanti dalla frustrazione del fallimento, dell'insuccesso, perché cercare non significa automaticamente trovare, ma la maggior parte delle volte significa non trovare niente di interessante o prendere abbagli, commettere errori, sbagliare.

Ma raramente gli errori sono solo frustranti e scoraggianti. Spesso diventano il punto di partenza per i successi. E - consapevoli di questo fatto - si prende forza e si procede.

Pubblicare un articolo, specialmente se si propone di mostrare qualcosa di nuovo, significa aspettare le critiche e prepararsi a esser messi di fronte agli errori che si sono commessi nell'interpretare i dati nel trarre le conclusioni. Questo è ciò che penso ogni volta che pubblico un articolo, perché, per quanta esperienza e professionalità si possa avere, l'errore è sempre in agguato.

Di fronte alla serie di articoli elencata al termine di questo post, io mi vedo ancora oggi in attesa di qualcuno che mi metta di fronte ad errori, incongruenze, abbagli, e non dubito che ci sia qualcosa che non va, perché non conosco persone infallibili, non credo ne esistano e - se pure ve ne fossero io non sono tra quelle.

Ma non siamo qui a diffondere il Verbo, non è il nostro intento, così come non è nostro obiettivo gongolarci, autocelebrarci e frivolezze analoghe.

Vogliamo condividere le nostre osservazioni, il frutto del nostro lavoro, il nostro punto di vista, la strada che abbiamo deciso di intraprendere nel collezionare e studiare i francobolli toscani.

Quando, poco più di un anno fa, iniziai a pubblicare i risultati delle mie osservazioni, una persona che ha tutta la mia stima, e perfettamente inserita nell'ambiente della filatelia di Toscana, mi disse le seguenti parole: 'Tiziano, stai attento a quello che scrivi, perché ci sono molte persone che ti aspettano al varco'. Che tradotto in termini più diretti significa: 'ci sono molte persone che non aspettano altro che tu scriva inesattezze, che tu commetta errori, per darti addosso e mostrare che sei uno che sbaglia, uno da non ascoltare'. Io risposi in modo asciutto e freddo: 'Va bene, non c'è problema, ci sono abituato. Nel mio mondo, se si ha qualcosa da dire, che in buona fede riteniamo sensato, lo diciamo; e poi ritiriamo quanto detto e ammettiamo di esserci sbagliati, se ci mostrano che siamo in errore'. Perché sbagliare in buona fede non è qualcosa di cui vergognarsi. In un mondo sano.

A oggi, a parte le accuse di plagio, non ho ricevuto critiche specifiche nel merito dei miei lavori.

Certo, può anche essere che non mi venga detto di proposito che sto sbagliando, per farmi continuare a sbagliare, lasciando che continui a rendermi ridicolo.

D'altronde il farmi notare che sto sbagliando sarebbe un favore che mi fanno o almeno io lo vedrei in questo modo".

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