VERSO L'UNITA' DI ITALIA (IN FILATELIA) - Regno delle Due Sicilie

E' disponibile on-line il catalogo della prossima vendita "su offerta" della Anonima Francobolli (AF) di Milano.
 
Questo mercante è uno degli ultimi a saper ancora interpretare il mestiere. Cataloghi fisicamente piccoli e sottili - di un'inusuale forma rettangolare, che li rende immediatamente riconoscibili - ma filatelicamente pesanti, densi. Materiale selezionato con attenzione e competenza, che può piacere o no, ma di sicuro interesse e valore collezionistico. Basi di partenza eque, giuste, ben proporzionate, distanti sia dall'esosità di chi ancora fatica a comprendere il nuovo scenario di mercato, sia dai prezzi di svendita di chi è incapace di assegnare un valore alle cose.

Questa vendita della AF presenta un interessante assortimento del Regno di Napoli, da cui pizzico il lotto numero 8.


Questo documento è interessante perché ben esprime uno dei conflitti con cui un collezionista si trova a fare i conti, nel processo di scelta dei pezzi da accogliere nel proprio album.

Il mezzo grano di Napoli è un francobollo particolare: affrancava solo i giornali e le circolari, e il suo uso isolato (in tariffa) possiede sicuramente una discreta attrattiva. Il documento proposto dalla AF è di una qualità rara, non solo per l'eccezionalità del francobollo - ampiamente marginato, di un gran bel colore, con un annullo ben piazzato - ma soprattutto per il complessivo stato di conservazione, obiettivamente notevole (da notare la bella calligrafia con cui è scritto l'indirizzo, che rende l'oggetto particolarmente gradevole). Peccato però che non sia né un giornale né una circolare. E' una lettera ordinaria, che dovrebbe pertanto essere affrancata per 2 grana. E invece c'è solo un mezzo grano, e non compaiono segni di tassazione a segnalare l'insufficienza dell'affrancatura. L'oggetto postale - quindi - è una sorta d'incompiuto.


E' bello vedere una lettera affrancata in tariffa - "in perfetta tariffa", come scrivono alcuni periti per rafforzare il concetto - e poi l'annullo passante, il timbro di arrivo, e tutte quelle altre peculiarità proprie di un oggetto conforme alle attese. Un oggetto fully compliant ha chiaramente tutta un'altra poesia rispetto a una lettera che svirgola in uno o più punti (alcuni collezionisti sentono una fitta di dolore già con le lettere "tassate").
 
Non bisogna però confondere le cose, intersecare piani valutativi diversi, che devono rimanere separati. Una cosa è rammaricarsi per una lettera non in tariffa, o manchevole di uno o più timbri, e pensare, anche giustamente, che questi deficit non la rendano degna di una collezione rigorosa di Storia Postale, da fondare solo e esclusivamente su oggetti filatelici "conformi", per i quali sia cioè possibile una descrizione chiara, precisa, lineare, rispetto ai regolamenti postali dell'epoca. Ma cosa completamente diversa - e deprecabile - è utilizzare questo rammarico per affossare il pezzo a prescindere, per collocarlo ingiustamente nell'area della "non-collezioniabilità", e poi, dopo aver sdoganato questa scorrettezza, compierne un'altra ancor più grave, col disseminare dubbi sulla genuinità, adombrare ipotesi indimostrabili (che uno o più francobolli non siano coevi, o che un francobollo sia stato rimosso o sostituito, o che l'annullo sia rifatto) e in definitiva dare la stura a un flusso di pure illazioni che già da sole qualificano chi le avanza.

Rispetto a questi oggetti - genuini, ma incompleti - il collezionista è solo, con la sua cultura, la sua sensibilità, il suo buon gusto, la sua raffinatezza, i suoi obiettivi. E' un fatto di altezza a cui collocare l'asticella della scelta, e qui, sì, c'è poco da discutere, perché il problema non ha - non può avere - soluzioni automatiche. 

Sicuramente, però, la descrizione della AF tradisce la complessità valutativa dell'oggetto in esame, e non aiuta a scegliere consapevolmente, quando indica come quotazione nominale di catalogo un valore riferito a un uso "in perfetta tariffa" (con l'aggiunta persino di un segno "+", a indicare un plusvalore per l'elevata qualità), laddove l'oggetto non solo non lo è, ma non presenta nemmeno quei segni di tassazione che lo renderebbero quantomeno postalmente interpretabile.


"Le famiglie felici si assomigliano tutte, quelle infelici lo sono ognuna a modo loro", scriveva Tolstoj. Lo stesso potremmo dire degli oggetti postali: quelli "conformi" sono (postalmente) indistinguibili, quelli "incompiuti" mostrano ciascuno caratteristiche proprie, con cui il collezionista deve imparare di volta in volta a confrontarsi, per poi decidere.

Ancora dalla prossima vendita AF, ancora un pezzo del Regno di Napoli.

Un'assicurata affrancata per 7 grana può provocare le convulsioni a un cultore di Storia Postale. Però, prima di bocciare il pezzo senza appello, solo perché difforme dalle attese, sarebbe utile conoscerne la storia.





Parliamo dunque di un pezzo ex "Pedemonte" (selezionato da Giulio Bolaffi per uno dei suoi migliori clienti), riprodotto anche a colori (in tempi in cui i cataloghi erano in bianco e nero) e con un realizzo d'asta che all'epoca ruppe ogni argine (quasi 6 volte la base, oltre 3 volte il catalogo di allora).
 
L'argomento ritorna: fatta salva la genuinità - l'oggetto è nato così - cosa vale di più, la conformità o la spettacolarità? Ognuno deve decidere da sé, perché non c'è alternativa.

Per parte mia voglio solo dare un elemento di riflessione, o meglio, di contestualizzazione storica (e non solo storico-postale) degli oggetti in discussione.
 
Guardiamo a esempio il lotto numero 8. E' datato "18 ottobre 1860". Siamo dunque a Napoli, in periodo di dittatura garibaldina, un governo reso possibile (anche) dalla trasformazione dei camorristi in poliziotti in coccarda tricolore, con inevitabili conseguenze sul concetto stesso di "legalità".

Questa era la Napoli di Garibaldi.
 
Ora, in questa Napoli "d'o zì Peppe", ce la sentiamo davvero di biasimare il mittente per non aver affrancato "in tariffa" e l'impiegato postale per non aver tassato la lettera?
 
Ognuno dia pure la risposta che giudica più appropriata.

Una lettera straordinaria, di complessa decifrazione: fuori tariffa e priva dei bolli di transito.
Esistono peraltro numerose altre lettere in simili condizioni,
un fatto tutt'altro che sorprendente, se questi oggetti sono calati nel loro contesto storico e sociale,
anziché esser giudicati solo e esclusivamente in base ai parametri postali.
E' una vergogna che qualcuno abbia solo immaginato di metterne in dubbio la genuinità,
senza averla mai presa in mano, senza aver mai passato le dita sui francobolli,
senza aver mai verificato col tatto lo spessore tra i francobolli e la lettera,
ma solo avendo dato la scansione in pasto a chissà quale software (sic!)
per concludere che uno dei due francobolli è stato prima rimosso,
e poi ricollocato un po' più in là... per motivi estetici (sic!).
E' desolante vedere i cosiddetti "esperti" trasformarsi in macchiette,
scoprire che persino loro sentono il dovere di (s)parlare a prescindere,
- quando l'unica cosa sensata sarebbe restare in silenzio,
rifiutare il pronunciamento se il pezzo non può esser esaminato dal vivo -
solo perché a rimanere zitti hanno la sensazione di perdere un quarto di nobiltà.

Dalla prossima vendita AF dell'aprile 2020 balziamo indietro di quasi trent'anni, al catalogo n. 7 dell'Ingegner Avanzo del marzo 1992, e dai domini Al di qua del Faro ci spostiamo ai domini Al di là del Faro, dal Regno di Napoli scendiamo verso il Regno di Sicilia.

  



The same old story: la lettera è incompleta, la tariffa non torna, e non ci sono segni di tassazione, ma chi l'ha esaminata dal vivo testimonia l'assoluta genuinità dell'insieme. La coppia del mezzo grano è coeva al documento, non sono stati asportati francobolli, e tutti gli esami che si potevan fare, e son stati fatti, concordano e avvalorano l'idea che non c'è nulla di artefatto, di aggiunto o di sottratto, nulla di alterato rispetto all'epoca. Questa lettera è così: stupenda e incompleta.

Voi cosa vedete? Un oggetto incompleto, rispetto ai paramteri postali, oppure un oggetto di una qualità straordinaria, insuperabile, che se avessimo potuto realizzarlo noi, non saremmo riusciti a immaginarlo così bello? E' un fatto di asticella e di obiettivi: il cultore di Storia Postale rimarrà perplesso, storcerà il muso, sospirerà; gli amatori della bellezza sono già pronti a pagare sangue e oro, il giorno che la lettera dovesse riapparire sul mercato.

Questi sì che sono gusti insindacabili. Quel che deve rimare in comune - di là dei gusti insindacabili - è la pretesa - per tutti, qualunque siano i gusti - della genuinità dell'insieme, conforme o zoppicante che sia.

Commenti

  1. L'affrancatura mista "Regno di Napoli-Province Napoletane" è l'ultima data d'uso (non tassata) dei francobolli borbonici. E' quindi un pezzo di grande valore simbolico, cui corrisponde un altrettanto elevato valore monetario (è stato venduto a € 20.000, nel post-asta dell'ultima vendita di Vaccari). Non di meno, il pezzo è di complessa lettura: un collezionista-espositore - intenzionato a mostrarlo in una manifestazione a concorso - non riuscirebbe a descriverlo con la necessaria sintesi e semplicità.

    Potete trovare in rete - con uno sforzo minimo - una serie di dettagliate scansioni del pezzo. Le ho volute mostrare a un autentico esperto - a colui che per me è la Corte di Cassazione Filatelica - e gli ho anche rappresentato il mio pensiero, l'ho messo a conoscenza di quegli elementi che secondo me ne suffragano la genuinità e di altri che invece mi lasciano perplesso, il tutto con l'idea di strappargli un parere, un giudizio, una presa di posizione.

    Il Giudice Supremo mi ha ascoltato con grande attenzione, in silenzio, per oltre mezz'ora, a volte accennando un sorriso, altre alzando un sopracciglio, a volte annuendo, altre oscillando la testa. Poi, quando ho smesso di parlare, mi ha rivolto uno sguardo interrogativo, come per accertarsi che non avessi altro da dire, e al mio cenno di conferma mi ha finalmente dato il suo responso: "Ti ringrazio per la stima nei miei riguardi e per l'importanza che assegni alla mia opinione, ma, credimi, mi sopravvaluti. Io non sono bravo come altri, anzi, sono piuttosto scarso. Non riesco ancora a fare perizie, senza avere il documento in mano".

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  2. Ho ricevuto - via mail - un'interessante osservazione sull'assicurata da Campobasso a Napoli dell'1 aprile 1861 (quindi in periodo di tariffe sarde), affrancata per 7 grana: "è probabile che l'affrancatura venne 'composta' dall'addetto postale che accettò la lettera" - scrive il lettore - "Questa osservazione potrebbe distinguere, quantomeno in termini probabilistici, l'eventualità di una difformità dell'affrancatura rispetto al tariffario in vigore all'epoca".

    L'osservazione è interessate perché vi confluiscono diversi elementi valutativi.

    Un cultore di Storia Postale rabbrividisce nel sentir parlare di "probabilità": ogni oggetto - per lui - deve potersi descrivere con matematica precisione, e se una descrizione matematica non è possibile, se bisogna ricorrere alla probabilità per interpretarlo, allora scade automaticamente di livello (e va benissimo così, purché non si inizi poi a delirare sulla genuinità dell'oggetto, senza averlo mai esaminato dal vivo).

    Per altro verso, però, la probabilità (prospettata dal lettore) ci aiuta a "giustificare" l'anomalia. Fu l'addetto postale a comporre l'affrancatura? Non lo sappiamo e non lo sapremo mai. Secondo il lettore - però - è probabile che sia così. Se accettiamo di ragionare su questa ipotesi (probabile), allora l'affrancatura potrebbe non essere più così sorprendente. Fu l'addetto postale a comporre l'affrancatura? Si? E allora di cosa ci meravigliamo? Sappiamo tutti cos'erano all'epoca gli addetti postali del Regno di Napoli: impiegati sbarazzini, disinvolti, che interpretavano la professione con una certa leggerezza. Falsificazioni (di francobolli) e frodi (postali) furono fenomeni diffusi negli Antichi Stati, ma la loro intensità nel Regno di Napoli non ha paragoni, vuoi - forse - per una naturale inclinazione della popolazione, vuoi - sicuramente - per la benevola tolleranza di chi avrebbe dovuto controllare e verificare, e all'occorrenza denunciare e sanzionare, e invece chiudeva un'occhio, e più spesso tutti e due, quando non si girava proprio dall'altra parte.

    Questa era la Napoli dei Borbone, come fotografata dall'effettivo funzionamento del servizio postale (che incidentalmente apre uno spiraglio su usi e costumi più generali). Ce la sentiamo ancora di giudicare "anomala" questa assicurata da 7 grana? Ognuno dia pure la risposta che sente più appropriata.

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