TOSCANA - Fine di un amore mai iniziato davvero

Granducato di Toscana, 1857.
1 quattrino nero, filigrana a linee ondulate,
annullo a quattro sbarre in azzurro.
Provenienza:
Renato Mondolfo, Catalogo n. 7, 1966, lotto n. 1095;
 Giacomo Avanzo, Catalogo n. 7, 1992, lotto n. 585.
Ex Collezione "Luxus"
(Asta David Feldman, 1 maggio 2009, lotto n. 20131).
   
Il Blog promuove un collezionismo filatelico impostato su due modelli innovativi (senza peraltro negare la tradizione, nell'assunto che i risvolti intellettuali ed emozionali dei francobolli non contrastino il mainstream).
 
Da un lato c'è il modello del semioforo, l'idea del francobollo come oggetto portatore di significati - non solo postali, ma soprattutto politici, sociali, culturali e artistici - e quindi della collezione come una costruzione capace di rivelare tutto ciò di cui gli oggetti filatelici sono carichi. La Collezione "Al di qua del Faro" ne è l'esempio.
 
Dall'altro c'è il modello della bellezza, l'idea del francobollo classico come una forma d'arte - sebbene inconsapevole al momento della sua creazione - suscettibile di colpire, meravigliare, incuriosire, e aprire così una porta privilegiata verso lo studio, la ricerca, la conoscenza. La Collezione "Brigata Estense" ne è l'esempio.
 
Nel 2014 avevo avviato la costruzione della Collezione "Marzocco" del Granducato di Toscana, immaginandola come un punto mediano rispetto ai due poli di riferimento: volevo portare a contatto con un mondo denso di significati, sorprendendo al tempo stesso con la particolarità degli esemplari.
 
Dopodiché, negli anni, sono successe tante cose, sicuramente troppe per raccontarle tutte.
 
Mettiamola così: qual è - secondo voi - la forza trainante del processo collezionistico?
 
Io non ho dubbi: l'alea, il caso, l'imprevedibile, il non sapere dove, come, quando.
 
Voi non potete mai sapere dove, come e quando incontrerete il pezzo che state aspettando da una vita. Potreste non incontrarlo mai, e lasciare questo mondo senza aver provato il brivido del suo possesso. O forse, chissà, è nella prossima pagina del catalogo che avete tra le mani. Non lo sapete e non c'è modo di saperlo: chissà se sarà in bella mostra sul sito internet di una casa d'asta internazionale, o se lo troverete relegato all'angolo di un'offerta di vendita anonima; se dovrete pagarlo o strapagarlo, e magari impossessarvene versando non denaro ma oro e sangue, o se lo porterete via a due spicci; se si troverà in asta (per cui ci sarà da battagliare con altri, essere gli ultimi a rilanciare) o a prezzo netto (e si dovrà allora essere più veloci degli altri, i primi ad arrivare) oppure sepolto in una vecchia collezione che eravate andati a vedere controvoglia (solo perché il proprietario aveva insistito per mostrarvela).

Le casistiche sono illimitate, e ogni volta che pensate di aver già visto tutto, ecco spuntarne una nuova, ancora in grado di sorprendervi.

Nessuno conosce quel giorno e quell'ora, e il pezzo desiderato arriva spesso come un ladro di notte, parafrasando ignobilmente i Vangeli.

L'essenza del collezionismo è tutta qui: saper attendere con gioia e fede, precostituendo i mezzi per i propri obiettivi, senza sperperarli in tentazioni, per poter essere risoluti e implacabili quando l'attesa finisce.

Ogni nuova offerta di vendita può segnare la fine dell'attesa e ogni offerta di vendita - per me - è motivo d'eccitazione: sfoglio le pagine di "Modena" e "Parma", di "Sicilia" e "Napoli", con un misto di curiosità e speranza; consulto con vivo interesse pure "Lombardo Veneto", "Pontificio" e "Sardegna", e tutto il mondo dei "Provvisori", anche se non rientrano tra i miei diretti interessi collezionistici, perché non si sa mai cosa possano contenere.
 
Il più delle volte non trovo nulla, ma non importa, perché il punto non è "trovare" o "non trovare".

Collezionare vuol dire filtrare e il filtraggio collezionistico obbliga a sollevare tonnellate di sabbia, per intercettare la più minuta pepita. Non importa quante volte il filtraggio possa fallire nello scovare un pur piccolo oggetto di valore. Conta solo che ogni volta può essere la volta buona, perché nessuno sa il giorno e l'ora, e il tuo più grande desiderio potrebbe essere proprio lì, nella prossima pagina del catalogo che stai sfogliando.
 
 
Consulto così ogni pagina di un'offerta di vendita: con l'animo di chi stava aspettando da tanto tempo, da così tanto che stava per andarsene, e invece ha fatto bene a restare, perché quella pagina si è rivelata la storia più incredibile che conosco.
 
Vivo così, con questo stato d'animo, la visione delle offerte di "Modena" e "Parma", di "Sicilia" e "Napoli" - e pure di "Lombardo Veneto", "Stato Pontificio", "Sardegna" e "Provvisori", anche se non li colleziono - ed è uno stato d'animo che basta a sé stesso, che non chiede null'altro, perché è già bello provare la sensazione, anche se poi, il più delle volte, non trova il contraltare materiale dell'oggetto desiderato.
 
Vivo così il contatto con con tutti gli Antichi Stati Italiani, a eccezione di uno: la "Toscana".
 
La "Toscana" - sui cataloghi di vendita - l'ho sempre guardata con sufficienza, svogliato, senza emozione, perché già sapevo di non poter trovare nulla di mio interesse. 
 
La differenza tra una probabilità infinitesima e una probabilità nulla sarà pure irrilevante in termini quantitativi, ma è abissale sul piano concettuale. Un conto è giocare al superenalotto, con una chance di vincita di 1 su 622 milioni. Cosa totalmente diversa è non giocare affatto. Perché se giochi sei legittimato a sperare - per quante volte la tua speranza sia andata frustrata - ma se non giochi non hai neppure il diritto a sperare.
 
E gran parte delle cose della vita (tutte?) perdono di significato, se private del diritto a sperare.
 
Si spera - per definizione - su un evento incerto, per cui l'incertezza si rivela sorprendentemente un potenziale motore dell'attività umana.
 
Se viene meno l'incertezza viene meno la speranza, e a un livello più basilare scompare la curiosità, e senza curiosità non può aversi il collezionismo.

Diciamolo francamente: consultare le offerte di "Toscana" non mette nessuna curiosità, perché il mercato dei francobolli toscani è un cornering market.
 
 Il 24 settembre 1869 è il primo "Black Friday" del mercato americano,
e a provocarlo sono due soli speculatori, James Fisk e Jay Gould.
La Guerra Civile si è conclusa da poco,
 il Presidente degli Stati Uniti, Ulysses Grant, fronteggia un ingente debito federale.
Immagina di gestirlo stabilizzando il valore del dollaro,
attraverso una progressiva immissione di oro sul mercato ufficiale,
ed è allora che Fisk e Gould intravedono la possibilità di acquisire una posizione dominante:
bisogna rastrellare quanto più oro possibile - perché sul mercato non ve n'è poi così tanto -
e convincere il Presidente Grant a non immetterne più di nuovo.
I due speculatori avviano un'intensa e pervasiva attività di lobby, che sortisce i suoi effetti:
alla data del 16 settembre, Fisk e Gould detengono i due terzi dell'intero mercato,
e sono loro, di fatto, a stabilire quanto vale l'oro e a quali condizioni si negozia.
Ma il 24 settembre il Presidente Grant opera la sua contromossa:
mette in circolo ben 4 milioni di dollari in oro,
e il prezzo del metallo prezioso crolla del 18% in appena un'ora. 
Il mercato azionario - di rimando - scende del 20%.
Numerosi broker dichiarano bancarotta,
i prezzi delle materie prime si destabilizzano, il commercio si blocca.
Gould e Fisk scampano a malapena al linciaggio di una folla inferocita,
 e se la caveranno anche in tribunale, giocando su collusioni e formalismi giuridici:
manterranno i loro guadagni illeciti e nessuno dei due trascorrerà un solo giorno in prigione.
Il Presidente Grant, per contro, passerà il resto del mandato con addosso l'ombra del "Black Friday".
 
 
 
Tra il 1979 e il 1980 il prezzo dell'argento passa da 6 dollari all'oncia a un massimo di 48 dollari.
Dietro al balzo del 712% ci sono i fratelli Hunt -  Nelson Bunker e William Herbert -
imprenditori nel mercato petrolifero, figli del miliardario texano Haroldson Lafayette Hunt.
E' sempre la stessa storia: un terzo del mercato mondiale dell'argento è in mano loro,
e sono loro che ne determinano il prezzo e le condizioni di negoziazione,
con un atteggiamento così aggressivo e sprezzante
da indurre la gioielleria Tiffany ad acquistare una pagina sul "New York Times"
per stigmatizzare pubblicamente il loro operato di monopolisti.
La Borsa Valori americana cambia però le regole del gioco:
per restare sul mercato, per mantenere aperte le posizioni, 
non si possono più avere debiti superiori a una certa soglia,
e tutta l'operatività dei fratelli Hunt - ahi loro - è finanziata a debito.
La richiesta di chiusura delle posizioni degli Hunt equivale a un terremoto:
il calendario segna "giovedì 27 marzo 1980", il cosiddetto "Silver Thursday".     
 I fratelli Hunt riusciranno nell'immediato a tenere botta,
grazie a una linea di credito di 1 miliardo di dollari aperta da un consorzio di banche;
ma nel tempo vedranno ridursi progressivamente il loro patrimonio personale,
che dai 5 miliardi del 1980 scenderà sotto il miliardo nel 1988,
quando saranno infine riconosciuti responsabili del "Silver Thursday",
e costretti a dichiarare bancarotta, una delle più gravi della storia del Texas.  

 
 
I mercati finanziari e delle materie prime hanno una rilevanza istituzionale:
dal loro corretto funzionamento dipendono il regolare sviluppo dell'attività economica
 e l'ordinaria situazione di solvibilità di famiglie, imprese e investitori.
I Governi hanno perciò da sempre considerato il "cornering" (dei mercati istituzionali)
come un reato da perseguire con fermezza, perché suscettibile di alterare la civile convivenza.
Il mercato filatelico, per contro, è un settore di nicchia - di estrema nicchia -
senza effetti significativi sul sistema economico, per quanti sconquassi vi possano avvenire.
Si potrebbe anzi dire - ironicamente ma non troppo - 
che il mercato filatelico ha lo scopo di separare gli idioti dal loro denaro.
Ma di là delle battute c'è un fatto di valore assoluto da rimarcare:
il "cornering" rimane una pratica immorale, censurabile a prescindere,
anche quando non ha effetti sistemici, ma limitati a un circolo ristretto.
E' il principio che conta, come si dice con un'espressione inflazionata,
di cui serve ora riscoprire tutto il valore e l'importanza.
E' il principio che conta:
accaparrarsi oggetti, non per collezionarli, e neppure per venderli,
ma solo per vantare una posizione dominante, per fare il bello e il cattivo tempo,
per indirizzare il mercato e condizionare chi ci si trova dentro,
è un atteggiamento di per sé censurabile, da denunciare apertamente,
affinché - se non proprio perseguibile - sia almeno stigmatizzato all'unanimità.  
 
Sarebbe interessante approfondire l'origine e gli sviluppi del cornering market della "Toscana", ma l'indagine richiederebbe tempo, e qui -  a ogni modo - il punto è un altro.
 
Non esiste un modo intelligente di stare su un mercato messo all'angolo, non vi sono strategie o tattiche per partecipare con gusto a un gioco truccato.

L'unica scelta razionale - a livello individuale - è battere in ritirata, rinunciare a tutto ciò che il mercato può offrire, pur di togliersi dall'angolo.
 
Da qui la decisione estrema, sofferta, ma inevitabile: smontare la Collezione "Marzocco", liquidarla.
 

La "Marzocco" - oggi - non esiste più; però è esistita, e gli esemplari che vedrete - nello stato "da cantiere aperto" in cui si trovavano l'ultima volta - sono stati effettivamente presenti in un unico album; il suo possesso - per me - è stata una gioia; spero possa essere - per voi - un motivo di ispirazione, una forma di educazione al filtraggio.

Una tranche consistente della "Marzocco" è stata venduta quest'estate, a trattativa privata, con piena soddisfazione sia mia che dei vari acquirenti; la parte complementare - numericamente esigua, davvero pochi pezzi, ma tutti di un certo interesse - è invece andata in asta, anche qui con risultati che mi hanno lasciato soddisfatto.
 
La "Marzocco" - oggi - non esiste più, ma ho voluto trattenere un suo leone nelle mie gabbie, in ricordo delle scorribande per il Granducato: il quattrino Mondolfo-Avanzo-Luxus, il più bel francobollo del Granucato di Toscana.


                                            
 
 
 


Non mi sfugge l'irritualità della decisione, il suo trovarsi ai margini del galateo filatelico.
 
E' buona norma dar via in blocco ciò che si possiede, rimettere in circolo tutti i pezzi della propria collezione, quando si abbandona un settore. E' una forma di rispetto, soprattutto se vi sono esemplari famosi, bramati, decisivi per marcare il progresso delle collezioni di chi è rimasto nell'agone. Perché la filatelia - ci ricorda Enzo Diena, nella prefazione a "Scilla e Cariddi" - vive di dinamicità, e amare la filatelia significa favorire i passaggi di mano ogni volta che se ne presenta l'occasione.
 
Dopo vario ragionare, e tra parecchi scrupoli, mi si è infine aperto un cassetto della memoria su una pratica del calciomercato spagnolo: la clausola rescissoria.
 
La clausola rescissoria è l'escamotage con cui la ferma volontà di trattenere un oggetto (da parte di chi lo possiede) si riconcilia col desiderio smodato di entrarne in possesso (da parte di chi lo vorrebbe acquistare).
 
Una clausola rescissoria non è un prezzo, che si può negoziare, mediare, rateizzare, secondo i meccanismi di contrattazione tipici del mercato.
 
Una clausola rescissoria è un dato contrattuale: se paghi l'importo fissato nella clausola - se effettui un bonifico o stacchi un assegno - il contratto ti dà il diritto a impossessarti dell'oggetto, e obbliga il proprietario a cedertelo, senza discussioni.
 
La clausola è quindi sottratta alla "situazione del mercato", qualunque cosa voglia dire questa buffa espressione in una realtà complessa e variegata come quella del cosiddetto "mercato filatelico".
 
Perciò è sciocco contestare la clausola, sorriderne o montarci sopra dell'ironia, e magari dire che a quel prezzo - al prezzo della clausola - l'oggetto non si venderà mai: perché chi lo possiede non vuole venderlo, e la clausola è fissata per scoraggiare l'acquisto, non per incentivarlo, salvo piegarsi controvoglia alla cessione, se qualcuno la paga effettivamente.
 
La clausola rescissoria si paga o si rifiuta. Tertium non datur.
  
"Non vi è al mondo collezione completa né fra le private né fra le pubbliche.
E non v'ha piccola collezione che non contenga qualche pezzo desiderato dalle più insigni"
(Aforisma numismatico XXIV)

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