NOTE SPARSE - Sull'idea di valore


La Collezione "Castrovillari" ha sollecitato una discussione sul sistema degli oggetti, ha offerto spunti per interrogarsi criticamente sulla loro scala di valori.

Un anello ha la funzione di abbellire una mano (tipicamente femminile); lo stesso anello può essere oggetto di scambio sul mercato (a condizioni determinate dal tipo di metallo, dalla sua lavorazione, ma anche dalla marca, dal brand); quello stesso anello si riempie di significati sentimentali, se è una fede consacrata per un matrimonio (simbolo di un impegno solenne, davanti a Dio e agli uomini); e sempre lo stesso anello diventa parte di un discorso a sé, acquista una valenza autonoma, quando collocato accanto ad altri anelli secondo un criterio logico o psicologico (la mia fede, le fedi di mio padre, di mio nonno, del mio bisnonno).

Le quattro letture dell'oggetto corrispondono ad altrettanti livelli di valore: funzionale, economico, simbolico, segnico. Aver chiara la gerarchia tra questi valori, e le loro interdipendenze, è un pre-requisito per collezionare bene, per parlare con consapevolezza del valore dei francobolli.

La definizione di una gerarchia coinvolge il diverso grado di oggettività di ogni valore.

Il valore funzionale è indiscutibilmente oggettivo: una barca serve a navigare, un martello a piantare i chiodi, un libro a istruirsi o a rilassarsi. Occasionalmente, una barca rigirata sulla spiaggia potrà riparare da un temporale; un martello potrà essere usato per rompere un vetro, in risposta a un'emergenza; un libro potrà diventare un elemento di stabilità per un tavolo traballante, o un sofisticato genere di arredo, senza che tutti questi "usi alternativi" possano mettere in dubbio le autentiche funzioni di una barca, di un martello, di un libro.

Il valore di mercato ha le sembianze dell'oggettività: il prezzo segnala a tutti la somma di denaro richiesta per acquisire un bene, per usufruire di un servizio, per finalizzare una transazione. E' un'oggettività interamente mutuata dai numeri - il prezzo è un numero - e meglio sarebbe dire impropriamente mutuata, giacché i numeri non implicano oggettività o autorità, ma sono solo un diverso modo di esprimersi, più preciso, sicuramente, ma non per ciò obiettivo (oggi tutti vivono di numeri, vogliono numeri, pretendono numeri, come se i numeri fossero il triplice fischio finale di ogni discorso; bei tempi quelli in cui "dare i numeri" significava essere impazziti, farneticare, dire cose prive di senso).

I valori simbolico e segnico si staccano dai primi due, chiamano in causa tutto un altro universo di metriche, di misure e di pesi. La mia fede ha un valore simbolico solo per me. Per altri, al più, potrà avere un valore di mercato, il miglior prezzo di vendita realizzabile consegnandola a un "Compro Oro". Se la mia fede appartenesse a una "collezione di fedi", allora, forse, qualcuno potrebbe vedervi un valore segnico, in funzione della capacità dell'intera collezione di veicolare - a esempio - i diversi tipi di anelli nelle varie epoche o tra diverse classi sociali.

Converrà disporre i quattro valori in sequenza, dall'alto verso il basso, da ciò che sta in superficie, ben visibile, a ciò che scende nel profondo e sta nascosto, dai valori immediatamente condivisi ai meno agevolmente interpretabili.

Valore funzionale

Valore economico

Valore simbolico

Valore segnico


Tra il valore funzionale (indiscutibilmente oggettivo) e i valori simbolico e segnico (indiscutibilmente soggettivi) c'è il valore economico, il prezzo di mercato, che già intuiamo essere un ponte, un trait d'union, anche se di complessa percorrenza. Tutto può infatti essere oggetto di scambio, da un martello a una fede, e quando una cosa diventa oggetto di scambio c'è di mezzo un prezzo da pagare, che dipende - in un senso molto ampio - dalla "situazione di mercato".

Intravediamo una questione ingarbugliata, di complessa lettura e decifrazione. Un'efficace linea di attacco è offerta proprio dai francobolli, e precisamente da tutti quei francobolli emessi nel tempo dalla Repubblica Italiana, e ancora validi per affrancare la corrispondenza.

Questi francobolli conservano ancora un valore funzionale, possono assolvere ancora la loro originaria funzione pratica, il pagamento anticipato del trasporto delle lettere (ordinarie, raccomandate, assicurate).

Il loro valore economico è ovvio, se lo deriviamo dal valore funzionale, se ci arriviamo cioè "dall'alto", scendendo dal funzionale all'economico. Il valore economico - in un approccio top-down, dall'alto verso il basso - coincide col valore facciale, perché è esattamente quello il prezzo da pagare, il denaro da sborsare, per entrare in possesso del francobollo, da incollare poi sulla lettera da spedire.

Ma lo stesso francobollo mostra tutt'altro valore economico, se a quel valore ci arriviamo "dal basso", risalendo dal valore simbolico a quello di mercato. Qui, ora, il francobollo non è più un oggetto "da usare" bensì "da collezionare", da inserire in un album già pieno di altri francobolli acquistati con lo stesso spirito, con l'obiettivo di costruire una "collezione", con tutto il suo corredo di simboli e significati. Qui - in questo approccio bottom-up, dal basso verso l'alto - nessuno è più disposto a pagare il valore facciale. Il "mercato" - l'insieme dei collezionisti interessati - pretende e ottiene forti sconti sul facciale - il 30%, il 40%, forse addirittura il 50% - perché lo scopo, ora, non è più spedire una lettera ma formare una collezione.

E' paradossale, ma il paradosso aiuta a far chiarezza: il valore funzionale cannibalizza il valore simbolico, e a farne le spese è il valore di mercato che sta nel mezzo. E' complicato attribuire un valore simbolico a un oggetto, se l'oggetto preserva ancora il suo valore funzionale. E' complicato perché questi valori - funzionale e simbolico - hanno la loro concretizzazione (sedicente obiettiva) nel valore economico, che però traballa se entrambi i valori sono ancora in piedi, se ognuno dei due valori - funzionale e simbolico - può vantare un diritto nel fissare il prezzo di mercato. Crazie, tornesi, grana e bajocchi non hanno più di questi problemi. Quei francobolli sono liberi dalla schiavitù dell'essere utili, cosicché esiste una sola direzione per arrivare al loro valore economico, dal basso verso l'alto, dal simbolo al prezzo.

Si intravedono cose interessanti, che invitano a spingere oltre il ragionamento.

E' relativamente facile passare dal valore funzionale al valore economico, seguire una linea discendente, top-down. Non facile in assoluto, ma relativamente facile, più facile rispetto al percorso bottom-up. Il prezzo di un'automobile è radiografabile con notevole precisione: ci sono i costi delle materie prime, della manodopera, dell'impianto industriale, c'è il profitto dell'imprenditore al netto delle tasse, c'è la concorrenza (che sollecita a risparmiare sui costi e poi intacca pure i margini di guadagno) e c'è la generale situazione di mercato. E' un'analisi difficile da realizzare - nel senso che occorrono modelli matematici e nozioni di microeconomia d'impresa, informazioni statistiche, base di dati e software - ma l'economista di professione saprebbe esattamente come muoversi e cosa fare, per spiegarci il motivo per cui il prezzo di un'automobile è proprio quello e non un altro.

Passare invece dal valore simbolico al valore economico, seguire l'approccio bottom-up, a cui peraltro si è obbligati se parliamo di oggetti da collezione, ci prospetta un cammino logicamente diverso. La cosa, qui, non è difficile: è complessa. Non sappiamo più individuare tutte le variabili in gioco e le loro interrelazioni, non sappiamo esattamente come riassumerle in modo appropriato. Capite la differenza? Diventare magistrato, notaio o chirurgo, è difficile (servono tempo, impegno e capacità) ma sono chiari - espliciti, dichiarati - i passi da compiere per arrivare alla meta. Diventare astronauta, pilota di Formula 1 o agente dei servizi segreti, è complesso, perché anche qui servono tempo, impegno e capacità, ma non è affatto chiaro quale sia il percorso su cui incanalare le proprie energie per raggiungere l'obiettivo.

L'autore di "Castrovillari" vedrà probabilmente risplendere ogni oggetto postale con i timbri di Castrovillari: la semplice scritta "Castrovillari" lo indurrà a valutare l'oggetto, per poi decidere se portarlo a bordo o lasciarlo dove si trova. Altri collezionisti potrebbero interessarsi allo stesso oggetto per tutt'altre ragioni - per la qualità, per la tariffa, per la destinazione, o vai a sapere che altro - o non interessarsene affatto.

Personalmente assegno grande rilevanza a tutti i documenti filatelici capaci di offrire testimonianze storiche su gli eventi del Risorgimento, sulla complessità e le contraddizioni di  ogni fase, le vicende grandi e piccole che vi sono dentro. Io ricerco documenti in grado di rievocare l'assalto di Garibaldi al Regno delle Due Sicilie, l'assedio di Gaeta, la proclamazione dell'unità nazionale, il brigantaggio. Alcune date, per me, hanno un valore enorme, e sono disposto a pagare in proporzione, pur di portarle in collezione. Sono invece relativamente tiepido verso timbri del tipo "1 marzo 1861" - giorno di estensione delle tariffe sarde ai territori annessi a seguito dei plebisciti - e non farei follie per acquisirli (a meno che non si trovino in condizioni qualitative eccezionali).

Per contro, un filatelico puro, tradizionalista, non vedrà nulla di straordinario in quelle date storiche per me così importanti, perché in quelle date non è accaduto nulla di postalmente rilevante - nessun cambio di tariffa, nessun nuovo timbro, nessuna nuova emissione - e con ogni probabilità ambirà invece a un'inarrivabile "primo giorno" o anche solo ad alcune "anomalie" suscettibili di prendere le vesti della rarità in base alle convenzioni prevalenti nel collezionismo della Storia Postale.




L'Amministrazione del Regno di Napoli introdusse gli annulli "a svolazzo" nell'agosto del 1860.
(o almeno a questo periodo si riferiscono le prime date note, al netto di un curioso uso precoce).
La regola amministrativa era semplice e chiara:
l'ufficiale postale doveva annullare i francobolli col timbro "a svolazzo",
e poi collocare sulla lettera il timbro circolare con la data e il nome della località.
Questo era il caso standard - da procedura - che vediamo nella prima delle due lettere.
 Ma l'8 ottobre 1860 succede qualcosa di imprevisto, di non contemplato dal regolamento.
L'impiegato postale di Chieti annulla i francobolli col bollo circolare a date,
lo stesso che poi colloca anche sulla lettera.
Chissà perché: sbadataggine, svogliatezza, noncuranza, automatismo,
tutte cose probabili, visto, tra l'altro, che l'indicazione del mese si presenta pure invertita.
 O forse, chissà, una cena pesante, mal digerita, e poi una notte insonne,
che la mattina dopo lo avevano reso vagamente presente a sé stesso.
O magari, chissà, l'arrabbiatura per aver trovato la moglie a letto col panettiere,
che ha poi sfogato sul lavoro apponendo timbri in modo frenetico.  
 Vai a sapere cosa può essere accaduto in quel lontano 8 ottobre 1860.
Quel che rimane, oggi, è una lettera unica, almeno per gli amanti del genere,
perché all'epoca il bollo circolare a date era sprovvisto del cerchio esterno,
e quando entrò in vigore il sistema sardo di annullamento
(stesso timbro circolare sulla lettera e sui francobolli),
Chieti aveva già ricevuto il bollo a doppio cerchio
(distribuito dalle Direzioni Compartimentali alla fine del 1860).
Quindi, per concludere, questa è l'unica lettera spedita da Chieti
in cui il bollo senza cerchio esterno è usato come annullatore di francobolli.
La cosa vi emoziona?
A me tanto quanto l'ordine del giorno di una riunione di condominio,
ma la richiesta del mercato, in questo momento, supera addirittura i 2.000 euro,
una cifra che io non pagherei mai, e che altri potrebbero invece trovare conveniente. 

Cogliamo il punto generale.

Quando parliamo di valori simbolici - di simboli da associare a un oggetto, di significati da riversargli dentro - lo spettro delle possibilità è massimamente esteso, e ognuno è libero di posizionarsi dove vuole, secondo i suoi interessi, la sua cultura, la sua sensibilità. Tradurre quel valore simbolico in un valore economico - associare un prezzo al simbolo - è un'operazione connotata dagli stessi ampi margini di discrezionalità. A qualcuno quel simbolo non dice nulla (e nulla è disposto a pagare), altri potrebbero vederci qualcosa (purché il costo non sia eccessivo), altri ancora sono pronti a entrare in guerra per farlo proprio (costi quel che costi, esattamente nel senso di non badare a spese).

Le motivazioni di ognuno - fondate o sballate, convenzionali o anti-conformiste, condivise o minoritarie - non sono osservabili. Qui non ci sono - come nell'industria automobilistica - materie prime e macchinari, salari e stipendi, profitti e tasse, concorrenza e scenari di mercato. Non c'è nulla che si possa vedere, toccare e misurare. Qui ci sono - nel migliore dei casi - stati d'animo e valori culturali, e - nel peggiore - brame di possesso e impulsi mal controllati. Tutte cose - in ogni caso - inosservabili, quindi impossibili da censire e registrare, da processare per spiegare perché un determinato oggetto è andato via proprio a quel prezzo.

Siamo su un percorso malfermo, incerto, quando risaliamo dal valore simbolico al valore economico. Non possiamo più tenere traccia dei passi intermedi, come ci consente invece la discesa dal valore funzionale. Qui osserviamo solo il valore economico, senza alcuna possibilità di radiografarne le componenti. Congetturare sui fondamentali del prezzo osservato di un francobollo - su quei fattori che testimoniano la stabilità della percezione del suo valore filatelico - è un'arte più che una scienza, e il primo precetto è non sentirsi mai troppo sicuri delle proprie convinzioni.

Diffidate di tutti coloro che hanno risposte facili e immediate a problemi complessi, quelle risposte valide a prescindere, qualunque sia la domanda. Tenetevi alla larga da chi affoga ogni questione nell'insulsaggine del prezzo fatto dal mercato con la domanda e con l'offerta.
 
Anche il mio punto di vista è parziale, sicuramente, e d'altra parte non vuol essere altro. Può però aiutare - a differenza di posizioni sterili e inconcludenti - a completare altri punti di vista su un tema complesso, che ha come oggetto di studio non già un dato di fatto, bensì uno stato d'animo. Davanti a questa complessità non si può pretendere di spiegare tutto in un sol colpo, come già osservava il fondatore della medicina psicosomatica, Georg Groddeck,  nel suo "Il libro dell'Es" del 1923, illustrando l'idea in una corrispondenza immaginaria con un'amica.

Commenti

  1. Una postilla, per rendere ancora il senso della complessità. Il valore simbolico (collezionistico) è inferiore valore economico intrinseco (derivato con approccio top-down), se parliamo di francobolli dotati di un valore funzionale (coprire il costo della spedizione delle lettere). Registriamo però la situazione inversa, nel caso della numismatica. Sembra vi siano monete in euro - chiaramente utilizzabili negli acquisti, con un valore di mercato banalmente pari al facciale (2 euro, 50 cent., 1 cent.) - a cui i collezionisti assegnano un elevato valore simbolico in virtù di alcune particolarità di coniazione. Il prezzo di mercato di queste monete - derivato con approccio "bottom-up" - è nell'ordine delle migliaia di euro. Qui è dunque il contrario di ciò che avviene in filatelia: se la moneta deve servire al suo scopo (realizzare una transazione), allora vale tanto quanto è inciso sulla sua faccia; se invece deve servire per formare una collezione (valore simbolico, valore segnico), il suo valore di mercato schizza in sù.

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  2. Ancora un esempio, per capire a fondo. Uno Swatch e un Rolex hanno la stessa identica funzione: restituire l'ora (le 11.35, le 15.53, le 21.08, ...) e ci riescono entrambi bene, allo stesso identico modo, rispetto all'esigenza pratica di conoscere l'ora corrente con la precisione che serve (che il più delle volte va a multipli di 5 minuti e non scende mai sotto). Non c'è nessuna differenza tra uno Swatch e un Rolex, se guardiamo solo al valore funzionale. Lo Swatch sarà fatto di materiali ordinari, e il Rolex di materiali pregiati. Lo Swatch vien fuori da un processo produttivo standardizzato, il Rolex è l'esito di una lavorazione più raffinata. Lo Swatch è impersonale, il Rolex individuale. Tutte cose vere, d'accordo. Ma basta questo a spiegare la differenza tra i rispettivi valori economici? O non è piuttosto vero che il Rolex è un "simbolo" - un segno distintivo, caratterizzante - e che la gente paga non già il metallo, pur pregiato, ma quello che il metallo "simboleggia"? Esibire un Rolex significa marcare una distanza tra sé e gli altri, e è proprio questa distanza a essere monetizzata in un prezzo di mercato. "Non aes sed fides", si trovava inciso in una antica moneta, che possiamo qui parafrasare dicendo: "non è l'oro, ma il simbolo".

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  3. Un altro esempio ancora. Una Ferrari e una Smart hanno lo stesso valore funzionale: spostare qualcuno da qua a là (anzi, a volerla dire tutta, forse la Smart vale di più - sul piano funzionale - perché la si parcheggia con più facilità). Sicuramente la progettazione di una Ferrari è più elaborata, sicuramente i materiali sono più pregiati, la lavorazione più impegnativa, i costi industriali più alti, il profitto d'impresa maggiore. Tutto questo può spiegare la differenza nel loro valore economico? Ne dubito. Non è piuttosto vero - come per i Rolex - che la Ferrari è un "simbolo" che marca una distanza, tra chi può permettersela e chi no? E che chi può permettersela, se ama questo genere di cose, è esattamente questo che paga: il "simbolo".

    Il mio invito è a cercare altri esempi da voi, a moltiplicare le casistiche, a trovare ogni volta se e in che modo interagiscano tra loro i valori funzionale, economico, simbolico e segnico, per capire a fondo la questione in tutti i suoi numerosi aspetti, il caso base e la molteplicità di varianti.

    Perché questi ragionamenti hanno un'importanza capitale per un collezionista, che maneggia di continuo valori simboli e segnici, ma rimane obbligato a riempierli anche di valore economico.

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