COLLEZIONE "AL DI QUA DEL FARO" - Tra l'acqua salata e l'acqua santa

L'acqua salata: il mare intorno al Regno delle Due Sicilie.
 
Re Ferdinando II non condusse mai alcuna politica estera. La sua diplomazia non negoziò mai né trattati né alleanze né protettorati. Era composta da figure prive d'autorità, che si limitavano a osservare e riferire, per poi sfogarsi tra loro in lettere intime. "Sono anni che prego, che insisto, che prevedo, che guardo attentamente l'avvenire, ma non si è creduto darmi ascolto; speriamo che mi sono ingannato e che m'inganno ancora adesso". E ancora: "ricordiamoci che noi siamo soli, e che nessuno ci aiuterà".

Ferdinando era amico di tutti e nemico di nessuno, ma diffidava di chiunque volesse immischiarsi nelle cose del suo Regno. Diffidava dell'Austria, di cui respingeva le ingerenze, caparbiamente e spesso villanamente, vivendole come una potenziale limitazione alla propria autonomia. Diffidava di Francia e Inghilterra, per motivi diversi, sebbene fosse stato tra i primi a riconoscere Napoleone III. Simpatizzò per la Russia nella Guerra di Crimea, più di quanto non si addicesse a un Sovrano neutrale, ma non seppe poi avvalersi di questa Potenza al Congresso di Parigi, dove la reputazione dei Borbone fu demolita dai ripetuti attacchi di Cavour, e non solo, senza che una sola voce si levasse a difesa della dinastia.

Ma Ferdinando era infatuato della sua potenza, non temeva alcun pericolo, convinto di poter risolvere ogni cosa facendo la voce grossa. "Vi fu un tempo in cui Napoli fece tremare l'Europa" - disse ai suoi Ministri sulla questione degli zolfi siciliani, esprimendo però uno stato d'animo generale - "Non dico che possa farla tremare oggi, ma non per questo dobbiamo tremare noi".
 
Non si ammorbidì neanche dopo la rottura dei rapporti con Francia e Inghilterra, persuaso che l'appoggio francese non potesse comunque mancargli, per paralizzare le influenze inglesi nel Regno. Lo mandò a dire a Napoleone III dopo l'attentato di Orsini, con una nota che dettò egli stesso ai suoi delegati, a Gaeta, la sera del 23 gennaio 1858. Fu in quell'occasione che mise fuori il motto destinato alla celebrità: il Regno è protetto per tre quarti dall'acqua salata e per un quarto dall'acqua santa.
 
L'acqua santa: i territori dello Stato Pontificio intorno al 1850.

L'acqua santa - lo Stato Pontificio - era il baluardo a difesa del Regno di Napoli, nella percezione di Ferdinando: per arrivare nelle Due Sicilie via terra si sarebbero dovuti attraversare i territori della Chiesa, di fatto invaderli, e nessun Sovrano avrebbe mai osato tanto.
 
Ma persino col Papa c'era maretta. Ferdinando lo rispettava, e più volte l'ospitò a Gaeta, a Napoli e a Portici. Compì la famosa e poco gloriosa spedizione militare del 1849, per riportarlo a Roma. Andò a trovarlo in villeggiatura a Porto d'Anzio, nel luglio del 1856, insieme al figlio Francesco, il principe ereditario, ma nulla di più. I vescovi delle Due Sicilie li sceglieva lui, Ferdinando, tra gli ecclesiastici di sua fiducia. Baciava loro la mano, ma gli proibiva di far politica e li voleva pronti a smascherare qualsiasi individuo potenzialmente pericoloso per la sicurezza del Regno. "Col Papa, patti chiari e amici cari" era la sua sintesi brutale dei rapporti tra Napoli e Roma.
 
E quei patti chiari passavano, prima di tutto, per l'esatta definizione dei confini con l'acqua santa.
 
 
I confini tra lo Stato Pontificio e il Regno delle Due Sicilie
nel periodo 1400-1500 e nel periodo 1600-1796.

Il confine tra lo Stato Pontificio e il Regno delle Due Sicilie è la frontiera europea di più lunga durata. La natura del territorio non aiutava però a definire con esattezza la separazione, e nel corso dei secoli la linea divisoria fu il punctum dolens tra i due Stati, oggetto di contenziosi e controversie nell'estimo del territorio, nella riscossione delle tasse e nella lotta al banditismo: "le questioni da lungo tempo pendenti fra il Governo pontificio e cotesto Regio Governo relativamente alla comune linea di confine sono tante e numerose, quanto è grave il danno che ridonda al pubblico e ai privati di ambo gli Stati dalla loro indecisione cotanto protratta" - si legge nelle carte dell'Archivio della Nunziatura di Napoli (1834) e nell'Archivio Segreto Vaticano (1839) - "L'incertezza del confine giurisdizionale favorisce i rei di delitti, paralizza gli esecutori negli arresti, e rende i Tribunali dubbiosi sulla competenza delle procedure [...] alimenta il contrabbando delle merci daziabili con grave danno dell'Erario dell'uno e dell'altro Governo".
 
Re Ferdinando già mal sopportava Benevento e Pontecorvo, le due enclaves della Chiesa nel territorio napoletano, e i continui disordini ai confini pontifici furono tra le sue prime preoccupazioni, una volta salito al trono.
 
Il 20 giugno 1838 prese il via il negoziato tra Napoli e Roma per tracciare una linea di confine stabile e condivisa. I lavori si conclusero nel settembre del 1839, e dopo un anno, il 26 settembre 1840, fu stilata a Roma una Convenzione, ratificata dopo oltre un decennio, il 15 aprile 1852.
  
L'articolo 3 stabiliva di materializzare la linea di confine anzitutto con frontiere naturali - fiumi, torrenti, fossi, valli, monti - e di procedere con segni artificiali, i cosiddetti cippi, in assenza di una chiara demarcazione geografica.
 
Questi cippi erano colonnette cilindriche in pietra, che riportavano il giglio dei Borbone con un numero progressivo da 1 a 649 "dalla parte che guarda il Regno", e "lo stemma pontificio" -  le chiavi decussate di San Pietro, con sotto l'indicazione dell'anno - "dalla parte che guarda allo Stato". La loro collocazione avvenne tra il 9 novembre 1846 e il 18 settembre 1847.
 
 
Le chiavi decussate e la data di apposizione, sul cippo numero 11;
il giglio borbonico e il numero progressivo, sul cippo numero 37.

La definizione della linea di confine era cosa compiuta, e una controversia secolare poteva dirsi risolta con un discreto successo - il Cardinal Bernetti disse che avevano trovato soluzione "scabrosissime e antichissime questioni" - anche se non tutti i problemi sparirono ipso facto, e non mancarono i risentimenti delle popolazioni di alcuni dei territori interessati alla risistemazione.
 
L'acqua santa - a ogni modo - aveva ora la sua geografia, la sua esatta conformazione, e avrebbe dovuto proteggere il Regno da quel caos di uomini e idee che attraversava i tempi.

La guerra del 1859 - dove salteranno le Romagne - la discesa dell'esercito piemontese nel 1860 - con cui salteranno Marche e Umbria - e infine la presa di Roma nel 1870, s'incaricheranno di dimostrare quanto illusoria fosse quella convinzione.
 
L'acqua santa: 5 bajocchi dello Stato Pontificio,
su frontespizio di lettera da Bologna (Legazione pontificia) a Napoli.

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