"Il povero Salina si senti stringere il cuore. 'Un duello?'
'Un grande duello, zio. Contro Franceschiello Dio Guardi. Vado nelle montagne, a Corleone;
non lo dire a nessuno, soprattutto non a Paolo. Si preparano grandi cose, zione,
ed io non voglio restarmene a casa, dove, del resto, mi acchiapperebbero subito, se vi restassi'.
Il Principe ebbe una delle sue visioni improvvise:
una crudele scena di guerriglia, schioppettate nei boschi,
ed il suo Tancredi per terra, sbudellato come quel disgraziato soldato.
'Sei pazzo, figlio mio! Andare a mettersi con quella gente! Sono tutti mafiosi e imbroglioni.
Un Falconeri dev'essere con noi, per il Re'.
Gli occhi ripresero a sorridere. 'Per il Re, certo, ma per quale Re?'.
Il ragazzo ebbe una delle sue crisi di serietà che lo rendevano impenetrabile e caro.
'Se non ci siamo anche noi, quelli ti combinano la repubblica.
Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi. Mi sono spiegato?'.
Abbracciò lo zio un po' commosso. 'Arrivederci a presto. Ritornerò col tricolore' ".
La Storia è tutto, ci ricorda il Professor Barbero. Non solo eventi e personaggi straordinari - big stories, big characters, big events come la presentava un ciclo di trasmissioni della BBC - ma anche i semplici fatti di ogni giorno e le vicende personali di personaggi minori. La Storia prende vita nelle cose ordinarie capaci di conferire spessore alla narrazione principale, di sottrarla al piattume della pagina del libro di testo. Evadere dal mondo bidimensionale della pagina, dal puro racconto storico, per trasferirsi nella realtà tridimensionale, fatta di oggetti tangibili, per poi tornare sulle pagine del libro con rinnovata consapevolezza. La Storia è anche questo.
"Mio carissimo figlio, sono debitore di risposta all'ultima lettera.
Non ti ho scritto perché imbrogliatissimo di tutto ...".
Una lettera affrancata con un 2 grana delle
Province Napoletane, la tariffa più comune, assolta nel modo più ovvio. E' un oggetto
ordinario, reperibile a buon mercato senza difficoltà, se ci limitiamo a osservarlo sotto la lente del collezionista
old style. Ma diventa un oggetto
straordinario, che richiama eventi e personaggi della Storia, li colora e li arricchisce, se lo interpretiamo con la sensibilità del collezionista in grado di oltrepassare il puro tecnicismo filatelico.
La lettera parte da Caserta il 12 dicembre 1861, diretta a L'Aquila. Il destinatario è Don Federico Apollonio, giudice della Corte Civile degli
Abruzzi, come leggiamo sul frontespizio. Siamo nel Regno d'Italia, e le antiche province del Regno di Napoli - Abruzzo Citeriore e Abruzzo Ulteriore, ognuna con un proprio tribunale - non ci sono più. C'è un solo
tribunale per tutti gli Abruzzi.
Il giudice
Apollonio sembra un personaggio irrilevante - a noi, oggi - nella struttura generale della narrazione risorgimentale. Ma se torniamo alla sua epoca, se immaginiamo di vivere giorno dopo giorno nel neonato Regno di Italia, Don Federico Apollonio è un esponente della Magistratura, e non serve spiegare il potere della Magistratura, ieri come oggi.
Don Federico Apollonio è un giudice nel Regno d'Italia di
Re Vittorio Emanuele II, ma il personaggio era in vista già sotto i
Borbone. Il Ministero dei Beni Culturali fornisce
un vecchio repertorio in cui il nostro giudice compare come Presidente del tribunale civile della Calabria Citeriore,
a Cosenza.
L'attenzione dei
Borbone verso la Magistratura - verso quel mondo a cui appartiene Don Federico Apollonio - è scolpita in un episodio del viaggio di Re Ferdinando nelle province del
Regno delle Due Sicilie nel 1852, che incidentalmente rivela tutto un altro modo di interpretare il senso di
appartenenza alle istituzioni, una visione di diritti e doveri non limitata agli aspetti formali e
codificati, ma inclsuiva di patti impliciti e valenze psicologiche.
Il giudice Apollonio ben sapeva l'importanza di accattivarsi le simpatie della Casa Reale, di mostrarsi ossequioso verso la dinastia, di magnificare il Re se poteva averne l'occasione. Così, quando Re Ferdinando II sopravvisse all'
aggressione di Agesilao Milano, il nostro giudice diede sfogo alla sua arte poetica e s'improvvisò autore di
sonetti celebrativi della "
miracolosa salvezza della Maestà Sua dall'infando attentato del dì 8 dicembre 1856".
Da uno scorcio di vita privata, da un'antica lettera di un padre a un figlio, abbiamo così recuperato un intero spaccato di vita dell'epoca. Una semplice lettera ha offerto il pretesto per una scorribanda in quello strano luogo che è il passato, per illuminarne e esplorarne anfratti altrimenti condannati all'oblio, per riguardare con rinnovata consapevolezza ciò che già si conosceva, e la nostra indagine può chiudersi con una chiosa gattopardesca che giustifica l'incipit.
Il neonato Regno
d'Italia contò non solo sui corpi militari, ma anche sull'apparato burocratico delle
Due Sicilie, e
tutti i
gattopardi mostrarono la loro natura trasformista, la capacità di adattarsi ai cambiamenti, nella convinzione che avrebbero preservato - e forse persino migliorato - le loro posizioni di potere e privilegio. Il nostro giudice Apollonio passò da un tribunale provinciale a uno
regionale, in una zona ben più tranquilla della tumultuosa provincia di
Cosenza. Che avesse servito e adulato
Re Bomba, non lo ricordò più nessuno, e, se pure qualcuno lo avesse ricordato, la cosa non ebbe evidentemente alcuna rilevanza.
"Tutto questo, lasciami
dire, è molto italiano" - mi scrive il collezionista proprietario della lettera - "e devo ammettere che queste piccole scoperte mi
hanno parecchio divertito", come hanno divertito e affascinato me, e spero anche i lettori del Blog.
Ho riletto questo post di oltre un anno fa dopo aver letto quello di oggi, dedicato a don Liborio Romano, che è un po' il capofila di questi "gattopardi" delle Due Sicilie. Riflessione: certo, la meschinità di queste persone è grande, e il loro livello morale basso; altrettanto però si può dire di chi accettò senza problemi i loro cambi di casacca, anzi spesso onorandoli e promuovendoli. Un pragmatismo di bassa lega, senza lungimiranza: come avevano tradito per interesse, così potevano nuovamente tradire magari in modo subdolo, con la corruzione e il favoritismo, il nuovo stato che li aveva riciclati. Povero popolo d'Italia, illuso e poi amaramente deluso! E si capisce ancora di più la terribile rivolta dei poveri del Meridione, ingannati da quelli che si erano spacciati come loro liberatori; si capisce la fuga di molti emigranti, al nord come al sud, molte volte più da un'Italia matrigna.che dalla miseria economica. Queste ferite ancor oggi si riaprono: vedi la fuga dei nostri giovani migliori.
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