IL RE E IL DITTATORE

TRINACRIE GARIBALDINE

         

La Posta - con i suoi oggetti, le sue icone e i suoi segni - è un modo storicamente potente per ostentare l'autorità di uno Stato e veicolarne i messaggi.

Il francobollo - nota con finezza lo storico d'arte Federico Zeri - rivela "il suo significato primario" con "la sua ricca (e praticamente infinita) serie di allusioni, simboli, riferimenti", che lo rendono un "indicatore assai preciso di situazioni politiche e culturali".

Il francobollo - anche in epoca moderna, in un mondo pervaso dalla tecnologia - rimane "il mezzo figurativo più stringato e concentrato di propaganda, quasi un manifesto murale ridotti ai minimi termini, dal quale il substrato sociale e politico si rivela con estrema chiarezza e pregnanza", se solo si ha la pazienza di interrogarlo con i giusti strumenti.



Il Generale Garibaldi sbarca in Sicilia l'11 maggio 1860 ... e cosa trova? Centinaia di lettere che attraversano l'Isola, e che passano dall'Isola alla penisola, portando a spasso Re Ferdinando II di Borbone, deceduto un anno prima, il 22 maggio 1859, ma ancora vivo in quei capolavori di carta che sono "Testoni"i francobolli più belli del mondo, capaci di far avvertire la sua presenza, imporre la sua autorevolezza, legittimare un Regno, tener viva la lealtà verso la dinastia.

Il 50 grana di Sicilia (1859).

Garibaldi sbarca Marsala, combatte a Calatafimi, entra a Palermo, punta verso Messina, ma alla bruta guerriglia militare si accompagna un conflitto più raffinato e sottile. In Sicilia si combatte di sciabola, ma si tira anche di fioretto. I Borbone devono sparire in idea, oltre che nei fatti, a costo di riportare indietro il tempo, costo di far regredire un servizio istituzionale e smantellare la tecnologia dell'epoca. A costo di sopprimere il francobollo.


Percepiamo il tempo in senso unidirezionale, vediamo la tecnica e la tecnologia come processi irreversibili, ma alle porte dell'estate del 1860 il tempo iniziò a scorrere all'indietro e quel che era stato inventato fu disinventato. La Sicilia ripristinò l'antico sistema - basato sul pagamento alla consegna - e il francobollo - sin allora ossequiato come Sua Maestà in persona, oggetto di accortezze tecniche nell'annullarlo, per evitare subliminali messaggi rivoluzionari - diventò l'oggetto su cui scaricare rancori e frustrazioni, ma anche speranze e ironia.

Lettera da Catania per Messina del 7 gennaio 1859,
affrancata con una coppia dell'esemplare da 1 grano bruno ruggine (I tavola).
Tratti di penna - probabilmente postumi - sfregiano l'effige di Ferdinando:
uno zero con due tagli sull'esemplare di sinistra, a voler dire che la dinastia non conta più nulla
(ma il segno potrebbe anche rappresentare una forca e simboleggiare un'impiccagione);
e poi la barba e i baffi rimarcati sull'esemplare di destra, a voler sbeffeggiare il Sovrano.




 Lettera da Messina a Torino del 21 febbraio 1859, affrancata per 22 grana.
Sulle effigi di Re Ferdinando c'è un segno che richiama il baffo di Re Vittorio Emanuele.

Garibaldi sbarca in Sicilia e le lancette della Storia girano al contrario, il calendario retrocede a un tempo antecedente l'1 gennaio 1859 -  il giorno di emissione dei "Testoni" - e prosegue la sua corsa all'incontrario sino al 15 maggio 1849, l'ultimo giorno di un effimero Regno di Sicilia proclamato dai rivoluzionari il 25 marzo 1848.

Il Decreto di Alcamo - 17 maggio 1860 - si riannoda idealmente a quel 25 marzo di dodici anni prima, riconsegna attualità alla dichiarazione di decadenza dei Borbone, ripristina ipso facto il Parlamento siciliano e ne richiama leggi e decreti.


I primi due articoli del Decreto di Alcamo.

Ma è solo un maquillage, un'operazione di facciata, perché l'assalto garibaldino non condivide nessuno dei principi ispiratori dei moti del 1848 (e del 1837 e del 1820). Quelli erano movimenti secessionisti, questo è un atto di pirateria internazionale. Quelli simboleggiavano la libertà e l'indipendenza dell'Isola, questo è un escamotage per consegnare la Sicilia ai Savoia. Lo stratagemma è arguto: riconoscere surrettiziamente l'esistenza di uno Stato siciliano usurpato - il Regno di Sicilia del 1848 - proclamarsene Dittatore e portarlo poi in dote a Re Vittorio Emanuele, in nome dell'Italia unita. E' un pizzicare ciò che conviene dalla Storia delle Due Sicilie, un cherry picking strumentale a una strategia politica definita altrove, sicuramente lontano dalla Sicilia.

La suggestione di un legame tra il '48 e il '60 prende forma nel simbolo comune alle due rivolte - la Trinacria, la Triscele, la Gorgone - che offre oggi una via privilegiata per cogliere la transizione da un potere a un altro, con tutto il corredo di inerzie, traumi, travagli e contraddizioni.

La Trinacria arriva in Sicilia introno al VII secolo a.C.
e ne diviene un elemento di così forte identificazione
da essere interscambiabile col nome stesso dell'Isola.
Nel 1282 la si trova nella bandiera dei rivoluzonari del Vespro,
ma è nel 1302, con la Pace di Caltabellotta,
che si realizza la massima compenetrazione tra nome, simbolo e terra:
Gli Aragonesi battezzano l'Isola come "Regno di Trinacria",
per distinguerlo dalla parte continentale in mano agli Angioini,
che conserva il tradizionale nome di "Regno di Sicilia".
La Trinacria diventa un'icona di separazione, indipendenza e autonomia,
tutte ambizioni già incorporate nella geografia stessa di un'isola,
nel suo essere immutabile e distinta dal resto, per volontà di Madre Natura.

"Che da qui innanzi lo stemma della Sicilia sia il segno della Trinacria senza leggenda di sorta" - aveva proclamato il Parlamento Siciliano nel 1848.

I timbri postali offrirono la via più veloce per concretizzare la disposizione, per materializzarla in un oggetto della vita quotidiana, destinato a circolare e perciò a diffondere il mutato stato di cose, a ribadire continuamente l'indipendenza della Sicilia da Napoli.

Gli uffici locali si sbizzarrirono nell'allestire nuovi bolli amministrativi, in mancanza di un modello ufficiale prestabilito. Fiorirono Trinacrie di varie dimensioni e fogge, e sempre di notevole impatto visivo, alcune addirittura senza il nome dell'Autorità da cui proveniva la missiva - in linea di principio obbligatorio, per accertare il diritto alla franchigia - probabilmente a seguito di un'interpretazione letterale della disposizione "lo stemma della Sicilia sia il segno della Trinacria senza leggenda di sorta".

I bolli "REAL SERVIZIO" diventarono "PUB. SERVIZIO" - scalpellando l'aristocratico "REAL" per sostituirlo col democratico "PUB"(BLICO) - e in alcuni casi direttamente "SERVIZIO PUBBLICO".

I bolli amministrativi testimoniavano il diritto alla franchigia, all'esonero del pagamento.
Il bollo della Trinacria sostituì il sigillo borbonico col panciuto doppio ovale,
che ostentava le insegne della dinastia e il nome del Re.





 Lettera del 4 luglio 1848, da Trapani a Palermo, con il bollo del Comitato Provvisorio di Trapani.



 Lettera dell'1 aprile 1848, dal municipio di Savoca.  



 Lettera del 16 ottobre 1848, da Ferla a Palermo, "via" Buccheri.




Una Trinacria "muta". 

La restaurazione borbonica eclissò le impronte rivoluzionarie con la stessa rapidità con cui erano sorte. I lealisti borbonici ne distrussero gran parte, e gli stessi siciliani ribelli ne eliminarono più d'una, per non trovarsi alla sbarra degli accusati. Ma alcuni timbri sopravvissero, messi da parte da rivoluzionari indomiti, in attesa di tempi migliori.


E i tempi migliori arrivano. Maggio 1860, Garibaldi, la "Spedizione dei Mille". Il Generale sbarca in Sicilia, inizia la sua scorribanda per l'Isola, sconfigge l'esercito borbonico e travolge pure i "Testoni", che via via scompaiono dalla quotidianità della comunicazione a distanza. E proprio il servizio postale - con i suoi oggetti e i suoi segni - ci restituisce tutta la complessità dell'intreccio tra i sentimenti del popolo, l'azione dei rivoluzionari e i superiori obiettivi politici.

I siciliani rispolverano le antiche Trinacrie e forse ne creano di nuove. Il simbolo dell'Isola ricomincia a circolare e con esso la speranza di una Sicilia indipendente. C'è per contro la precisa volontà politica di inibire un simbolo potenzialmente equivoco, capace di eccitare gli animi, di riallacciare i nodi con la rivolta del '48, quando ora lo scopo è tutt'altro, quando la legalità è ora codificata dallo stemma sabaudo.



Il sigillo di franchigia del Comitato di Girgenti compendia l'entropia politica del momento.
Il bollo riproduce due bandiere italiane con l'ideale tricolore,
incrociate e sormontate dalla Trinacria, emblema dell'indipendenza della Sicilia.
E ci fu chi aggiunse a mano due croci nella striscia bianca della bandiera,
a voler richiamare lo scudo della dinastia dei Savoia.

Francesco Romeo - Governatore del distretto di Acireale, nel catanese - diramò nel luglio del '60 una circolare che non era certo il prodotto di un'iniziativa personale, ma la pedissequa esecuzione di ordini superiori (come testimonia la concomitante riduzione dell'uso delle Trinacrie in tutta la Sicilia).

"Acireale il dì 14 luglio 1860.

Signore con sorpresa vengo ad osservare che non tutti i municipi si sono provvisti di suggello nazionale ma che invece alcuni si servono di quelli del 1848 o di altri così contraffatti che non lasciano rivelare ciò che vogliono intendere.

Ed essendo miglior cosa non far uso di suggello alcuno che porne di o illegali o sconci, io nel riprovare la passata condotta, debbo imporre che subito le amministrazioni e le autorità di tutte del municipio si provveggano di legali suggelli. Firmato il governatore 'F. Romeo' ".

Il distretto di Acireale fu il primo a cambiare bandiera:
già il 6 giugno 1860, due giorni dopo la ritirata dei borbonici,
entrarono in uso i nuovi sigilli, con le bandiere dei Savoia.

Eliminare la Trinacria significava mettere in sordina la millenaria identità della Sicilia, ma una storia così prepotente non poteva sparire. Non tutti gli uffici si rassegnarono a pensionare il simbolo storico dell'Isola, nonostante i severi divieti di utilizzo. La Trinacria continuerà a passeggiare sul territorio siciliano nel corso di tutto il 1860, e poi ancora in periodo di Regno d'Italia, nel giugno del 1861 - nei Comuni di Sambuca, Corleone e Monterosso Almo -, e ancora più tardivamente e temerariamente nel giugno del 1861 - nel Comune di Villarosa - e addirittura nel novembre del 1861, a opera del Comando della Guardia Nazionale di Sambuca.








Una carrellata di Trinacrie del 1860.

E' un fatto rilevante il persistere nel tempo - nel 1848 come nel 1860 e ancora oltre - dei bolli nominativi  ovali già in dotazione alle Officine Postali, che non riportavano i simboli del regime borbonico, e perciò potevano pure tollerarsi, così come dei timbri tecnici "FRANCA" e "ASSICURATA", politicamente neutri, quindi innocui.

Lettera da Marsala a Trapani, del maggio 1861,
affrancata con un esemplare da 10 centesimi della IV emissione di Sardegna,
annullato col bollo ovale di Marsala, di fornitura borbonica.

Garibaldi sbarca in Calabria il 19 agosto 1860 ... e cosa trova? L'indomita Trinacria! I francobolli del Regno di Napoli portano addosso il cavallo rampante, i gigli borbonici e la Gorgone, a custodire la memoria storica dell'unione dei due Regni, a enfatizzarne il legame, a ricordare che Napoli e Sicilia, i Domini al di qua e al di là del Faro, appartengono alla stessa dinastia, i Borbone di Napoli.

Il 50 grana di Napoli (1858).

E la Trinacria si prese allora la sua rivincita.

Gli editori dei giornali pressarono il nuovo Governo dittatoriale con una richiesta precisa: ridurre la tassa per la spedizione dei giornali.

Sul giornale "L'Omnibus" del 13 settembre 1860, tra le "Preghiere al Dittatore Garibaldi",
compare la richiesta di riduzione del tassa per la spedizione dei giornali. 

La pretesa di uno sgravio economico trovava un fondamento ideale nel principio di libertà di opinione (e quindi di stampa, il mezzo a più alta diffusione per veicolare le opinioni) e tornava utile allo stesso Garibaldi, perché tutti i giornali avevano volutamente sposato una posizione filo-governativa, e il Generale non poteva che trarre vantaggio da una diffusione più capillare di un'informazione a lui favorevole.

Il gioco dell'equivalenze con le tariffe sarde portò a dimezzare il costo di spedizione dei giornali, da mezzo grano a un quarto di grano, vale a dire mezzo tornese. Mancava però l'oggetto necessario ad attuare la disposizione amministrativa. L'emissione napoletana del 1858 spaziava dal ½ grano al 50 grana, e la creazione ex novo di un esemplare da ½ tornese avrebbe portato via un tempo tale da vanificare gran parte dei vantaggi attesi. Ci si doveva appoggiare a ciò che già esisteva, la tavola del francobollo borbonico da ½ grano, da cui scalpellare la "G" (di grano) per sostituirla con la "T" (di tornese), e poi stampare in azzurro anziché in rosa, per facilitare la distinzione tra i due esemplari, ma più probabilmente per recepire il colore ufficiale della nuova dinastia.

Ne uscì fuori un francobollo magnifico, figlio di un incrocio - i simboli dei Borbone e della Sicilia, intinti nell'azzurro di Casa Savoia -, ma con lo stigma del purosangue, uno dei francobolli più straordinari degli Antichi Stati Italiani, il francobollo della dittatura del Generale Garibaldi, quell'incredibile francobollo che tutti i collezionisti chiamano da sempre ... Trinacria!

La Trinacria di Napoli (1860)

Commenti

  1. La Trinacria del 1860 dimostra come i risultati migliori si ottengono unendo e sintetizzando le diversità: in piccolo, era un messaggio di speranza per l'Italia futura. Poi, come sappiamo, le cose sono andate diversamente.

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