GLI "SPACCHIOSI" - Parte II

Pampillonia si trattenne in Francia per circa due mesi, dall'ottobre del 1858 sino a fine anno. 
 
Il carteggio tra Parigi e la Sicilia, tra il Pampillonia e le Autorità siciliane, rivela che l'ingegnere si credeva spettu, anzi, di più, sa sentiva sucata. Non seguì pedissequamente la regola d'ingaggio, non si attenne scrupolosamente al mandato, si arrogò anzi grandi libertà, allargò a dismisura il proprio raggio di azione, sino a sottoporre alle Autorità dei saggi manifestamente diversi dalle prove d'artista dello Juvara.
 
Sono i "saggi Lesaché", dal nome dell'incisore francese che li realizzò, interlocutore privilegiato del Pampillonia sia per precedenti trascorsi d'affari, sia perché altri incisori avevano avanzato pretese esorbitanti, giocando sull'urgenza di un lavoro commissionato da uno Stato sovrano.
 
I "saggi" furono prodotti con la "macchina Lecoq", dal nome dell'inventore, un oggetto ben presentato da W. Maassen e K. Louis, in un articolo diviso in una prima e una seconda parte.

Si conoscono tre "stati" dei primi "saggi Laseché",
differenziati per le particolarità di stampa.
Quattro saggi Lesaché del terzo "stato".



"Saggio Lesachè" del terzo "stato",
annullato con un "saggio di bollo", simile al "ferro di cavallo".

Le Autorità siciliane stigmatizzarono l'operato del Pampillonia, e lo invitarono a riposizionarsi sull'originario obiettivo della sua missione. Il Pampillonia per parte sua provò a tenere il punto, a respingere le critiche con una serrata contro-critica - gli artisti non si comandano a bacchetta, le prove servono solo ad apprezzare le potenzialità della macchina, non fossilizzatevi sui dettagli, guardate piuttosto il quadro di insieme - ma a ostentare insofferenza erano ora le maestranze francesi, che se lo ritrovavano continuamente tra i piedi, con pretese pressanti e onerose, non correlate alle loro aspettative di guadagno.

Fu a ogni modo realizzata - tra malcontenti e perplessità -  una nuova serie di saggi, graficamente più prossima all'originaria matrice dello Juvara, ma ancora visibilmente differente: pani ruru con cuteddu ca nun tagghia, vien da dire osservando il risultato di questa parternship tra il Pampillonia e gli artisti francesci.


"Saggi Laseché", novembre 1858.
Sono noti due "stati":
il primo senza indicazione del valore e più grossolano,
il secondo con l'indicazione del valore,
l'effige rifinita e la cornice interna con doppio tratto.

Torna parrino e ciuscia, il Pampillonia incaricò ancora tre diversi incisori - rimasti anonimi, anche se uno è probabilmente ancora il Lesaché - di realizzare ancora altri saggi, gli ultimi prima di lasciare Parigi, ma che ancora una volta uscirono diversi dal bozzetto di partenza. L'ingegnere si era cassariato.

Saggi Pampillonia, febbraio 1859.
Sono noti quattro "stati", differenziati per il disegno della vignetta.
In un articolo di Alessandro Arseni si trova un aneddoto
che collega i "saggi" del primo "stato" niente meno che al Perù:
"nel giugno 1860 il Direttore delle Poste Peruviane, Sign. José Davila Condemarin,

in visita alla tipografia Lecoq per l'acquisto di una macchina da stampa,
scrisse una lettera al Ministro degli Esteri peruviano, 
nella quale esponeva le sue considerazioni sulla macchina da acquistare 
e allegava come prova un francobollo di Francia e due prove Lesachè di Sicilia,
una in nero e una in rosso [...]
sappiamo che diverse prove stampate a Parigi
non furono tutte nei colori richiesti dal Governo Borbonico 
e che, sicuramente, Lecoq trattenne con sé alcuni dei saggi prodotti per incarico del Pampillonia.
 Questi saggi, differenti dai primi incisi dall'artista francese,
si distinguono dai precedenti per il contorno formato da perline 
e dai quattro gigli borbonici ai quattro lati del disegno.
Lo stesso tipo di ornato, senza i gigli, lo troviamo nel francobolli di Perù da 1 peseta bruno".

Quando piove... grandina. Il Pampillonia tornò a Napoli nel dicembre del 1858, portandosi dietro quella "macchina Lecoq" in cui riponeva grandi aspettative, in cui vedeva la soluzione a ogni problema, per far dimenticare le sue inopportune fughe in avanti, i suoi incontrollati slanci di entusiasmo.
 
Ma in ogni storia c'è sempre un ma, e ora toccava al ma del Pampillonia. La "Lecoq" si danneggiò durante il viaggio da Parigi a Napoli e così, gira, stocca e furria, il progetto era inchiodato al punto di partenza. Pampillonia, levici manu, avranno pensato in Sicilia.

Le Autorità governative siciliane avevano sponsorizzato e approvato all'unanimità un'esosa missione, a consuntivo fallimentare, da ogni punto di vista. Nessuno aveva perciò interesse ad avanzare accuse, a far rumore, a pubblicizzare l'accaduto. Chiunque avesse detto qualcosa, per scaricare le proprie responsabilità, se le sarebbe viste ricadere addosso, amplificate. Un malcelato compiacimento collettivo accompagnò addirittura l'acquisto della "Lecoq" - "questa strana macchina che si azionava a pedali, molto rumorosa ma che ad ogni 'click' era un francobollo prodotto", scrive Arseni - destinata a giocare ancora un ruolo negli sviluppi successivi della storia, anche se nell'immediato abbandonata in una stanza della Zecca Reale.

Il 1859 era ormai all'orizzonte e non c'era più modo, anche volendo, di continuare a ragionare e provare, per affinare e migliorare.
 
Fortunatamente, però, durante le scorribande parigine dell'ingegner Pampillonia, i tipografi Lao e La Barbera avevano proseguito e perfezionato la loro attività, in una sala riservata dell'Ufficio Postale di Palermo, attenendosi scrupolosamente ai modelli predisposti dallo Juvara. Come ebbe a chiosare il Ministro Cassisi sull'intera vicenda: "Ormai non c'è più tempo per ottenere un sufficiente quantitativo di francobolli per il primo gennaio e poi [...] una prima provvista di francobolli è già pronta per essere distribuita nei principali Uffici Postali di Sicilia". Lao e La Barbera si saranno sentiti priati, sicuramente, anche se sulla loro produzione continuava ad aleggiare uno stato di provvisorietà, in attesa di altri bolli, stampati con un nuovo metodo, sotto il vincolo di riprodurre esattamente l'effige reale ideata dallo Juvara.

Comu finisci si cunta e l'1 gennaio del 1859 i Testoni entrano in circolazione, senza ritardi rispetto alla data prevista, senza che venissero poi sostituiti da alcunché.

"Però, a chi salterà il ghiribizzo di spedire corrispondenza nel giorno di capodanno ?", si chiede Nino Aquila. "Intanto bisognava rimanere lì, nell'Officina di Posta, in attesa che qualcuno venisse, due grana alla mano, a pagare il bollo ed a spedire la lettera, in un freddo giorno speciale qual è il primo di ogni anno". I postini ritenevano che nessuno di presentasse. Ed invece qualcuno venne. E bisognò ritagliare dal foglio di colore azzurro i bolli da due grana, appiccicarli sulle lettere, approvi il marchio, perché venissero spedite. Una, due... quattro... nove. Nove lettere furono sicuramente spedite in quel giorno festivo; tutte per destinazioni tra loro differenti; una, addirittura, diretta all'estero - a Parigi - per la quale fu necessario ritagliare un esemplare dal foglio da 5 grana, uno da quello del 10 ed uno addirittura dal 20, per comporre i 35 grana necessari a coprire la tariffa. Ma fu anche necessario spedire una copia del giornale 'Il Vapore' che giaceva da due giorni in attesa di essere inviato a Montevago e per la cui affrancatura fu necessario staccare un esemplare dal foglio arancione del mezzo grano. Intonsi, dunque, rimasero a Palermo solamente i fogli dell'1 grano di colore bruno ruggine e del 50 grana lacca-bruno, almeno per quel giorno".

Sono giunti a noi dodici documenti - tra lettere, giornali e frammenti - a testimonianza di quel giorno, e sono ovviamente grandi rarità filateliche.

L'unico giornale affrancato con un ½ grano "primo giorno",
che possiede anche una storia affascinante
impregnata di un gusto antico, di un profumo di altri tempi.



Frontespizio di lettera, da Messina, spedita l'1 gennaio 1859, 
affrancata per 3 grana (tariffa di un foglio e mezzo).
Coppia orizzontale del ½ grano con un 2 grana, ritocco 81.
Unica combinazione nota per il "primo giorno". 



 Lettera da Messina per Gagliano, spedita l'1 gennaio 1859,
affrancata con un esemplare da 2 grana, completa di testo.



Lettera da Messina, 1 gennaio 1859, affrancata per 6 grana.
2 grana II tavola, carta di Palermo, tre esemplari, posizioni 95, 66, 82.



Una "prima giorno" ambigua e dibattuta.
Il timbro non è sufficientemente nitido, per dire con certezza se il giorno sia un 1 o un 4.
Anche il Principe Alliata mostrò a Nino Aquila due giornali affrancati col ½ grano,
presentandogli entrambi come "primo giorno", quando uno in realtà aveva il timbro "4 GEN 59". 



Lettera da Palermo a Parigi, spedita l'1 gennaio 1859, affrancata per 35 grana.
Unica lettera nota con il 20 grana "primo giorno".



 Lettera da Palermo a Montevago, 1 gennaio 1859, non affrancata.
 "L'uso del bollo sarà facultativo", si leggeva infatti all'articolo 1 del decreto reale.
In questo caso, però, la tassa postale a carico del destinatario era di 3 grana e non più di 2,
come di vede dal segno "3", in rosso, al centro della lettera.

E' nella natura delle cose belle, nella stessa definizione di bellezza, avere una limitazione cogente nel tempo e nello spazio. La bellezza - in filatelia e non solo - è cosa pregiata, rara, ricercata, perché di cose belle ce ne sono poche, perché le cose belle durano poco, e per quel poco che durano son localizzate in pochi punti. Se di cose belle ce ne fossero in abbondanza per tutti, se ognuno potesse reperirle senza sforzo, dove, come e quando vuole, dove mai starebbe il bello?

I francobolli di Sicilia sono i più belli del mondo, i più spacchiosi, perciò erano destinati per loro natura a durare poco. Lo stesso Re Ferdinando poté goderseli meno di sei mesi, venendo a mancare il 22 maggio dell'anno di emissione, e da lì a un anno lo sbarco di Garibaldi a Marsala avrebbe impresso una virata al corso della storia del Regno di Sicilia, e di rimando a quella dei suoi francobolli.

La salma di Re Ferdinando II di Borbone,
nella cappella ardente della Sala dei Viceré nel Real Palazzo di Napoli.



Lo sbarco dei "Mille" a Marsala, dai Vapori "Lombardo"e "Piemonte", l'11 maggio 1860.

L'arrivo in Sicilia della Spedizione dei "Mille" dà forza a un sentimento anti-borbonico sin allora rimasto velleitario, scardina l'apparato burocratico e amministrativo, stravolge usi e costumi della popolazione.
 
I Testoni ne fanno le spese, fatalmente, ma la loro uscita di scena è ancor oggi un puzzle irrisolto.
 
La storiografia filatelica parla di un "Decreto", di un atto formale con cui sarebbero stati messi fuori corso i bolli borbonici, ma di questa disposizione non si ha traccia nell'archivio degli atti del governo garibaldino. Nino Aquila avvalorò l'ipotesi di un'abolizione dei francobolli di Sicilia non de jure ma de facto, a opera dei vari Comitati Rivoluzionari che avversavano ogni simbolo borbonico e l'uso di qualsiasi oggetto che evocasse una dinastia percepita decaduta.
 
Senonché, un ritrovamento relativamente recente ha conferito nuovo fascino alla vicenda, avvolgendola in un nebbia di incertezza che aspetta ancora d'esser diradata. Una ricerca fortuita - presso il Fondo Finanze dell'Archivio di Stato di Palermo - ha portato alla luce un mandato di pagamento liquidato allo stampatore Nocera, nell'ottobre del 1860, per una serie di lavori eseguiti per conto del Governo Dittatoriale. Nell'elenco dei lavori si trova la seguente registrazione: "28.5.60 stampa di n. 150 circolari per l'abolizione dei francobolli borbonici", ma di questa circolare, di questo l'epitaffio dei Testoni, a oggi non è stata rintracciata alcuna copia.

Rimane il dato storico: dopo lo sbarco dei "Mille", la corrispondenza ricominciò a esser inoltrata senza francobolli, col porto pagato in contanti. Questa situazione di emergenza - chiamata periodo garibaldino - si protrasse per quasi un anno, sino al 30 aprile 1861, quando entrarono in scena i francobolli sardi. Una puntuale disamina di quel singolare interludio - nessun paese rimosse l'uso francobolli, dopo averli introdotti - si può trovare in bel contributo di Nino Aquila.

Le rimanenze dei Testoni furono inviate a Torino, per poi essere vendute ai collezionisti negli anni a seguire, unitamente ad altri francobolli degli Antichi Stati, ormai privi di valore d'uso, in possesso delle autorità governative.

Il sipario calava definitivamente su Re Ferdinando II, sul Cavalier Giovanni Cassisi, Ministro Segretario di Stato per gli Affari di Sicilia presso Sua Maestà, e sul Principe Paolo Ruffo di Castellaccia, Viceré di Napoli a Palermo. Il sipario calava sul Concilio dei Direttori del Dipartimento dello Stato di Sicilia e sulla decisione, dagli esiti disastrosi, di avviare un supplemento di indagine in Francia. Calava il sipario sul pittore Carlo La Barbera e sul suo bel foglietto. Calava il sipario su Giuseppe La Barbera e Francesco Lao, tipografi, e sulla bottega artigiana della salita Crociferi 81, oggi via Celso 31. Calava il sipario sull'ingegnere Antonino Pampillonia, tecnico della Reale Zecca di Napoli, e sulla sua esuberante, infruttuosa intraprendenza. E il sipario calava sugli incisori Giuseppe Barone, Tommaso Aloysio Juvara e Emile Lasaché, più gli altri rimasti anonimi. Calava il sipario sul macchinista Emile Lecoq e su quella sua macchina accompagnata da un infausto destino, almeno in Italia. Il sipario calava su tutti i loro affanni burocratici, sulle loro preoccupazioni per non urtare la suscettibilità del Re, sui loro desideri di primeggiare e mettersi in mostra, usando l'irripetibile occasione offerta dall'emissione dei francobolli. Il sipario calava anche su tal Nocera e sulle sue 150 circolari per il necrologio dei Testoni, di cui neanche una rinvenuta.
 
Calava il sipario su tutti gli spacchiosi, a cui tutti gli altri gliela potevano annacare, tutti quegli spacchiosi che a vario titolo - ognuno a suo modo, avrebbe detto Pirandello - avevano contribuito a creare i francobolli più belli del mondo, i più spacchiosi.

Il sipario si chiudeva sulla storia, segnandone la fine, per riaprirsi un istante dopo sulla leggenda dei Testoni, che ancor oggi continua, e non avrà mai fine finché il sole continuerà a risplendere sulle miserie umane.

L'emissione del Regno di Sicilia quasi completa su lettera (manca solo il ½ grano).

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