SPIGOLATURE NAPOLETANE - Il blocco di otto della "Crocetta"

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La "spigolatura" - nel senso originario - è la ricerca delle spighe di frumento rimaste nel campo (dopo la mietitura) fatta dalle classi più povere, su concessione dei padroni.
Il significato è poi slittato sulla raccolta di notizie o argomenti d'interesse secondario, presentati al pubblico come semplici curiosità, senza curarsi troppo della qualità delle fonti (in tanti ricorderanno la pagina delle "Spigolature" nella "Settimana Enigmistica", una variopinta miscellanea di bizzarrie e amenità, d'incerta verosimiglianza).
Il titolo del post - in questo senso - non rende giustizia allo sforzo di precisione nella sua stesura, e vuole più che altro alzare le cautele nella lettura: le informazioni certe sono poche; le testimonianze indirette ancora meno; e di esperienze vissute in prima persona non ce ne sono proprio; la ricostruzione ha pertanto una forte connotazione indiziaria, congetturale, retta principalmente dalla coerenza interna alla narrazione più che sull'esibizione di dati di fatto (che pure ci si è sforzati di racimolare in gran quantità).
La "Croce di Savoia"
La "Croce di Savoia" - abbreviata in "Croce", o più familiarmente in "Crocetta" - è il francobollo napoletano da ½ tornese della luogotenenza di Carlo Luigi Farini, emesso in sostituzione della "Trinacria" (a sua volta emessa nel corso della dittatura garibaldina per allineare il costo di spedizione dei giornali alle tariffe sarde).
L'avvicendamento rispondeva a una precisa ragione politica, istituzionale: smazzar via i simboli del regime borbonico dalle carte-valori postali, o almeno così si dice, con un certo pressappochismo, giacché l'emissione napoletana del 1858 accoglieva sì gli emblemi del potere (i tre gigli, per tradizione la sintesi dello stemma dei Borbone) ma anche le storiche icone dei luoghi su cui quel potere si esercitava (il cavallo sfrenato napoletano e la trinacria siciliana, a tutt'oggi sugli stemmi della città di Napoli e della Regione Sicilia).
La "Crocetta" - come già prima la "Trinacria" - era stata concepita per affrancare i giornali, ma volendo si poteva usarla anche come francobollo di posta ordinaria, sebbene il ridotto valore facciale la rendesse scomoda (per la gran quantità di pezzi necessari ad assolvere la tariffa desiderata).
L'avvicendamento rispondeva a una precisa ragione politica, istituzionale: smazzar via i simboli del regime borbonico dalle carte-valori postali, o almeno così si dice, con un certo pressappochismo, giacché l'emissione napoletana del 1858 accoglieva sì gli emblemi del potere (i tre gigli, per tradizione la sintesi dello stemma dei Borbone) ma anche le storiche icone dei luoghi su cui quel potere si esercitava (il cavallo sfrenato napoletano e la trinacria siciliana, a tutt'oggi sugli stemmi della città di Napoli e della Regione Sicilia).
La "Crocetta" - come già prima la "Trinacria" - era stata concepita per affrancare i giornali, ma volendo si poteva usarla anche come francobollo di posta ordinaria, sebbene il ridotto valore facciale la rendesse scomoda (per la gran quantità di pezzi necessari ad assolvere la tariffa desiderata).
Già l'affrancatura standard da 2 grana - coperta da un francobollo borbonico dedicato - avrebbe richiesto ben otto esemplari della "Croce", ed è noto infatti soltanto un documento simile, appartenuto prima a Maurice Burrus, poi al Professor Imperato, e oggi di proprietà del dottor Piccirillo.

Otto esemplari della "Crocetta"
- due strisce di 3, una orizzontale e una verticale, e due esemplari singoli-
su frontespizio di lettera, annullati "a svolazzo".

Le pagine delle collezioni di Imperato e Piccirillo.
E poi c'è il mitico blocco di otto, il più grande multiplo della "Croce".
Otto "Crocette", in blocco
Il blocco di otto della "Crocetta" - usato, con annullo "a svolazzo" di tipo 16 - è la più grande rarità filatelica dei periodi della Dittatura e Luogotenenza napoletane, secondo le classifiche del Catalogo Sassone.
Attualmente il blocco è custodito nella collezione di Bernardo Naddei.

La pagina della Collezione Naddei.
Ma lo stato in cui la vediamo oggi non è lo stesso di quando apparve per la prima volta sotto gli occhi dei collezionisti...
Asta Caspary, "Sale 7", lot 686
Posizioniamoci in un punto spazio-temporale di notevole valore simbolico: New Jork, 28-30 gennaio 1957, "Sale 7" della Collezione Caspary, dedicata agli Antichi Stati Italiani.
E per riportarci al clima e alla sensazioni di allora vi propongo un'immagine d'epoca, che è un tuffo al cuore.

Giulio Bolaffi (col braccio alzato) accanto a Renato Mondolfo, nella sala d'asta della vendita Caspary.
L'asta procede a gran ritmo, le aggiudicazioni si susseguono senza soluzione di continuità (alla fine sarà sold-out) e un lotto dopo l'altro si arriva al numero 686, al nostro blocco di otto, che si presenta su un grande frammento, corredato da una descrizione in chiaro-scuro.


Cosa sta dicendo il banditore?
Sostanzialmente che il blocco non è coevo col frammentone su cui si trova, perché il tipo di "svolazzo" (che annulla i francobolli) non è compatibile con la località (segnalata dal timbro circolare). Però, nonostante l'incongruenza, rimane un pezzo ben conosciuto e ampiamente recensito, dice ancora il banditore, che rimanda poi alla pagina 150 della monografia di Emilio Diena sui francobolli napoletani, per maggiori informazioni.
E andiamo a vederla, allora, questa pagina 150.
Il blocco di otto della "Croce"
nell'opera di Emilio Diena

La ricostruzione di Emilio Diena ci consente anzitutto di retrodatare al 1909 la prima apparizione del pezzo davanti al pubblico di collezionisti e operatori.
Da notare - poi - che il Maestro sembra incorrere in una svista: sostiene che il blocco "è tuttora aderente a una lettera" (quando in realtà si tratta di un frontespizio) e che il blocco della Croce è "annullato con il bollo 'a svolazzo' di Taranto" (quando sappiamo che non è così - "the type of the 'Annullato' cancellation is not the one appropriate to Taranto", scrive il banditore della Caspary - e già all'epoca il quadro degli "svolazzi" era ben documentato, alle pagine 213-223 della stessa opera del Diena).
Personalmente vedo due possibilità: un semplice, banale errore - anche i grandi sbagliano! - o una gentilezza estrema verso il rinomato collezionista - Alfred Caspary - che aveva usato la cortesia di fornire una riproduzione fotografica.
Comunque sia, per riepilogare in prospettiva storica, si può dire che la più grande rarità filatelica dei periodi della Dittatura e Luogotenenza napoletana si è sempre mostrata al pubblico - nel 1909 prima, nel 1932 poi, e infine nel 1957 - attaccata a un frammento posticcio (da cui è stata rimossa in seguito).
Ma perché il blocco si trovava su quel frammento?
Chi ce l'aveva collocato?
E perché?
E chi fu a rimuoverlo?
Ma perché il blocco si trovava su quel frammento?
Chi ce l'aveva collocato?
E perché?
E chi fu a rimuoverlo?
Il "coraggio" di Renato Mondolfo
Iniziamo... dalla fine.
Chi fu a rimuovere il blocco di otto della "Croce" dal frammento posticcio?
Chi fu a rimuovere il blocco di otto della "Croce" dal frammento posticcio?

La fonte è attendibile, e tanto basterebbe ai più, ma due fonti sono meglio di una, e così ho voluto interpellare una figura autorevole, particolarmente vicina a Renato Mondolfo, che non solo ha confermato l'affermazione del Cerruti, ma l'ha pure colorata: sì, fu Mondolfo ad acquistare il blocco di otto della "Crocetta", e a fargli il "bagnetto" per staccarlo dal frammentone... già nel bagno dell'albergo, subito dopo l'asta, senza neppure aspettare di tornare a casa.
Che il blocco sia stato rimosso piuttosto in fretta - se non il giorno stesso, di sicuro in tempi brevi - ne abbiamo conferma da un articolo d'epoca sulle "sorelle azzurre" (sul numero 7 della rivista "Il Collezionista - Italia Filatelica", anno 1958) dove il blocco compare libero dal supporto cartaceo.


Un punto lo abbiamo intanto portato a casa - fu Mondolfo ad acquistare il blocco e a rimuoverlo - e però contestualmente se ne è aperto un altro: perché - come scrive Cerruti - "ci volle coraggio"?
L'avvertenza di ogni storico quando si accinge a ricostruire il passato - la cura maggiore, lo scrupolo di metodo - si può declinare al negativo: non giudicare ciò che accadeva allora con la sensibilità di ora.
Può sembrare ovvio, ma è proprio dal non prestare la dovuta attenzione alle ovvietà, ritenendole erroneamente banali, che si rimane invischiati nei peggiori fraintendimenti.
"Ci volle coraggio per acquistarlo": in questa affermazione riecheggiano tutte le preoccupazioni degli operatori filatelici dell'anno 1957, che ragionavano con la mentalità del 1957, su un oggetto creato però artificialmente oltre mezzo secolo prima, se non in tempi ancora più remoti.
E qual era la mentalità del 1957? La stessa di oggi, rispetto al caso specifico: c'è qualcosa che non va, se il blocco si trova su un frammentone su cui non dovrebbe stare; probabilmente è riparato; probabilmente lo hanno attaccato al frammentone per nascondere la riparazione.
E ben sappiamo come funziona in filatelia: la somma di tanti "probabilmente" diventa prima o poi un "certamente", e quando l'effetto stigma si è abbattuto su un pezzo non c'è potenza di argomentazione contraria per riabilitarlo.
Ci voleva coraggio a comprare il blocco di otto della "Croce", un pezzo che spuntò il secondo miglior realizzo dell'asta, cubando da solo il 7% del monte-realizzi, e che si sarebbe potuto sfaldare sotto gli occhi di chi lo avesse sottoposto a un "bagnetto" per rimuoverlo dal supporto posticcio (operazione inevitabile, vista la mutata consapevolezza collezionistica).
Può sembrare ovvio, ma è proprio dal non prestare la dovuta attenzione alle ovvietà, ritenendole erroneamente banali, che si rimane invischiati nei peggiori fraintendimenti.
"Ci volle coraggio per acquistarlo": in questa affermazione riecheggiano tutte le preoccupazioni degli operatori filatelici dell'anno 1957, che ragionavano con la mentalità del 1957, su un oggetto creato però artificialmente oltre mezzo secolo prima, se non in tempi ancora più remoti.
E qual era la mentalità del 1957? La stessa di oggi, rispetto al caso specifico: c'è qualcosa che non va, se il blocco si trova su un frammentone su cui non dovrebbe stare; probabilmente è riparato; probabilmente lo hanno attaccato al frammentone per nascondere la riparazione.
E ben sappiamo come funziona in filatelia: la somma di tanti "probabilmente" diventa prima o poi un "certamente", e quando l'effetto stigma si è abbattuto su un pezzo non c'è potenza di argomentazione contraria per riabilitarlo.
Ci voleva coraggio a comprare il blocco di otto della "Croce", un pezzo che spuntò il secondo miglior realizzo dell'asta, cubando da solo il 7% del monte-realizzi, e che si sarebbe potuto sfaldare sotto gli occhi di chi lo avesse sottoposto a un "bagnetto" per rimuoverlo dal supporto posticcio (operazione inevitabile, vista la mutata consapevolezza collezionistica).



Proprio un bel coraggio, secondo la sensibilità del 1957.
Ma se il coraggio è osservabile, ciò che lo anima rimane invece occulto: c'è il coraggio dell'incoscienza, a un estremo; ci gli amanti del rischio "con juicio", sul versante opposto; e in mezzo c'è di tutto.
Renato Mondolfo non era certo il tipo d'uomo disposto a lanciare allegramente i dadi per correre rischi nel più iniquo degli azzardi. Mondolfo - semplicemente - non ragionava con la mentalità corrente, del 1957, ma con quella di cinquanta e passa anni prima, quando il frammentone fu creato ad arte. E presumibilmente sapeva - sentiva - che tutte le probabilità gli giocavano a favore.
Ma se il coraggio è osservabile, ciò che lo anima rimane invece occulto: c'è il coraggio dell'incoscienza, a un estremo; ci gli amanti del rischio "con juicio", sul versante opposto; e in mezzo c'è di tutto.
Renato Mondolfo non era certo il tipo d'uomo disposto a lanciare allegramente i dadi per correre rischi nel più iniquo degli azzardi. Mondolfo - semplicemente - non ragionava con la mentalità corrente, del 1957, ma con quella di cinquanta e passa anni prima, quando il frammentone fu creato ad arte. E presumibilmente sapeva - sentiva - che tutte le probabilità gli giocavano a favore.
(Non) vedere filatelia ovunque
Quand'è che si è essere innamorati di una cosa, di una situazione, o di una persona? Semplice: quando la si vede dappertutto.
Accade così che noi - innamorati folli della filatelia - vediamo filatelia e collezionismo filatelico ovunque.
Ci piace dire che il 6 maggio 1840 fu emesso il "Penny Black", e già il 7 maggio c'era chi lo chiedeva, non già per spedire lettere, ma per collezionarlo; ci piace vedere la prima forma di commercio filatelico nella gestione delle rimanenze dei francobolli dei Governi provvisori, da parte delle Poste sabaude; ci piace raccontarcela così, in un modo che retrodata il collezionismo a epoche il più possibile remote, come se la pulsione a collezionare (francobolli) fosse scritta nel DNA e stesse solo aspettando l'oggetto fisico per materializzarsi.
Accade così che noi - innamorati folli della filatelia - vediamo filatelia e collezionismo filatelico ovunque.
Ci piace dire che il 6 maggio 1840 fu emesso il "Penny Black", e già il 7 maggio c'era chi lo chiedeva, non già per spedire lettere, ma per collezionarlo; ci piace vedere la prima forma di commercio filatelico nella gestione delle rimanenze dei francobolli dei Governi provvisori, da parte delle Poste sabaude; ci piace raccontarcela così, in un modo che retrodata il collezionismo a epoche il più possibile remote, come se la pulsione a collezionare (francobolli) fosse scritta nel DNA e stesse solo aspettando l'oggetto fisico per materializzarsi.
Il dato di realtà è un filo diverso: il collezionismo filatelico - l'idea che gli oggetti postali siano meritori di custodia e protezione, di preservazione - non dico che sia relativamente recente, ma di sicuro ha impiegato un po' a farsi strada. Il periodo d'incubazione è stato lungo.
Pensate alla prassi iniziale di linguellare i francobolli, che già sul finire degli anni '40 aveva determinato due classi ben distinte di oggetti - i francobolli "con" e "senza" traccia linguella - con significativi riflessi sul piano economico, e polemiche già allora vibranti.
Pensate alla prassi iniziale di linguellare i francobolli, che già sul finire degli anni '40 aveva determinato due classi ben distinte di oggetti - i francobolli "con" e "senza" traccia linguella - con significativi riflessi sul piano economico, e polemiche già allora vibranti.


Estratto da "Mi passa la voglia di raccogliere francobolli",
di Franco Ciarrocchi, in "Italia Filatelica", numero d'oro, 1947.
Pensate - ancora - alla pratica di collocare un timbrino indelebile su francobolli e lettere, per marchiarne la proprietà o a titolo di certificazione, anche in presenza di grandi rarità - e a volte, anzi, proprio perché si fronteggiavano grande rarità - quando oggi i periti più accorti e sensibili si rifiutano persino di apporre la sigla a matita, anche su pezzi ordinari.

il più famoso (e costoso) francobollo al mondo:
vi si scorgono il trifoglio di Ferrari, la H e il quadrifoglio di Hind;
la stella a 17 punte della vedova Hind, la cometa di Small;
la sigla FK (Finbar Kenny) dell'agente di Small;
le iniziali IW di Irwin Weinberg;
la firma di Hohn du Pont.
Pensate con quanta pacchianeria si sporcava una lettera, per evidenziare la particolarità di un francobollo.

Pensate a tutto questo e a tanti altri abomini, e capirete che noi - collezionisti del nuovo millennio - non discendiamo dai filatelici del passato più di quanto l'uomo moderno possa provenire in linea diretta da una scimmia.
C'è stata un'epoca in cui si percepivano "normali" delle cose che noi, collezionisti moderni, riteniamo così palesemente assurde da non poterle neppure immaginare.


Due "saggi Masini" con annulli a penna postumi
- "bollo 59" sull'1 grano; una simil-griglia pontificia sul 2 grana -
apposti per far felice il collezionista dell'epoca, che li gradiva "usati".
E proprio a quell'epoca serve adesso ritornare.
"Con leggerezza e disinvoltura"
Stralcio un passaggio delle "Memorie" di Romolo Mezzadri - storico commerciante di francobolli, classe 1861, battezzato dalla storia come "primo perito filatelico d'Italia" - sulla singolare figura del Conte Giulio Cesare Bonasi, attivo nel commercio di francobolli intorno al 1880:"... quel negoziante trattava il commercio dei pezzetti di carta (come egli chiamava i francobolli) con una mentalità tutta sua speciale. Ad esempio: visto che gli esemplari allo stato di nuovi erano generalmente poco graditi dai collezionisti, aveva fatto fare dei timbri simili agli originali coi quali sporcava i francobolli non usati. Ma tutto ciò con la massima leggerezza e disinvoltura e senza una vera competenza sulla rarità di certi valori. Difatti io credo debbasi a lui attribuire un 3 lire di Toscana nuovo originale con annullamento falso!".


Il Conte Giulio Cesare Bonasi, originario di Carpi, in Emilia
- già editore di fatto della prima rivista filatelica nazionale, "La Posta Mondiale",
edita a Livorno a partire dal luglio 1873, durata per dodici numeri -
si trasferì a Roma sul finire del 1880 e avviò un suo commercio filatelico,
dapprima in via Frattina e poi in via del Corso, al civico 79,
dove curò anche la pubblicazione di un catalogo dei francobolli italiani
- con la descrizione delle varie emissioni, anche di Antichi Stati, senza illustrazioni -
precisando che i prezzi riportati non ne indicavano il possesso da parte dell'editore.
Intorno al personaggio si è creata nel tempo una discreta letteratura filatelica,
già nei titoli rivelatrice di una figura quanto meno ambigua, in chiaro-scuro:
"Il mistero del Bonasi", di Fabio Bonacina, in "Vaccari Magazine" (n. 49, 2013);
"Il conte Giulio Cesare Bonasi accusato di frode",
traduzione di un articolo d'epoca di Gerhard Lang-Valchs,
a cura di G. Ciccome, in "Qui Filatelia" (n. 85, settembre 2016);
"Il conte commerciante dalle idee tutte sue",
di Emilio Simonazzi, in "Storie di Posta" (n. 19, maggio 2019).
Un pamphlet accusatorio contro Bonasi e la moglie ("I moderni Cagliostri")
fu pubblicato da un anonimo, con falso luogo di stampa, già nel 1874.
C'è stata un'epoca in cui chi commerciava francobolli li riduceva al loro aspetto materiale - "pezzetti di carta", e quindi andava da sé che quella materia si potesse modificare - "con la massima leggerezza e disinvoltura" - su richiesta del proto-collezionista di turno, a cui in fondo non importava granché se l'annullo fosse vero o falso, purché ci fosse, perché il francobollo gli piaceva vederlo così, con l'annullo sopra purchessia.
Non tutti i commercianti ragionavano a tal modo, è chiaro, ma alcuni sì, e forse più di quanti se ne immagina, perché modificare gli oggetti postali secondo i desiderata del cliente rimaneva un'azione moralmente e socialmente accettabile.
E chi erano i più grandi commercianti di questa stramba epoca lontana?
Sicuramente vi si annoverava Ettore Ragozino, di Napoli: "la nostra casa, che oggi è la più importante d'Italia pel commercio di francobolli, fu fondata nel 1878".

Non parliamo solo di un mercante alla ribalta, di una figura di spicco nel commercio di francobolli, ma di un punto di riferimento nell'intero panorama filatelico, come testimonia il tema della relazione che presentò al 1° Congresso Filatelico Italiano, nel 1910.




Romolo Mezzadri ne fa peraltro un ritratto a luci e ombre, nelle sue "Memorie".
"E' stato il più grande incettatore di francobolli d'Italia e specialmente dell'ex regno di Napoli.
Verso
il 1890 era nulla, ma, molto svelto e intelligente, seppe afferrare la
fortuna che gli arrivò nel suo minuscolo negozio sotto la forma di un
domestico di nobile famiglia che gli cedette per poche lire un sacco
pieno di giornali fra i quali molti affrancati con i rarissimi
provvisori da ½ tornese trinacria e croce di Savoia del 1860.
Diventato
facoltoso da un giorno all'altro, non si fermò alla prima tappa, e
volle accaparrare quanti più fosse possibile di tali rari francobolli in
ispecie e degli antichi in genere, iniziando quella forma di reclame
che diffuse in tutta Italia, con la quale offriva prezzi allora ritenuti
fantastici, per l'acquisto di antichi francobolli. Fu così che formò
uno stock formidabile che però andò assottigliandosi negli ultimi anni
della sua non lunga vita; si spense infatti all’età di circa 50 anni.

Di sicuro gli affari di Ragozino andarono piuttosto bene, finché fu in vita, come s'intuisce dal trasferimento dei locali della ditta in via Roma, la zona all'epoca più importante della città, all'incrocio tra via Santa Brigida e l'attuale via Toledo, a due passi dalla Galleria
Umberto I, dal Teatro San Carlo, da Palazzo Reale, da Piazza
Plebiscito.
L'intraprendente
imprenditore napoletano - anche editore filatelico, con la rivista "Il commercio
dei francobolli: giornale trimestrale esclusivo per la compra e vendita
dei francobolli" - invitava la sua platea a ricercare francobolli degli Antichi Stati tra la vecchia corrispondenza, di cui si dichiarava acquirente a ottime condizioni, con una predilezione per i giornali e le
circolari del periodo 1860-61 coi francobolli della dittatura e luogotenenza, che "si
pagano a prezzo elevatissimo: 125 lire e più per ognuno di quelli con
la trinacria e cavallo di color bleu".
E' ben più di una semplice nota di folklore - sebbene Emilio Diena la presenti solo "a titolo di curiosità" - che il Ragozino "ebbe una volta la singolare e duplice fortuna - e non fu la sola che la sorte gli concesse - di scoprire al di sotto di un esemplare annullato di una Trinacria un altro che l'annullamento aveva rispettato"; perché l'episodio - peraltro non isolato - dà l'ordine di grandezza della quantità di materiale che doveva passargli per le mani, affinché beneficiasse di eventi così inusuali.
Una ricostruzione plausibile
Riepiloghiamo.
Siamo in un'epoca dove non esiste una cultura filatelica diffusa, come la intendiamo noi oggi: i francobolli si linguellano e si marchiano, ché alla fine sono solo "pezzettini di carta", e all'occorrenza - su richiesta - gli si piazzano sopra degli annulli posticci, solo per far contenti i cosiddetti "collezionisti".
E ora zoomiamo sull'annuncio di uno tra i maggiori commercianti su piazza, Ettore Ragozino, "il più grande incettatore di francobolli d'Italia e specialmente dell'ex regno di Napoli".
Siamo in un'epoca dove non esiste una cultura filatelica diffusa, come la intendiamo noi oggi: i francobolli si linguellano e si marchiano, ché alla fine sono solo "pezzettini di carta", e all'occorrenza - su richiesta - gli si piazzano sopra degli annulli posticci, solo per far contenti i cosiddetti "collezionisti".
E ora zoomiamo sull'annuncio di uno tra i maggiori commercianti su piazza, Ettore Ragozino, "il più grande incettatore di francobolli d'Italia e specialmente dell'ex regno di Napoli".
Il Ragozino privilegiava dunque francobolli "ancora attaccati alle lettere e giornali".
Curioso, se si tiene conto che l'attrattiva della filatelia è stata per lungo tempo monopolizzata dai francobolli cosiddetti "sciolti", e il più grande collezioni di sempre, Philippe de La Renotière von Ferrary, ne è l'epigono.
Curioso, se si tiene conto che l'attrattiva della filatelia è stata per lungo tempo monopolizzata dai francobolli cosiddetti "sciolti", e il più grande collezioni di sempre, Philippe de La Renotière von Ferrary, ne è l'epigono.


Estratto da "Il Collezionista", n. 3, marzo-aprile 1985.
E di là delle stravaganze di un singolo collezionista - sebbene mitico, il più grande di tutti i tempi, e comunque espressione del suo tempo - c'è un dato di fatto più generale: i primi cataloghi di Renato Mondolfo - parliamo degli anni '50 del secolo scoro - sono pressoché monopolizzati dai francobolli sciolti (perché evidentemente era questo il tipo di materiale richiesto in prevalenza) e l'offerta significativa e qualificata di lettere e documenti postali arriverà decisamente più in là.
Come si spiega quindi l'interesse di Ragozino per francobolli ancora aderenti ai loro supporti? O era un pioniere delle idee - eventualità da escludere, a prestar fede al ritratto che ne fa Mezzadri - oppure... oppure aveva uno o più clienti ben in carta che, per chissà quale ragione, i francobolli li volevano attaccati a lettere e giornali. O almeno a un frammento.
E cosa fai, allora, se ti ritrovi tra le mani un blocco di otto della "Crocetta" - parliamo pur sempre del "più grande incettatore di francobolli dell'ex regno di Napoli", che trovò "sotto di un esemplare annullato di una Trinacria un altro che l'annullamento aveva rispettato" - ma il cliente lo acquista solo se lo vede su un supporto cartaceo purchessia? Semplice: se ne trova uno e ce lo si attacca a forza, tanto più che si tratta di un'azione contemplata, ammessa, o comunque tollerata, in base alla cultura dell'epoca.
E fu così che probabilmente il blocco di otto della "Crocetta" si ritrovò a viaggiare sul più improbabile dei frammenti.
Come si spiega quindi l'interesse di Ragozino per francobolli ancora aderenti ai loro supporti? O era un pioniere delle idee - eventualità da escludere, a prestar fede al ritratto che ne fa Mezzadri - oppure... oppure aveva uno o più clienti ben in carta che, per chissà quale ragione, i francobolli li volevano attaccati a lettere e giornali. O almeno a un frammento.
E cosa fai, allora, se ti ritrovi tra le mani un blocco di otto della "Crocetta" - parliamo pur sempre del "più grande incettatore di francobolli dell'ex regno di Napoli", che trovò "sotto di un esemplare annullato di una Trinacria un altro che l'annullamento aveva rispettato" - ma il cliente lo acquista solo se lo vede su un supporto cartaceo purchessia? Semplice: se ne trova uno e ce lo si attacca a forza, tanto più che si tratta di un'azione contemplata, ammessa, o comunque tollerata, in base alla cultura dell'epoca.
E fu così che probabilmente il blocco di otto della "Crocetta" si ritrovò a viaggiare sul più improbabile dei frammenti.
Intertempo
Renato Mondolfo, alla tenera età di 13 anni, stava tra Emilio Diena e Theodore Champion, presentato dal primo al secondo come l'astro nascente della filatelia (inter)nazionale: si può dire dire che Mondolfo, più che "introdotto nell'ambiente", vi è proprio sgorgato dall'interno.
E con ogni probabilità aveva tante buone ragioni per congetturare che il frammentone col blocco della "Crocetta" fosse opera di Ragozino: nessuna riparazione, nessun magheggio, ma solo un maquillage malamente realizzato (tanto sul piano logico, per la discordanza degli annulli, quano su quello materiale, a prestare fede a chi racconta che la colla fosse in parte fuoriuscita) perché così voleva il cliente di Ragozino.
Nessun rischio di sfaldamento, sottoponendo il blocco a un "bagnetto", o per dirlo bene, un rischio ben calcolato, che ci si poteva prendere, perché tutte le probabilità giocavano a favore.
E con ogni probabilità aveva tante buone ragioni per congetturare che il frammentone col blocco della "Crocetta" fosse opera di Ragozino: nessuna riparazione, nessun magheggio, ma solo un maquillage malamente realizzato (tanto sul piano logico, per la discordanza degli annulli, quano su quello materiale, a prestare fede a chi racconta che la colla fosse in parte fuoriuscita) perché così voleva il cliente di Ragozino.
Nessun rischio di sfaldamento, sottoponendo il blocco a un "bagnetto", o per dirlo bene, un rischio ben calcolato, che ci si poteva prendere, perché tutte le probabilità giocavano a favore.
Da Mondolfo a Naddei, passando per Bolaffi
Al principio della nostra storia - per come l'abbiamo raccontata sin qui - troviamo una congettura argomentata (Mondolfo acquistò il frammentone col blocco della "Croce" e lo sottopose a un "bagnetto" purificatore) e alla fine una certezza assoluta (il blocco appartiene oggi alla Collezione di Bernardo Naddei).
Cosa c'è in mezzo?
Azzardare una risposta è molto più di un semplice esercizio di stile; può aiutare a capire cos'è che differenzia davvero il mondo filatelico di oggi da quello di ieri, senza distorsioni percettive sul passato.
Cosa c'è in mezzo?
Azzardare una risposta è molto più di un semplice esercizio di stile; può aiutare a capire cos'è che differenzia davvero il mondo filatelico di oggi da quello di ieri, senza distorsioni percettive sul passato.
Muoviamo dal ricordo di Alberto Bolaffi, sul padre Giulio.
"Il mio genitore era capace di molta attenzione e disponibilità nei confronti dei suoi clienti, ma era anche e soprattutto un collezionista", anche se il suo essere collezionista - in particolare di Antichi Stati Italiani, "che, ovviamente, prediligeva" - non sempre si raccordava con la logica d'impresa: "riuscì
a riunire molte fra le più importanti gemme della filatelia, la maggior
parte delle quali non volle mai cedere, fatto che ogni tanto ci procurò
non pochi problemi dato che non sempre era possibile far coincidere la
sua passione con le necessità aziendali".
Sì, Giulio Bolaffi fu protagonista di "molte acquisizioni memorabili", e se ne potrebbero citare "a decine se non a centinaia" - una svetta su tutte: quella della "lettera più famosa e rara d'Italia, quella con l'80 centesimi del Governo Provvisorio di Parma" - pezzi eccezionali da cui poi non voleva assolutamente separarsi, e che difendeva a spada tratta, quando i responsabili commerciali glieli domandavano "per esigenze di lavoro", per accontentare i clienti più importanti: "considerava questo tipo di richieste come una specie di 'rapina' [e]
ciò faceva parte
anche del suo personaggio".
Ma Alberto Bolaffi aggiunge qualcosa di ancor più significativo, a ciò che altrimenti - in superficie - può sembrare solo folklore.

Troviamo conferma nelle stesse parole di Giulio Bolaffi - come riportate da Alberto - della sua grande disponibilità ad acquisizioni importanti, naturale corollario di una passione altrettanto grande, di un desiderio di possedere oggetti eccezionali per intima soddisfazione e godimento personale, più che per commerciarli a scopo di profitto (a volte con "non pochi problemi" - come dice il figlio Alberto, nel passaggio già segnalato - quando i desiderata contrastavano "le necessità aziendali").
Ma soprattutto ricaviamo un'informazione dirimente per capire un'epoca: Giulio Bolaffi era la Banca Centrale del mercato filatelico, l'uomo sempre pronto a slittare da commerciante a collezionista, quando c'era in ballo "un pezzo importante" (che sul momento non trovava collocazione al suo alto, giusto, prezzo).
Si può insomma dire - più che ragionevolmente - che non esista grande rarità degli Antichi Stati Italiani che non sia transitata per Casa Bolaffi (anche se alcuni pezzi - i più celebri: gli unici due 3 lire di Toscana su lettera - non si fregiarono mai della firma di qualità). E volete - quindi - che il blocco della "Crocetta" non sia transitato per gli album del Giulio, magari cedutogli proprio da Mondolfo, con cui era in affari continui praticamente da sempre?
Renato Mondolfo (in piedi) con Giulio Bolaffi (alla vostra sinistra)
allo stand della Casa torinese all'esposizione internazionale di Londra del 1950.
Ospite d'onore - tra i due - il celeberrimo collezionista francese Maurice Burrus.
Quale che sia stato il destino del blocco, a seguito dell'asta Caspary, abbiamo comunque una certezza: occupava la copertina dell'Enciclopedico Bolaffi n. 4.

E su questo fatto ci si può montare sopra una congettura verosimile: il blocco apparteneva effettivamente alla Bolaffi - non stava sulla copertina dell'Enciclopedico solo a far scena - perché è tipico di tutti i mercanti filatelici dare una venatura commerciale alle loro pubblicazioni, anche quando di carattere istituzionale o accademico (pensate ad esempio alle copertine e alla rubrica "Francobolli dell'800" della rivista "Vaccari Magazine").
Viene dunque spontaneo immaginare il blocco della "Croce" dentro l'album personale di Giulio Bolaffi, e l'arrivo di una nuova informazione, nel 1991, sottrae la visione dal limbo delle congetture - delle suggestioni, delle ipotesi - per renderla una certezza.
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Bingo! Renato Mondolfo racconta di aver venduto il blocco di otto della "Crocetta" a Giulio Bolaffi, e l'affermazione - incidentalmente - rafforza in un sol colpo la verosimiglianza di tutta la nostra ricostruzione.
Il seguito - a questo punto - si scrive da sé: è praticamente certo che il blocco sia rimasto di proprietà di Casa Bolaffi sino alla dipartita del Giulio, mercoledì 28 ottobre 1987.
Quel che accade dopo è già noto, per darne più di un semplice accenno: la politica commerciale della ditta torinese subisce un cambio strutturale (emblematico l'ingresso diretto nel mondo dei banditori d'asta, nel 1991), diventa pian piano "più razionale" (con le "necessità aziendali" che slittano da vincolo a obiettivo) sino a essere stravolta col passaggio dalla terza alla quarta generazione, da Alberto a Filippo Bolaffi (quando la filatelia diventa solo uno dei 19 dipartimenti di vendita).


Una "Croce" annullata "a svolazzo" occupa la copertina del catalogo.
"I vari elementi conferiscono al pezzo un titolo di inconfondibile rarità",
aveva annotato all'epoca Giulio Bolaffi, nel suo certificato peritale.

4 novembre 2023: il CEO di Casa Bolaffi - Filippo, nipote di Giulio -
vede il futuro delle proprie aste nelle carte Pokémon e nei computer vintage.
Quei gioielli filatelici che suscitavano "una strana reazione d'amore e odio" in Giulio Bolaffi, se qualcuno tentava di portarglieli via, diventano ora contendibili (persino la lettera con l'80 centesimi di Parma ha di recente abbandonato gli album di famiglia, per migrare in quelli di Garosci).
Il blocco della "Croce" è ufficialmente su piazza, e combinazione vuole che sulla piazza torinese sia presente Bernardo Naddei, il più raffinato collezionista moderno, con una predilezione per il periodo dei Governi Provvisori, e quindi, inevitabilmente, con la dittatura e la luogotenenza napoletane al centro dei suoi interessi. E così - col presumibile avallo di Giorgio Colla, anch'egli storica figura della piazza torinese - il blocco migra nel miglior luogo possibile e immaginabile.
E noi siam qui, in attesa di conoscere - o anche solo congetturare - il prossimo capitolo della storia di questa spettacolare rarità.
Faccio sponda sulla storia del blocco di otto della "Crocetta", per dare un avvio di risposta a una domanda (tra le tante) posta da Tiziano Nocentini nel post "CHE COS'E' LA RARITA'" (del 5 settembre 2025).
RispondiElimina"... si può creare un pedegree di tutto rispetto per un francobollo, anche se ad oggi questo non lo possiede? [...] Ovvero per avere un pedegree appetibile, un francobollo deve per forza affondare la sua storia conosciuta e tracciabile negli albori del collezionismo filatelico?"
Il pedigree è fatto di storie, le storie si costruiscono nel tempo, e il tempo - di per sé - non è una variabile elastica (non si può cioè restringere o allungare a piacimento, accelerare o rallentare secondo i propri desideri).
Nel pedigree è quindi presente una forte componente inerziale (il tempo) come dimostra - se vogliamo - proprio la storia del blocco di otto della "Croce": gliene sono accadute di cose, in oltre 150 anni, ma possiamo anche ribaltare l'affermazione e dire che servono almeno 150 anni per far accadere tutte queste cose.
Almeno in generale, in linea di principio, perché poi il singolo caso potrebbe pure fare storia a sé.
La comunità filatelica potrebbe ad esempio percepire un certo oggetto come anonimo o irrilevante, in funzione delle conoscenze del momento, e più in generale della cultura prevalente; ma lo stesso pezzo potrebbe acquistare pregio, se rivisitato alla luce di studi di frontiera, innovativi, oltre il mainstream, portati avanti da qualche "pioniere delle idee".
Da cosa dipende l'affermazione, il consolidamento e lo sviluppo del suo (potenziale) pregio? Fondamentalmente dalla capacità del pioniere di affermare, consolidare e sviluppare le sue linee di ricerca, di diffonderle presso la comunità filatelica, di immaginare anche diverse forme d'esposizione - dalle più tecniche alle divulgative - così da rendere i suoi studi massimamente fruibili a diversi livelli di profondità, di offrire a ogni filatelico (collezionista, mercante, studioso che sia) la possibilità di trascegliere le parti di suo interesse, di ritagliarsi dei propri, personali, percorsi di lettura; e per questa via - in definitiva - provare ad accelerare un processo (la creazione di un pedigree) che continuerà sì a scontare tempi incomprimibile, ma su cui - volendo - si può operare anche su altri versanti.
Che tutto ciò possa essere realizzato da una persona sola, che un singolo individuo, senza supporti istituzionali, possa davvero raggiungere l'obiettivo, può sembrare utopico.
Nuovi studi sollecitano spesso l'adozione di nuovi linguaggi, spingono verso una contaminazione culturale, possono persino condurre a rivedere tradizioni e gerarchie consolidate, e quindi reclamano "nuovi "ordini", mai facili da istaurare. Ne parlava già Machiavelli, nella celebre opera "Il principe":
"E debbasi considerare come non è cosa più difficile a trattare, né più dubia a riuscire, né più pericolosa a maneggiare, che farsi a capo ad introdurre nuovi ordini. Perché lo introduttore ha per nimici tutti quelli che delli ordini vecchi fanno bene, et ha tepidi defensori tutti quelli che delli ordini nuovi farebbano bene. La quale tepidezza nasce, parte per paura delli avversarii, che hanno le leggi dal canto loro, parte dalla incredulità delli uomini; li quali non credano in verità le cose nuove, se non ne veggono nata una ferma esperienza".
Come ho ripetuto più volte - nei post e nei commenti - ma come credo traspaia più in generale dal mio approccio alla presentazione di ogni argomento - di là delle dichiarazioni esplicite - il Blog nasce con l'idea di sollevare problemi specifici - descriverli con chiarezza e precisione, per dare avvii di risposte, per proporre episodi di risoluzione, tenuto conto della realtà fattuale - e non certo per offrire un catalogo di soluzioni prêt-à-porter, magari da ridurre ulteriormente alla logica estrema della taglia unica, del "one size fits all" (risposte preconfezionate, che si vorrebbero buone sempre e comunque, per tutte le stagioni, per ogni possibile situazione).