NIENTE DI VERO TRANNE I MARZOCCHI


Riallacciamo i nodi di un discorso filatelico, a chiusura di questa - sin troppo ampia - sezione economica.

Nessun collezionista immagina di rientrare della spesa sostenuta per la propria collezione, quando sarà obbligato a disperderla, in un giorno indefinito, sotto la pressione degli eventi. Noi collezionisti vantiamo già il privilegio di riprendere qualcosa, e tanto ci basta, per quanto poco sia, per quanto sia distante dall'originario impegno finanziario, perché non esistono altri piaceri che, una volta esauriti, lascino qualcosa in più di uno splendido ricordo. Succede a noi, solo a noi collezionisti, di poter serbare nel cuore le avventure, i tormenti, le delusioni, le gioie, i trionfi, i drammi che soltanto il collezionismo può regalare, e avere in aggiunta un piccolo storno del denaro speso per l'immenso piacere di salire sulla giostra.

Non ci illudiamo di poter avere un divertimento così grande "a costo zero", e siamo disposti a spendere tutto quel che c'è da spendere, che possiamo permetterci di spendere, pur di divertirci. Abbozziamo un sorriso, celando la nostra commiserazione, davanti a quei giudizi abrasivi sulla nostra passione - ma a che servono i francobolli? quanti soldi buttati! che cosa infantile, il collezionismo - perché li sappiamo provenire da chi, in tutta la vita, non ha mai sentito neanche il principio di quel piacere pervasivo, non soggetto a usura, in cui noi abbiamo il privilegio di essere immersi. Delle loro stinte emozioni, di quelle cose fatue che rendono felice chi ci biasima, noi potremmo dire, parafrasando Joe Black, moltiplicatele pure all'infinito, portatele negli abissi dell'eternità, e vedrete appena uno spiraglio di ciò che proviamo noi collezionisti.

Nessuno di noi, al momento di separarsi dalla sua collezione, vorrebbe però scoprirsi stupido all'improvviso. Siamo anime sensibili, romantiche, sognatrici, con i piedi ben piantati sulle nuvole, e in questo formiamo sicuramente una classe esclusiva e particolare; ma in comune col resto del mondo abbiamo l'avversione al sentirci stupidi. Sarebbe umiliante scoprire un giorno di aver sbagliato tutto, di aver scommesso su un tavolo perdente a prescindere, di aver partecipato a un gioco truccato, sulla scia di un entusiasmo mal governato.

E' doloroso venire a sapere di molte collezioni - costruite nel tempo, con pazienza e amore - che oggi non valgono economicamente più nulla. E' doloroso e deve farci riflettere, perché raramente queste ammissioni provengono da sprovveduti, e il più delle volte sono le prese d'atto di chi può vantare una lunga permanenza nel mondo del collezionismo. E' doloroso e deve ispirarci una visione critica, deve trasmetterci l'impegno - etico e morale - a non esporre il valore economico della collezione a deprezzamenti evitabili.

Collezionare vuol dire educare il sentimento, tenere assieme più d'uno sguardo, incrociare prospettive, soppesare con giudizio le opportunità di acquisto.




Noi possiamo conoscerci e ri-conoscerci, e perciò comunicare, solo se ognuno di noi accetta di cedere un pur minima parte della propria sovranità, solo se ognuno rinuncia a posizioni ideologiche estreme, sintetizzate in frasi-termometro del tipo ognuno colleziona quel che vuole, nessuno può giudicare, l'importante è divertirsi, che denunciano inequivocabilmente una febbre alta da autoreferenzialità.

Il collezionismo è un gioco, come tutti i giochi è una cosa molto seria, e tutta la serietà sta nell'obbedienza, se non a regole rigide e immutabili, quanto meno a orientamenti generali e a linee guida.

Il "manualetto popolare di numismatica" è un eccellente punto di partenza per delimitare il campo di gioco, per dare una forma riconoscibile al collezionismo (in generale), per definire una base di valori comuni e condivisi.

Estraggo due precetti, il II e il IV, da questo "Catechismo numismatico" .


Dunque, da un lato si invita il collezionista a proporzionare le forze e i desideri, a correlare le une con gli altri, se non vuol perdere il piacere di quel poco o di quel tanto che possiede. Dall'altro, però, gli si prospetta un piacere commisurato alla fatica, alla lunghezza della strada da percorre, alla sua tortuosità. Che fare? Accontentarsi o mettersi alla prova? Entrambe le cose non sono possibili, e però entrambe le cose trovano posto nello stesso "manualetto". La contrapposizione sembra sfiorare la contraddizione, ma a guardar bene è solo una sfaccettatura della generale tensione interna propria del collezionismo, della perenne tensione emotiva in cui si trova il collezionista: il collezionista deve avvertire uno stato di tensione, altrimenti non è un collezionista, come un atleta deve sentire fatica fisica e trance agonistica, sopportare l'una e gestire l'altra, altrimenti non è un atleta.

Collezionare significa accettare questa pressione, e contro questa pressione, quasi fosse una forza che minaccia di schiacciarci a ogni momento, invocare una forza uguale e opposta, e se è possibile superiore e opposta, che faccia appello alle risorse culturali, alla competenza tecnica e ovviamente alle disponibilità economiche.

Collezionare vuol dire stare in tensione su ogni fronte, e i due più grandi generatori di tensione filatelica sono la qualità e la rarità.

La qualità potrebbe essere la dea Atena, se volessimo mitizzarla. Proprio come la protettrice di Atene, attenta sia ai bambini che ai guerrieri, la qualità parla a tutti, dai collezionisti dilettanti ai più esperti, e offre a tutti un'occasione per stupirsi e imparare. Con lei - con Atena, con la qualità - siamo lontani dall'inquilino dell'Olimpo giudicato "il più glorioso, il più grande" - con le parole di Agamennone per Zeus, nell'Iliade -, e cioè la rarità. Proprio come il dio sovrano, però, la rarità esibisce una potenza soffocante, che trasmette un senso di inferiorità a tutti i collezionisti, dai principianti ai più smaliziati. La rarità sta in alto, lassù, nell'empireo. La qualità, al contrario, si lascia avvicinare, la si può accarezzare.

Ma la docilità è spesso fraintesa, interpretata come debolezza, e in molti (non io) finiscono così nel vedere nella qualità una cosa esclusivamente superficiale. E sia: la qualità sta in superficie delle cose. La bruttezza, in compenso, arriva sino in fondo, e poi scava e corrode, e infine si rivela. Chi colleziona cose mediocri, la mediocrità prima o poi la vede tutta, e la mediocrità dà la nausea, fa passare la voglia. Questa è l'autentica metastasi del collezionismo: pezzi mediocri contrabbandati per buoni, un mercato infestato da pezzi mediocri a cui i collezionisti finiscono con l'abituarsi, sino a percepirli normali, tutto sommato accettabili. Sino al tragico risveglio.




Il comunicato-stampa della Bolaffi ci parla di collezionisti "meno numerosi di un tempo e molto più esigenti", e qui s'impone un'istanza di chiarezza, sul significato del collezionismo, sulle sue forme e i suoi contenuti.

Noi non prestiamo un buon servizio alla filatelia se l'apparentiamo al maiale, per cui nell'uno come nell'altro caso non si butta via niente. Di là dell'analogia di dubbio gusto, sicuramente infelice sul piano dell'immagine, noi non aiutiamo la filatelia se neghiamo distinzioni di rango, di classe, di categoria, se teniamo tutto dentro, come faremmo con un maiale. Esistono quanto meno un Collezionismo e un collezionismo.

Il Collezionismo opera su una classe ristretta di oggetti, scommette sulla possibilità di istituire strette interrelazioni tra essi, per realizzare narrazioni precise, documentabili. Il collezionismo non ha limiti, non necessita di strutture, può far a meno di legami e di storie, è puro divertimento.

Il Collezionismo è eterno, perché mai svanirà la voglia di conoscenza e di cultura, il desiderio di dare a conoscenza e cultura una forma visibile, tangibile. Il collezionismo, sì, va incontro a mode e a speculazioni, a esaltazioni imprevedibili e a lunghe depressioni.

Il Collezionismo ha una base di appassionati stabile nel tempo e nello spazio, caratterizzata da un fisiologico ricambio generazionale, da passaggi di testimone ricchi di significati. Il collezionismo procede a intermittenza, conosce picchi e valli, affollamenti isterici e vuoti improvvisi.

Dove tracceremo la linea di confine tra Collezionismo e collezionismo? Sappiamo farlo in modo netto, marcato, con mano sicura? Possiamo dire con certezza, a ogni momento, in quale dei due territori ci troviamo?

Avvieremo il discorso nel prossimo ciclo di post, dedicato alle radici del collezionismo. Mi limito qui a una notazione più immediata, quasi ovvia.  A essere "meno numerosi", oggi, sono i collezionisti, la contrazione tocca il collezionismo filatelico, come nelle premesse dichiarate. Nulla di cui meravigliarsi, insomma. Qualcuno si potrà pure rammaricare di non trovare più la filatelia tra i fenomeni di massa - niente più uscite in edicola di "confezioni filateliche", con la prima immancabilmente proposta a un prezzo lancio, e niente più ragazzini impegnati a staccare francobolli dalla corrispondenza familiare - ma nessuno se ne può realmente sorprendere. Perché quel genere di filatelia è collezionismo, una realtà esposta a violente oscillazioni, e a ogni accelerazione improvvisa e immotivata non può che seguire una decelerazione e poi la stasi, per spontanea e ovvia traslazione delle leggi fisiche ai fenomeni sociali. Per parte mia, a mio modo di vedere, c'è solo da rallegrarsi nell'essersi liberati di chi era disposto ad acquistare "qualunque francobollo a qualunque prezzo", quei soggetti che avranno pure fatto le fortune di un certo genere di commercianti, ma che hanno anche posto le premesse per le loro attuali lagnanze, esponendo la filatelia a quelle "bolle" sinistramente simili ai tremendi abbagli del mondo finanziario.





Abbandoniamo senza pena la realtà liquida del collezionismo, e guardiamo piuttosto al Collezionismo, a quel che sta avvenendo nella parte solida di tutta la faccenda. La Bolaffi ci parla di un accresciuto interesse "per le emissioni di più difficile reperimento [...] soprattutto se in uno stato di conservazione eccezionale",  laddove "i pezzi anche rari ma difettosi" sono "assai meno richiesti". L'annotazione richiama i due generatori di tensione filatelica, la qualità e la rarità, e sembra segnalare - per la prima volta - una possibile condivisione di poteri, Atena sul trono accanto a Zeus.

La rarità precede cronologicamente la qualità, viene prima della qualità sulla linea del tempo. Nessun mercante tarava i prezzi sullo stato qualitativo degli esemplari, ancora a metà degli anni venti del secolo scorso, ma badava soltanto alla loro rarità. La qualità è venuta dopo, molto dopo. La qualità è una scuola istituita da Giulio Bolaffi e Renato Mondolfo, che dopo tante acrobazie verbali ha trovato soltanto un allievo, l'Ingegner Giacomo Avanzo, il solo capace di raccogliere l'eredità dei due maestri, perfezionarla, adeguarla ai tempi e alle nuove sensibilità. La qualità ha una storia recente e scarna, per immaginarla al centro del discorso collezionistico in luogo della rarità. Se l'inversione di tendenza prospetta Bolaffi fosse strutturale, e non occasionale, allora saremmo alla presenza di un colpo di Stato: non tanto Zeus pronto a condividere il trono, ma piuttosto Atena che se ne impossessa con la forza.

La cautela si impone, ma disponiamo anche di segnali piuttosto nitidi. Escluse le Grandi Rarità - storicamente una Liga a parte - il mondo del Collezionismo sembra aver alzato l'asticella sulle pretese qualitative, anche per gli oggetti obiettivamente rari. La rarità mal ridotta cambia album solo a condizioni economiche vantaggiose per l'acquirente (e perciò penalizzanti per il venditore); rimane addirittura invenduta, se il prezzo non può scendere sotto una soglia di ragionevolezza tarata sulla peculiarità dell'oggetto, ma ora percepita eccessiva anche dai collezionisti più facoltosi.











Saper leggere il cosiddetto "mercato filatelico" è un po' come leggere i fondi del caffè: ognuno può vederci quel che vuole, ognuno potrà sempre portare un nugolo di evidenze a sostegno delle proprie tesi, per quanto sballate esse siano.

Il mio invito - prima di passare definitivamente ad altro - è nel cogliere e interiorizzare i segnali inviati dalle più recenti tornate d'asta. Invito a inserire esplicitamente la qualità tra i parametri di formazione della propria collezione, a farla entrare nel processo di selezione dei pezzi con un livello sfidante. Invito a tenere gli occhi fissi su una qualità alta, non già perché si debba acquisirla a ogni costo, ma solo per avere la costante consapevolezza di quanti gradini si stiano scendendo rispetto a quell'ideale. La qualità alta non come obiettivo da raggiungere, ma più modestamente - e più efficacemente - come una boa di ancoraggio per evitare il naufragio, come un salvagente per non sprofondare negli abissi.

In un mondo in cui ognuno sente di avere una facile verità, spesso tutt'altro che disinteressata, l'invito è a non considerare vero niente... tranne i Marzocchi.

Ingegner Giacomo Avanzo - 1985-1992












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