Chi vuol conoscere le rarità filateliche degli Antichi Stati Italiani non ha che da leggerle sul Catalogo Sassone, negli elenchi riportati a
conclusione dei capitoli sui vari Regni, Ducati e Governi Provvisori; il Sassone
parla delle "maggiori rarità", ma voi ignorate pure
l'aggettivo "maggiori" e lasciate solo il sostantivo "rarità". Quelle sono
le rarità, le uniche, autentiche rarità degli Antichi
Stati: le chiameremo - all'occorrenza - Rarità.
Gli elenchi del Sassone -
serve dirlo - vanno soggetti a variazioni, segnatamente nella parte intermedia: ciò che anni fa
stava al sesto posto, oggi magari lo vediamo declassato al nono, quel che occupava il gradino numero otto ha scalato una
posizione e adesso si trova al settimo; a volte compaiono addirittura delle new entry e di recente sono stati introdotti alcuni ex aequo.
Sono aggiustamenti guidati con ogni probabilità dalle contingenze di
mercato, da ragione di opportunità o di marketing; ma non c'è da sorprendersi o scandalizzarsi, perché la
filatelia è anche commercio, e il Sassone rimane pur sempre bussola e termometro del sistema filatelico nazionale, redatto di anno in anno con coerenza e buon senso; perciò in quegli elenchi compaiono
sempre e soltanto oggetti che nessuno fatica a riconoscere come
Rarità.
Ma cos'è la rarità (filatelica)? Possiamo concettualizzarla? Si può separare ciò che è raro da ciò che non lo è, se non in modo obiettivo, almeno con un largo accordo intersoggettivo?
Il problema definitorio sta nella natura multidimensionale del concetto, nel fatto che in una sola parola - rarità - s'incrociano almeno tre diverse situazioni di fatto.
Una rarità - sottinteso Rarità - è:
1 - disponibile in quantità estremamente limitata, anche quando si accorpano più
oggetti simili in un'unica categoria (requisito di scarsità);
2 - ambita da un numero di collezionisti pari a un multiplo elevato degli esemplari disponibili (requisito di desiderabilità);
3 - complessa da acquisire, anche se si dispone del denaro necessario (requisito di arduità).
Il 3 lire di Toscana su lettera rispetta tutti e tre i requisiti: ne
esiste uno isolato e un altro accoppiato ad altri valori, e anche se aggregati in un'unica categoria - "3 lire di Toscana su lettera", senza
distinzioni - gli esemplari a disposizione rimangono soltanto due (requisito 1: rispettato); non c'è collezionista di Antichi Stati che non desideri possedere almeno una
delle due lettere (requisito 2: rispettato); ma nessuno può entrarne in possesso "a richiesta" - nemmeno un Bill Gates o un Elon Musk - perché difficilmente il
proprietario sarà disposto a cederle, anche in presenza di una congrua offerta economica (requisito 3: rispettato).
Solo quando un oggetto soddisfa tutti e tre i requisiti simultaneamente - come avviene per il 3 lire di Toscana su lettera - si può definirlo una rarità (da leggere - al solito - Rarità); altrimenti si va incontro ad abusi di linguaggio, che si possono ancora tollerare, e su cui al limite si può anche sorvolare, purché non siano usati strumentalmente per creare equivoci.
Spesso - ad esempio - il concetto di rarità viene fatto collassare nella dimensione economica - è raro se è costoso - rendendolo fumoso e inafferrabile, altamente soggettivo, perché "essere costoso" non è una
proprietà intrinseca del francobollo, ma una relazione tra il francobollo e il potenziale acquirente (per alcuni sono "costosi" i francobolli da 250
euro, per altri da 2.500, per altri ancora da 25.000, e magari c'è pure
chi sotto i 250.000 euro non percepisce nessuna spesa significativa).
Oppure ci si limita solo al requisito 1 (la scarsità assoluta dell'oggetto) senza prestare attenzione alla fondamentale condizione 2 (che chiama in causa il numero di collezionisti almeno potenzialmente interessati a possederlo) e all'ancor più stringente richiesta numero 3 (sulla difficoltà, non solo economica, a entrarne in possesso).
Prendiamo il 3 lire di Toscana usato. Ho
(ri)cominciato a collezionare da oltre una decina d'anni, e da allora me
ne sono passati sotto gli occhi almeno una ventina, come a dire che il
mio compleanno è un evento più raro della possibilità di acquistare un generico 3
lire di Toscana usato. Entrare in possesso di un 3 lire è solo un fatto di denaro, se non si pongono vincoli qualitativi sull'esemplare. Sarà pure un francobollo disponibile in quantità limitata (Angelo Piermattei ne censisce 265, neppure così pochi) e universalmente desiderato (a tutti piacerebbe averlo), e di sicuro la soglia di accessibilità non è banale (da un minimo di 5 o 6 mila euro, per gli esemplari mal messi, sino a 25-30 mila euro, per pezzi con lievi difetti, di regola di
marginatura, e nel complesso gradevoli) ma altrettanto sicuramente non esiste un problema oggettivo di reperibilità (perché almeno uno o due esemplari all'anno si vedono sempre). Il requisito 3 non è soddisfatto.
La stessa difficoltà di reperimento è una caratteristica da qualificare.
Un oggetto filatelico può essere difficile da reperire perché effettivamente raro, cioè oggettivamente difficile da trovare, perché i pochi pezzi esistenti non si muovono dagli album in
cui riposano (o lo fanno con esasperante lentezza). Ma un oggetto può diventare difficile da reperire solo perché lo si cerca nel posto sbagliato. E' raro - davvero raro - imbattersi in uno squalo navigando lungo le coste della
Sicilia; ma basta allargare il campo di
ricerca a tutto il mare - e meglio ancora centrarlo sulle acque popolate da squali - che tutta la loro rarità
si attenua o scompare.
Se i miei acquisti li realizzo principalmente su eBay, Delcampe e Catawiki, o seguendo le offerte in progress
di piattaforme di vendita camuffate da forum filatelici, è ovvio che molte cose le percepirò "rare", perché su questi circuiti è ben difficile trovare materiale di pregio, proprio come è difficile avvistare degli squali intorno alle coste siciliane. Ma se mi rivolgessi a un mercante qualificato - o magari a un membro del gotha della filatelia,
accettando di pagare quel che c'è da pagare - siamo sicuri che non
potrei soddisfare molti miei desideri prima ancora di
formularli?
Certe cose sono rare perché le cerchiamo nei posti sbagliati; sono rare
perché, se le cercassimo nei posti giusti, allora dovremmo pagarle, e a molti non va di farlo (preferiscono la "pescata"); sono rare - in ultima analisi - perché le rendiamo artificiosamente rare.
Riprendiamo il 3 lire di Toscana: difficile (anche se non impossibile) trovarlo su eBay, ma normale vederlo nelle aste delle case filateliche più rinomate; e se poi ci si rivolgesse a un mercante di livello, per averne uno di qualità superiore, forse non si riuscirebbe a metterlo in collezione su semplice richiesta, ma sicuramente si attiverebbe un processo di ricerca che arriverebbe a una conclusione favorevole in tempi ragionevoli.
Le rarità filateliche esistono quindi in natura, e sono le Rarità, ma si possono anche creare in laboratorio, e sono le rarità, dove la minuscola, se non va necessariamente intesa come una deminutio, di sicuro segnala uno slittamento di significato su cui occorre consapevolezza.
Un modo per creare rarità è la specializzazione: unico caso di annullo circolare; unico
caso di bollo di arrivo apposto al verso e non al retro; unico caso di
bollo al retro e non al verso; unico caso di bolli entrambi al verso (o
al retro); unico caso di bollo non apposto; massima affrancatura
conosciuta composta esclusivamente da esemplari da 1 grano; unica
striscia di otto; prima lettera spedita da qua e là; pochissimi casi
conosciuti; varietà non catalogata; difetto di cliché inedito. Tutte cose uniche e introvabili, che se non le prendi ora non le ritrovi più, ma si rimane disorientati quando di queste rarità se ne vedono arrivare una dozzina al giorno, tutti i giorni.
Prestate attenzione alle rarità specialistiche, o rarità di
nicchia, e fate tanta più attenzione quanto più la specializzazione è spinta in
là, perché quanto più specializziamo il pezzo, tanto più facile diventa rispettare il requisito 1, sino a banalizzarlo, ma tanto più difficile diventa spuntare anche il requisito 2, sino a renderlo virtualmente impossibile da soddisfare.
Un caso di scuola sulla totale inutilità delle discussioni on-line, e anzi peggio, del loro micidiale potenziale di equivoci e fraintendimenti.
Un utente sollecita un apprezzamento su un falso di Napoli, "per eventuale vendita",
e non solo si stizzisce quando gli viene fatta rilevare la sua scarsa qualità,
ma pretende pure di tenere il punto invoncandone la sua "rarità di nicchia".
Dice proprio così: "rientra in una nicchia e i criteri penso siano diversi".
Certo che i criteri sono diversi, ma nel senso opposto a quello sperato:
essere una "rarità di nicchia" è penalizzante, perché già i collezionisti sono pochi,
e diventano poi ancora meno, se gli si offrono pure dei pezzi scadenti,
per i quali non ci si può aspettare la disponibilità a spendere cifre significative
alle pagine 75-77, per vedere come sono i fatti i bei falsi del IV tipo del 20 grana;
oppure trovate qui uno stralcio delle pagine più significative ai nostri fini).
Ma preservare i rapporti d'amicizia - all'interno della community -
fa premio sui dati di fatto, per quanto evidenti ed elementari,
e il branco si muove a difesa del pregiudizio, a sfregio del buon senso.
Non rimane che far spallucce, alzare i tacchi e andare via,
canticchiando la strofa finale del "Fiil de ferr" di Van De Sfroos:
♫Sun l'umbriia de quell'omm de merda che te voeret mea diventà
Sun quel tocch de paröla spurca che duperet per bestemà
Ma de nocc quaand se calma l'unda te me vegneree a cercà...
I tò amis i te disen bàll... e noen bastardi... la verità...♬
Il 5 centesimi verde giallo del Governo Provvisorio di Parma (usato)
e il 3 centesimi grigio rosa della III emissione del Pontificio (sia nuovo che usato)
sono due esempi di francobolli dove i requisiti 1 e 2 spingono in direzioni opposte: la disponibilità effettiva è estremamente limitata, e perciò - coeteris paribus - ne accresce la rarità,
ma l'appartenenza a settori collezionistici poco battuti li confina nella cerchia degli specialisti,
e di ciò il Catalogo Sassone tiene conto nel dare le quotazioni di riferimento (riferite a una qualità alta).
Conviene allora fondere i requisiti 1 e 2, per ragionare nei termini relativi di un indice di rarità, di rapporto tra
il numero di collezionisti che (potendoselo permettere) vorrebbero
possedere un certo oggetto, e il numero di pezzi esistenti di
quell'oggetto (potenzialmente acquisibili).
Potrà anche esistere un solo esemplare di un certo
francobollo con un certo tipo di stampa o un certo annullo, o apposto su una
certa lettera con un certo timbro, impostata in una certa località e indirizzata in un'altra determinata località, ma se nessun collezionista lo vuole - o, il che è
lo stesso, se l'unico a desiderarlo è il suo proprietario - il suo
indice di rarità è di fatto nullo, e ciò andrà tenuto presente al momento di fissare un prezzo.
Ragionare in termini relativi - numero di collezionisti potenzialmente interessati, per ogni unità disponibile del pezzo - aiuta a prevenire facili abbagli, ma non è di per sé risolutivo, perché l'indice rimane una grandezza manipolabile, che serve saper leggere e interpretare, giacché dietro uno stesso valore di possono celare situazioni anche molto diverse.
Per esemplificare nel modo più semplice: se un oggetto è unico (come ad esempio il 50 grana di Napoli con annullo lineare di Messina) e vi sono due collezionisti che bramano per averlo, allora il suo indice di rarità sarà "2" (2/1=2); ma lo stesso valore ("2") si avrebbe anche per un pezzo di cui esistono 100 esemplari e 200 collezionisti interessati (200/100=2); l'indice è "2" in entrambi i casi, però s'intuisce che le situazioni sono diverse, e precisamente che la seconda è più stabile della prima (nel senso che l'indice rimarrebbe prossimo a "2" anche se uno dei duecento collezionisti non fosse più interessato, laddove, nel primo caso, l'eventuale disinteresse di uno dei due collezionisti lo dimezzerebbe, da "2" a "1").
E il numero di collezionisti interessati (il numeratore dell'indice) a differenza del numero di pezzi (il denominatore) è un dato non solo variabile nel tempo e nello spazio, in ragione di mode e contingenze, ma anche manipolabile dagli operatori di mercato (non da tutti e non del tutto, ovviamente, ma da alcuni e in una certa misura sicuramente sì).
Esemplifichiamo ancora una volta nel modo più semplice: un commerciante può avere tra i suoi clienti un grande collezionista di "destinazioni" (lettere degli Antichi Stati indirizzate verso luoghi esotici o inusuali); e magari questo collezionista è un espositore, quindi la sua collezione è periodicamente visibile da tutti, offrendo così una prima sponda a tutti i commercianti - non solo a quello originario - per alimentare il proprio business; se poi il collezionista - con le sue eccezionali "destinazioni" - dovesse conseguire dei premi prestigiosi in varie manifestazioni internazionali, sino a stracciare collezioni sulla carta più blasonate, ecco che il clamore mediatico potrebbe rafforzare la sponda degli affari, creando una nuova generazione di appassionati di "destinazioni", o anche solo di semplici speculatori, che andrà a irrobustire il numeratore dell'indice di rarità; un commerciante sufficientemente scaltro - a questo punto - potrebbe trovare modo di allargare i propri margini di manovra, cavalcando la nuova percezione prevalente tra i collezionisti.
Gli Antichi Stati sono fortunatamente meno esposti alle mode - rispetto a quanto possono esserlo stati i settori moderni, ancora sino a qualche anno fa - ma il punto generale rimane: registrare un elevato indice di rarità è condizione necessaria ma non sufficiente per qualificare l'oggetto come "raro"; occorre - in aggiunta - che l'indice sia "stabile", poco influenzabile da manovre commerciali di breve respiro o da nuove tendenze dal futuro incerto.
E cos'è che può conferire "stabilità" all'indice, portandolo in salvo dalle onde della speculazione e dalle maree delle infatuazioni?
La risposta è in una qualificazione del requisito 3, che conviene riformulare come risposta a una ulteriore domanda: cos'è che rende arduo l'acquisto di un oggetto? Fondamentalmente, la ferma convinzione che l'oggetto possegga ciò che - in psicologia cognitiva - si chiama association value.
Questa è la ragione profonda per cui il 3 lire di Toscana su lettera (di cui esistono due esemplari) è più raro del 50 grana di Napoli con l'annullo lineare di Messina (di cui ve n'è uno solo): perché il 3 lire su lettera crea e rende visibile una catena di suggestioni, stimoli e conoscenze - "strong predictor of how easy it is to learn new information about that stimulus" - che il 50 grana non possiede.
C'è tutto uno spettro di sfumature tra il 3 lire di Toscana su lettera e il 50 grana col lineare di Messina, su cui però non è possibile tracciare un confine netto per separare ciò che è "rarità" da ciò che non lo è, così come non si può individuare un numero esatto di capelli sotto il quale si è calvi e sopra il quale non lo si è più.
Non c'è mai un salto tra "rarità" e "non-rarità", muovendosi sullo spettro, ma solo un cambio graduale: si parte da "non-rarità" per attraversare una fase di "forse-che-sì-forse-che-no-rarità", che al principio è "più-forse-che-no-che-forse-che-sì-rarità" e poi diventa "più-forse-che-sì-che-forse-che-no-rarità", e solo alla fine si approderà all'autentica rarità, la Rarità.
Non se ne esce, se non attraverso un vigile senso pratico, gettando un occhio allo specchietto retrovisore della
qualità, che rimane pur sempre un requisito implicito da imporre a qualsiasi oggetto filatelico (per cui serve rimanere guardinghi verso rarità di qualità scadente).
affrancata per 156 crazie, a mezzo di una coppia del 6 crazie e di otto coppie del 9 crazie.
Massima affrancatura indirizzata negli Stati Uniti da uno Stato italiano.
Lettera dell'1 aprile 1861 da Firenze per San Francisco, affrancata per 4,20 lire italiane, a mezzo di due coppie dell'80 centesimi del Governo Provvisorio di Toscana
più un esemplare singolo e un valore da 20 centesimi:
massima affrancatura per l'emissione del Governo Provvisorio.
Ma proprio la qualità - per altro verso - è un modo alternativo per ricalibrare l'indice di rarità, la variabile con cui si possono far apparire delle rarità laddove non sembrano esservene.
La qualità è un'ecatombe di possibili.
La qualità smazza via molte possibilità, chiude per sempre diverse porte.
La qualità crea
rarità, per mezzo della selezione.
La qualità è stata storicamente intesa "as an essential component of rarity" - ci ricorda David Feldman - e ne troviamo testimonianza nella logica seguita dal Catalogo Sassone per stilare i suoi elenchi delle "maggiori rarità" degli Antichi Stati (di quelle che abbiamo definito le rarità per eccellenza, le Rarità).
Théodore Champion,
una leggenda della filatelia mondiale (1873-1954)
come il suo negozio di Parigi, in rue Drouot, altra via storica della filatelia,
cento metri - dal boulevard Montmartre a rue Lafayette -
in cui si affacciavano ben dieci negozi di francobolli,
testimoni dell'atmosfera romantica del collezionismo:
il tratto bonario e la pazienza infinita dei commercianti,
le vetrine allestite con quadri di pezzi rari,
lettere impolverate in un angolo, e l'offerta straordinaria del giorno,
con i caffè tutt'intorno a coadiuvare la vita filatelica della strada.
Il "3 lire Champion" è stato scelto da Casa Bolaffi per la copertina del volume "Quarta Pagina",
dove sono raccolti "i gioielli della filatelia raccontati dalle quarte pagine" della rivista "Il Collezionista".
Al "3 lire Champion" è poi legato un episodio di vita aziendale, narrato da Alberto Bolaffi:
"In collezione conservavamo il secondo esemplare in termini di stato di conservazione;
quando ci venne offerto negli anni Ottanta il più bello, denominato 'Champion',
in quanto appartenuto a questo grande commerciante francese, lo acquistai,
e il mio primo impulso fu di recarmi da mio padre per proporgli la sostituzione.
Immaginando, però, quale sarebbe stata la sua risposta:
'Bravo, Alberto. E' molto bello, più bello del nostro, lasciamelo',
e prevedendo che non mi avrebbe dato in cambio l’esemplare già in collezione,
con grande rammarico, ma dovendo sottostare alle prioritarie esigenze aziendali,
non gli riferii dell'acquisto e lo cedetti ad un grande collezionista il cui figlio ne è tuttora detentore".
Angelo Piermattei ha censito 54 esemplari nuovi del 3 lire del Governo Provvisorio di Toscana, un numero contenuto rispetto ai tanti collezionisti che lo desiderano, e se vogliamo anche di per sé ridotto, ma non così basso da soddisfare a pieno il requisito 1 (di scarsità): 54 pezzi, per l'amor del cielo, non 1, 2, 3 o 4!
Eppure, tra questi 54 esemplari del 3 lire, ve n'è uno - il cosiddetto "Champion", da Théodore Champion, lo storico collezionista che lo possedeva - che si colloca nella top five delle rarità di "Toscana".
Cos'è che distingue il "3 lire Champion" dagli altri 53 esemplari? Cosa ne legittima il suo isolamento da tutto il resto e la promozione a rarità (al solito: Rarità)? Perché "il Champion" sì e gli altri no?
Ce lo dice lo stesso
Sassone, nel presentarlo: "
eccezionale", vale a dire di qualità eccezionale; non è solo il migliore esemplare noto - e quindi già virtualmente insuperabile - perché potrebbe ancora essere il migliore di tutti, e trovarsi comunque in uno stato qualitativo modesto (seppur migliore di tutti gli altri, messi ancora peggio); è eccezionale - anzitutto - rispetto agli
standard di valutazione della qualità, quindi "oggettivamente" eccezionale; e il connubio tra il numero contenuto di esemplari conosciuti e la sua qualità fuori norma ne fa un'autentica rarità, una
Rarità.
Il discorso si clona sulla
"Trinacria" nuova: ne sono state originariamente censite 55, ma una si "stacca" da tutte le altre - per natura, non per semplice grado - ed entra a pieno titolo tra le "maggiori rarità" dei periodi della dittatura e luogotenenza napoletana (collocata dal Sassone al sesto posto, anche qui con la qualifica di "
eccezionale" come per il "3 lire Champion").
"Il francobollo che più di ogni altro è assurto a simbolo dell'unificazione risorgimentale italiana".
Questa bella definizione d'intonazione storica della "Trinacria"
rivela tutto il suo "association value", per molti versi superiore a quello del 3 lire di Toscana.
Allo stato di nuovo, poi, il francobollo scala parecchie posizioni sulla scala della disponibilità,
come dimostra la comparsa sul mercato di soli cinque esemplari negli ultimi quindici anni
(di cui tre pesantemente difettosi e gli altri due di qualità ordinaria o modesta).
Il migliore esemplare conosciuto - al pari del "3 lire Champion" -
non è il migliore soltanto in senso relativo (rispetto agli altri esistenti)
ma lo è in assoluto, per una stupefacente qualità generale,
e in particolare per uno
stato di conservazione irreale.
I certificati di Enzo Diena e Renato Mondolfo (quest'ultimo redatto a mano!)
contengono un sotto-testo ricco di apprezzamenti, ben oltre ciò che vi si può leggere.
Entrambi concludono la disamina attribuendo al pezzo la qualifica di "grande rarità",
ma a colpire è l'irrituale stile espositivo, discosto dalla sobrietà tipica della classe peritale:
l'abbondanza di avverbi modali ("estremamente fresco", "colore particolarmente vivace",
"perfettamente conservato", "indiscutibilmente il migliore")
e di superlativi ("pochissimi esemplari nuovi e perfetti", "margini grandissimi")
restituiscono tutta la meraviglia suscitata sulle due maggiori autorità dell'epoca
- che di francobolli ne vedevano a getto continuo, di ogni pregio e qualità -
da un esemplare che fuoriesce da ogni canone, da ogni metrica,
giunto a noi in uno stato "fior di stampa" (mutuando il
gergo della filatelia moderna)
La più bella "Trinacria" nuova
la ritroviamo nella copertina del volume di De Angelis e Pecchi,
per testimoniare il passaggio intermedio dal ½ grano al ½ tornese "Croce".
La sua storia è un altro bel capitolo di filatelia classica di alto livello.
Apparve per la prima volta alla comunità filatelica intorno alla metà degli anni '80,
in un convegno a New Jork, in una condizione di conservazione al di là di ogni fantasia:
era semplicemente appoggiata alla fascetta di un giornale,
e miracolosamente sfuggita all'annullo,
cosicché un semplice soffio bastò a rimuoverla dal supporto.
Il pezzo fu intercettato da Renato Mondofo, per poi passare all'Ingegner Avanzo,
che gli dedicò la copertina del suo Catalogo n. 7 dell'aprile 1992, a tutt'oggi l'unica vetrina pubblica di questa grande rarità classica
(com'è tipico per tutti i pezzi della stessa stirpe:
il "3 lire Champion", la lettera Verolanova del Lombardo Veneto,
l'80 centesimi di Parma su frontespizio - solo per citarne i più famosi -
non sono mai comparsi sul mercato, ma sempre intermediati a trattativa privata).
Nel parlare di qualità, come fattore discriminante della rarità, si può richiamare l'intera argomentazione già esposta per le rarità specialistiche (o di nicchia), ma con una fondamentale precisazione aggiuntiva: quanto più si tarano verso l'alto i parametri qualitativi di un pezzo generico (un francobollo, un frammento, una lettera) tanto meno
incontreremo esemplari capaci di soddisfare le nostre richieste, e tanto
più il pezzo sarà difficile da
reperire - perciò pregiato, introvabile, raro a tutti gli effetti - a
fronte di una base comunque larga di collezionisti a cui piacerebbe
averlo.
E quest'ultima precisazione è dirimente: una situazione di scarsità (requisito 1) creata tramite la specializzazione rende sempre traballante la situazione di desiderabilità (requisito 2) laddove creare scarsità alzando l'asticella sulla qualità mantiene la desiderabilità senz'altro stabile - e più probabilmente l'aumenta - perché è ovvio, se non banale, che sempre si preferirà avere in collezione un esemplare "più bello" rispetto a uno "meno bello".
Persino un 25 centesimi di Modena - per essere efficaci fino al paradosso - può diventare raro come un 3 lire di Toscana, se i parametri qualitativi del primo si fissano a un livello fuori norma e quelli del secondo vengono invece lasciati liberi. Ma ovviamente l'association value di un 25 centesimi di Modena (fosse pure un esemplare di qualità straordinaria, fossero pure più esemplari eccezionali magistralmente assemblati) non potrà mai eguagliare quello di un 3 lire di Toscana (per quanto mal ridotto).
il primo esemplare ci informa sul costo fisso della "raccomandazione" di una lettera;
i due esemplari laterali, dei tre centrali, danno conto dei primi giorni d'uso (con gli annulli rossi);
l'esemplare di mezzo è informativo sulla composizione del foglio di stampa,
così come l'ultimo che dà conto dell'ampiezza dell'angolo di foglio.
L'eccezionale qualità di ogni singolo pezzo, unita a una nobile provenienza,
rende la pagina un piccolo gioiello filatelico... che rimane comunque fatto di 25 centesimi.
Esiste in generale - a meno di punti isolati, come ad esempio l'80 centesimi di Parma su frontespizio - un trade-off tra rarità e qualità: le cosiddette rarità - e mettiamoci dentro tutto, sia le conclamate che le specialistiche, sia le Rarità che le "rarità" - versano nel migliore dei casi in condizioni qualitative appena accettabili; tipicamente si trovano in condizioni modeste; non di rado, pessime.
Rispondere alla domanda
quanti punti-qualità posso cedere, in cambio di un punto-rarità? - capire se il valore filatelico-economico della rarità più che compensa la perdita dell'analogo valore perduto a causa dello scadimento in qualità - è un esercizio che quasi sfugge alle capacità umane, per la moltitudine di parametri da tenere sotto controllo: ci vogliono decenni di esperienza, una familiarità inusuale con i complessi meccanismi del
mercato filatelico, una conoscenza profonda del settore collezionistico e una spiccata sensibilità valutativa.
Quanto meno all'inizio è meglio attenersi a una linea di massima semplicità, di chiarezza estrema, far propria l'indicazione evangelica "il vostro parlare sia si-si, no-no, tutto il resto viene dal demonio", per non crearsi illusioni su cosa si sta facendo.
Quanto meno all'inizio conviene vedere la
qualità e la rarità in netta contrapposizione, entrare nell'ordine di idee che le rarità hanno stati qualitativi invariabilmente modesti - quando non sono difettose, com'è di regola - così come, in senso inverso, la pedissequa ricerca di esemplari di qualità è confinata entro soglie precise e invalicabili di rarità.
Quanto meno all'inizio è opportuno compiere una scelta di campo - rarità o qualità? - e farlo senza troppa riflessione, ma semplicemente assecondando la propria natura.
Prendiamo il 15 centesimi del
Ducato di Modena: è tra i francobolli più comuni degli Antichi Stati Italiani, lo trovate da qualunque venditore
(professionale, semi-professionale o improvvisato) in qualunque stato
di conservazione (nuovo, con gomma e senza, usato, su frammento e
lettera) e a qualunque prezzo.
Il 15 centesimi di Modena è uno
zero della filatelia classica, ma nel nostro
sistema di numerazione - decimale, posizionale - il valore dello zero dipende dal posto occupato nella scrittura del numero: quanti più zeri
aggiungiamo alla nostra destra, tanto più il numero diventa imponente.
Se collochiamo molti zeri su una stessa lettera, se ne mettiamo
tanti quanti non se ne sono mai visti prima, quel che otteniamo è un
pezzo unico, irripetibile.
affrancata con un
blocco di dodici, una striscia di sei e un esemplare singolo del 15
centesimi,
oltre a un esemplare da 5 centesimi, per un totale di per 3,20 lire (austriache).
E' la lettera col più
alto numero di francobolli, spedita dal Ducato di Modena,
e l'unica lettera della corrispondenza Vito Viti spedita da Massa Carrara e non da Carrara.
Ex Collezione Burrus.
Questa lettera è impressionante, anche solo per l'impatto visivo, se
pure non ci fosse altro. Il Catalogo Sassone non la recensisce tra le
"maggiori rarità" di Modena, ma rimane un pezzo outstanding.
E' appartenuto alla collezione di Maurice Burrus - lotto numero 5 del catalogo d'asta del 1964, "
pezzo unico di estremo interesse" - e fu proposta da
Renato Mondolfo nel 1973-74, in un catalogo di pezzi scelti di tutto il mondo, presentata come "
una delle lettere più spettacolari di Modena". E' tornato sul mercato alla Harmers Auction di Lugano, il 24 novembre 1990, in occasione della dispersione della Collezione Reggio: lotto 37, "
pezzo di estrema spettacolarità ed effetto, certamente una delle massime rarità di tutto il ducato di Modena". Poi alla Laser Invest, il 29 settembre 2018, nell'antologia postale del Ducato di Modena: lotto numero 25, "
rarissimo insieme". E infine - a inizio 2023 - da Filsam: lotto n. 856, "
grande rarità del Ducato di Modena, tra le più spettacolari".
La lettera presenta delle imperfezioni - il catalogo della Burrus parla di "
qualche piega", la Laser Invest dice "
insieme con difetti"
- che nulla tolgono alla sua straordinarietà, convalidata
dalle firme per esteso di tutti i nomi di primo piano della filatelia italiana e
internazionale (
Giulio Bolaffi, Maurizio Raybaudi, Alberto ed Enzo Diena).
Serve dire altro, per onestà. Nessuno si è mai premurato di precisare che la tariffa base del periodo era di 1,90 lire, e quindi la lettera era affrancata in origine per 3,80 lire, trattandosi di un doppio porto. Dove sono finiti i 60 centesimi mancanti? Erano al verso: quattro esemplari da 15 centesimi usati per sigillarla, e quindi strappati al momento dell'apertura (se ne scorgono ancora le tracce). Cose che capitano, quando si parla di rarità, ma perché non dichiararlo?
Rimane un fatto: 22 francobolli di Modena, su una stessa lettera, non si sono mai visti né mai si vedranno. Uno zero della filatelia non sembra aver altro modo per farsi notare, se non raggruppandosi con tanti altri zeri
come lui. Da zero a mito (della filatelia) pur di essere abbastanza
numerosi e tutti assieme, vicini.
Ma è proprio così? In fondo ♫si può fare molto pure in tre, qui non serve mica essere in tanti♬, cantava Gino Paoli, interpretando un testo ricco di progetti e speranze. E con la qualità si può fare molto pure in tre, anche se si è soltanto tre, perché la qualità non è quantità, e non richiede perciò di essere in tanti.
Ne bastano tre, soltanto tre, purché di qualità:
uno sciolto, uno su frammento e un altro su documento, tutti e tre in uno stato qualitativo che
non avremmo saputo concepire e realizzare così bello, se mai avessimo
avuto il privilegio di potercelo costruire da noi.
I francobolli degli Antichi Stati Italiani sembrano aver trovato una via privilegiata per accedere al tronco del cervello, ai comandi delle
emozioni, senza pagare dazi o pedaggi alla corteccia, ai filtri
della ragione.
E voi da quale
parte vi schierate, prima che tutto sia sussunto dalle
norme del cervello definito più nobile? Cosa vi emoziona di più? La rarità o la qualità?
♫... ma eroi, profeti, miti, santi, bambole e banditi,
ti rapiranno ancora tante volte,
o tu li aspetterai e non verranno mai...♬
(Francesco Guccini)
Devo dire che il punto numero due, ovvero la "desiderabilità" mi lascia molto perplesso. Desiderabile da molti più soggetti rispetto al numero di esemplari disponibili, in multiplo elevato? Ciò significa che c'è una massa di persone (un multiplo elevato) che desidera un certo oggetto e questo è un requisito per definire rarità un oggetto. Ne deriva che se un oggetto è desiderato da moltissime persone, ma ne esistono solo pochi esemplari può essere considerato una rartià a prescindere che l'oggetto in se abbia un suo intrinseco valore? Solo perché la massa lo desidera, ciò gli fa acquisire "rarità"? "La merda d'artista". Nel 1961 Piero Manzoni, defecò in alcuni barattoli di latta e li sigillò, facendo tutto in regola perché ogni latta fosse un pezzo unico, numerato, catalogato, rintracciabile, credo fossero novanta latte in tutto. Forse una provocazione per dire che se raro e unico (erano gli escrementi di un artista famoso, non quelli di un pinco pallino qualunque), avrebbe raggiunto quotazioni stratosferiche, anche se in realtà si trattava solo di merda.
RispondiEliminaIn effetti sono in molti a voler possedere un qualcosa, solo perché disponibile in numero molto limitato e desiderato da moltissime persone. Ne conosco di esempi. "Nel circolo filatelico tal de tali, un tizio sente parlare rinomati filatelisti riguardo un francobollo che loro reputano il non plus ultra, che non riesco a trovarlo, che vorrebbero possedere ecc ... Questo tizio allora si mette alla ricerca, a fare di tutto per rintracciare quel francobollo. Una volta ottenuto, torna nel circolo filatelico mostrando a quei filatelisti che il loro oggetto di desiderio è in mano sua e questa azione riempie di gioia il tizio a causa di una spinta fortissima alla propria autostima". Io inconsciamente reputo il giudizio di quei filatelisti molto importante, anche più importante del mio, perchè la società li considera persone di alto livello perché avvocati, oppure medici, oppure ingegneri, loro desiderano un oggetto, quindi se io mi procuro quell'oggetto che loro tanto desiderano, allora anche io acquisirò prestigio perché posseggo ciò che persone che io reputo di alto livello desidererebbero. Non credo che si debba spiegare granché sull'idiozia di questo tipo di meccanismo.
Io il punto 2 non lo prendo neppure in considerazione. Dal punto di vista filatelico a me non interessa granché ciò che pensa la massa o ciò che è importante per la massa, a prescindere dal valore che io attribuisco all'oggetto.
Un esempio semplice. Se mi imbatto in un francobollo che possiede delle caratteristiche rare da rintracciare, se non addirittura uniche allo stato della conoscenza attuale, che mi permette di chiudere il cerchio riguardo alcune ipotesi su come si sono svolti i lavori per la stampa dei francobolli toscani, caratteristiche di filigrana, stadio della varietà e valore nominale del francobollo stesso, bè quella per me è davvero una grande rarità. Per me. Ma non è un "per me" perché mi sconfinfera così, bensì perché dietro c'è un lavoro di studio e di ricerca che ne giustifica in modo oggettivo il pregio. Ma ciò non interessa a nessuno, se non a me e forse ad altre due persone sull'intero globo. Passerebbe inosservato in qualunque asta, sempre invenduto, ma in realtà si tratta di una grande rarità perché solo quel francobollo è capace di far chiudere il cerchio, di dimostrare come si è svolto un pezzo della nostra storia postale. Quindi è ciò che pensa la massa (gente estranea alla mia persona) che fa di un oggetto una rarità?
Questo ciclo di post nasce con l'obiettivo di dare precisione a un concetto astratto - la rarità - e l'opera di chiarezza ricorre di necessità a riduzioni, schematizzazioni e classificazioni, che in una certa misura scontano scelte convenzionali.
EliminaIl mio invito, come contrappeso a una serie di semplificazioni inevitabili, è nel preservare una visione olistica in fase di lettura: i tre requisiti non vanno intesi come richieste "stand-alone", da comporre tra loro per avere una "rarità", ma come prospettive differenti su una stessa realtà - la rarità - di per sé irriducibile.
Lo stesso ordine con cui sono presentanti è puramente convenzionale, non gerarchico. Avrei potuto mettere al primo posto ciò che ho invece indicato come "requisito 3", e capisco ora - grazie al tuo commento - che forse sarebbe stato meglio, perché probabilmente avrebbe indirizzato più correttamente l'intera stesura del post (e di conseguenza la comprensione per chi legge).
In effetti, a riflettere a modo, il requisito di "association value" (che tu chiami "valore intrinseco") è il punto d'ingresso più efficace, per qualificare la rarità.
Sì, è vero, possono esserci oggetti disponibili in quantità limitata e desiderati da un elevato numero di persone, per i motivi più disparati (manie, moda, speculazione, esibizionismo, ...). Ma la rarità si distingue da tutto il resto proprio per il motivo che la rende desiderabile, e cioè per il suo "association value", per la quantità di significati e messaggi di cui è portatrice, e se vogliamo anche gli eventi che gli si sono stratificati sopra nel corso del tempo, che la rendono "intrinsecamente" pregiata (per recuperare la tua espressione).
Invito a rileggere la recensione di Alberto Bolaffi al "3 lire Faruk" (a conclusione del volumetto "Capolavori Filatelici della Collezione Pedemonte") per avere un esempio chiarificatore di cosa intendo.
Quindi, per altro verso, hai voglia a riempire di cacca dei barattoli numerati, qualificandoli come "merda d'artista": il loro "association value" è nullo, e probabilmente lo rimarrà per sempre, perché - parafrasando Oscar Wilde - nessuno è così ricco, famoso, importante o potente, da potersi ricostruire un passato (una nobilità, in senso lato) che non possiede.
Forse, ripeto, muovendo dall'importanza del requisito di "association value", si riesce a cogliere meglio il significato genuino del requisito di "desiderabilità".
Riporto di seguito la parte finale del commento di Tiziano.
Elimina"Se mi imbatto in un francobollo che possiede delle caratteristiche rare da rintracciare, se non addirittura uniche allo stato della conoscenza attuale, che mi permette di chiudere il cerchio riguardo alcune ipotesi su come si sono svolti i lavori per la stampa dei francobolli toscani, caratteristiche di filigrana, stadio della varietà e valore nominale del francobollo stesso, bè quella per me è davvero una grande rarità. Per me. Ma non è un "per me" perché mi sconfinfera così, bensì perché dietro c'è un lavoro di studio e di ricerca che ne giustifica in modo oggettivo il pregio. Ma ciò non interessa a nessuno, se non a me e forse ad altre due persone sull'intero globo. Passerebbe inosservato in qualunque asta, sempre invenduto, ma in realtà si tratta di una grande rarità perché solo quel francobollo è capace di far chiudere il cerchio, di dimostrare come si è svolto un pezzo della nostra storia postale".
Questa è un'osservazione arguta, ammirevole, perché denota una spiccata sensibilità collezionista, che rinvia implicitamente alla distinzione tra una "collezione di rarità" e una "collezione rara", dove nel passare dal primo al secondo caso, la rarità smette di essere una qualificazione dei singoli oggetti per diventare un attributo della collezione tutta intera, intesa come un monolite.
Il punto di vista sarà chiarito attraverso la presentazione della collezione di "Napoli" del dottor Piccirillo (in un post dedicato, all'intero di questo ciclo).
Un dipinto originale di Vincent Van Gogh oggi è di difficile acquisizione anche disponendo delle necessarie risorse economiche(3), perché ne esistono pochi esemplari (1), lo desiderano in molti di più di quanti siano i quadri esistenti (2). Ma quando il pittore era in vita, lui di quadri ne ha venduti solamente uno, a quanto si narra e solo quasi per carità. Ma si trattava sempre degli stessi oggetti, non sono cambiati da prima che Van Gogh morisse a dopo la sua morte. E se venisse un periodo in futuro in cui l'arte non interessa più a nessuno, per qualsivoglia motivo, perché ad esempio succede una catastrofe nucleare e l'unica cosa che interessa ai sopravvissuti è di continuare a sopravvivere e quindi le quotazioni dei dipindi di Van Gogh tornassero ai livelli di prima della morte di Van Gogh? Quindi lo stesso oggetto, prima non era una rarità, poi è divenuta una rarità e poi di nuovo non è più una rarità, anche se l'oggetto è rimasto identico a se stesso. Se stanno così le cose, ovvero se la rarità dipende solo dal fatto che, oltre al numero scarso di esemplari, la massa lo desideri, e prescinde totalmente dalle caratteristiche intrinseche dell'oggetto, allora direi che la qualità di "rarità" è un qualcosa di estremamente volatile e superficiale.
RispondiEliminaQuesto tuo esempio specifico - con gli associati interrogativi - è piuttosto interessante perché agevolmente generalizzabile.
EliminaCos'è - operativamente, di là delle parole - che determina la presenza e l'intensità dell' "association value"? Perché alcuni oggetti lo posseggono e altri no? E perché oggetti che a lungo ne sono stati sprovvisti, lo hanno acquisito quasi all'improvviso, sino a diventarne esempi paradigmatici? Se alla base della rarità vi è la stabilità del suo indicatore relativo (sintesi dei requisti 1 e 2), e se questa stabilità si base sull' "association value", su cosa si fonda a sua volta la stabilità dello stesso "associaton value"? Si possono individuare dei fattori ancora più "primitivi", invarianti nel tempo e nello spazio?
Questo Blog, in fondo, è nato più che altro per sollevare problemi - per prospettarli con chiarezza e proporre un avvio di risposta - che non per propagandare soluzioni preconfezionate, nella consapevolezza che ogni risposta convincente apre la via una lunga serie di ulteriori domande.
RispondiEliminaSi può creare una rarità? Ovvero, un oggetto considerato fino ad oggi di valore infimo, può divenire una rarità? E ancora, si può creare un pedegree di tutto rispetto per un francobollo, anche se ad oggi questo non lo possiede?
Ritornando all’esempio del francobollo di Toscana che chiude il cerchio rispetto alla ricostruzione su come si sono svolti i lavori per la stampa dei francobolli granducali. Questo oggetto non è mai stato considerato niente di ché, se non un francobollo di prima scelta di basso valore di catalogo come ce ne sono tanti. Non ha pedegree ad oggi conosciuto, magari lo possiamo un giorno scoprire essere appartenuto ad una collezione famosa, ma non essendo un oggetto di gran valore di catalogo, forse nessuno ne ha mai parlato e quindi il famoso pedegree di fatto non esiste, se non del tipo “si, apparteneva alla collezione tal de tali …”. Potrebbe essere che da oggi in poi questo francobollo, dopo la pubblicazione di uno studio sistematico, organico, oggettivo, basato su fatti ed argomentazioni inappuntabili e forse un giorno anche largamente riconosciute, acquisisca un pedegree di tutto rispetto? Ovvero per avere un pedegree appetibile, un francobollo deve per forza affondare la sua storia conosciuta e tracciabile negli albori del collezionismo filatelico?
Ovviamente quando dico “si può creare una rarità” o “si può creare un pedegree” per un francobollo, non intendo che si voglia imbastire una storia arraffazzonata per un oggetto, solo per renderlo desiderabile commercialmente. Si tenga presente che nei miei ragionamenti la pecunia, il vil denaro, non viene mai preso in considerazione, ben conscio del fatto che questo, lo sterco del demonio, è ampiamente capace di inquinare irrimediabilmente qualsiasi aspetto della vita con cui venga in contatto. Io sono un collezionista e in nessun modo un commerciante, i pezzi che entrano nella mia collezione lo fanno per un motivo ben preciso e per restarci. Non vendo o cedo i miei pezzi per acquisirne di migliori, non è in nessun modo nel mio modo di collezionare, sempre che si possa definire “collezionare” quel modo di fare.
Fin dai primi tempi in cui ho iniziato a bazzicare il mondo del collezionismo filatelico, ho sentito frasi del tipo “ma collezionare questo tipo di oggetti, interessa alla gente?” oppure “non so se approfondirò questo studio, perché non mi sembra che ci sia granché interesse” o ancora “non faccio questo tipo di collezione, perché questi oggetti non hanno grande mercato”. Tutte espressioni rivolte all’esterno, agli altri, a ciò che interessa agli altri, alla massa (punto 2). Se un oggetto o un argomento è desiderabile allora ha valore, altrimenti no. Certo, il mercato funziona così, se un bene non interessa a nessuno, nessuno è disposto a pagare per averlo e quindi non ha valore (economico, ovvero di scambio).
Poni una serie di domande di notevole interesse, che riporto di seguito:
Elimina"Si può creare una rarità? Ovvero, un oggetto considerato fino ad oggi di valore infimo, può divenire una rarità? E ancora, si può creare un pedegree di tutto rispetto per un francobollo, anche se ad oggi questo non lo possiede? [...] Ovvero per avere un pedegree appetibile, un francobollo deve per forza affondare la sua storia conosciuta e tracciabile negli albori del collezionismo filatelico?"
Qui non c'è spazio a sufficienza per replicare a modo; valutarò - eventualmente - un post dedicato, dove magari riprendo pure gli esempi che proponi.
Mi preme piuttosto ribadire che i tre requisiti di una rarità vanno intesi in senso monolitico, come un tutt'uno, come diverse prospettive su un'unica realtà.
Chi si concentra soltanto su uno - e più in generale chi stabilisce delle gerarchie inesistenti fra i tre requisiti, dicendo ad esempio che il secondo è più importante del terzo - sta falsando il concetto.
La filatelia - soprattutto la moderna - ha in effetti battuto ossessivamente sul solo requisito 2, creando un vortice di fenomeni speculativi che si è concluso come si concludono tutte le speculazioni: con disastri di varia natura (per colmo d'impostura accompagnati dalle patetiche lagnanze - "non c'è più la filatelia di una volta" - di chi riusciva a trarre facili profitti).
Il tema lo trovate discusso (con abbondanza di evidenza empirica) nel post "GLI ANNI D'ORO (?) DELLA FILATELIA" del 22 giugno 2025.
Forse io ho preso troppo alla lettera il consiglio di mia madre quando mi diceva “Tiziano impara a pensare con la tua testa, non con quella degli altri”. A me non è interessato niente del mercato, di cosa interessava alla gente, di quale studio poteva suscitare un interesse o meno, io ho seguito fin dal primo momento il mio istinto, la mia visione delle cose, il mio fiuto, il mio di interesse, a prescindere da ciò che pensava quello che oggi viene chiamato il “main stream”.
RispondiEliminaIo ero interessato ad iniziare il lavoro sulle filigrane di Toscana e chiesi ad un collega se fosse interessato ad unirsi ai miei sforzi, una persona che sapevo già aver iniziato questo tipo di lavoro. Mi fu risposto “non credo che mi impegnerò in questo tipo di pubblicazioni, non mi sembra che ci sia granché interesse”. Io pensai “io conosco qualcuno che è davvero molto interessato a questo argomento, sono io e questo mi basta”. Poi in realtà, a lavoro già ampiamente iniziato, ho chiesto collaborazione anche ad un altro appassionato, Emilio Calcagno, che ha apprezzato, ci ha visto qualcosa di buono e si è aggiunto”. Oggi continuo a pensare con la mia testa e continuo sulla mia strada. Su un forum un grande intenditore di filatelia Toscana poco tempo fa ha scritto “si continua a sponsorizzare il lavoro di una persona [Tiziano Nocentini] che non interessa a nessuno …”. Il fatto che il mio lavoro interessi a qualcuno o meno al di là di me stesso, non è per me una discriminante. Io ho la mia ricerca da portare avanti, la mia storia da scrivere e chissà che questa non porti un giorno a creare nuove rarità e ad iniziare la costruzione di nuovi pedegree. C’è chi si basa sull’esistenze sul già fatto e poi c’è chi cerca di scrivere qualcosa di nuovo, di originale, nuovi concetti, idee e nuovi modi di guardare alle cose, nuove prospettive. Come accade spesso, ciò che è nuovo un po’ spaventa e fa fatica ad essere accettato.
Sono ben conscio del fatto che non tutti possono avere la fortuna di avere una storia da scrivere, una visione da utilizzare come bussola, un progetto da realizzare, un fiuto da seguire. Può benissimo essere come diceva un grande comico, che le risposte alle tue domande, che puoi trovare solo in te stesso, siano in realtà sbagliate. È un rischio che vale la pena correre? Il confronto con gli altri è ineludibile in fondo, l’uomo è un animale sociale e anche i più introversi necessitano del confronto in uno modo o nell’altro. Anche in quel caso occorre però divenire noi stessi dei periti, ovvero si deve imparare a saper interpretare correttamene il pensiero altrui, come ad esempio la frase “si continua a sponsorizzare il lavoro di una persona [Tiziano Nocentini] che non interessa a nessuno …”, che verosimilmente è più un travaso di bile che un giudizio professionale e trasparente da tenere in considerazione.
Tiziano scrive:
Elimina"Io ero interessato ad iniziare il lavoro sulle filigrane di Toscana e chiesi ad un collega se fosse interessato ad unirsi ai miei sforzi, una persona che sapevo già aver iniziato questo tipo di lavoro. Mi fu risposto 'non credo che mi impegnerò in questo tipo di pubblicazioni, non mi sembra che ci sia granché interesse'. Io pensai 'io conosco qualcuno che è davvero molto interessato a questo argomento, sono io e questo mi basta'. Poi in realtà, a lavoro già ampiamente iniziato, ho chiesto collaborazione anche ad un altro appassionato, Emilio Calcagno, che ha apprezzato, ci ha visto qualcosa di buono e si è aggiunto".
Per capire l'assurdità della risposta del primo interlocutore ("non credo che mi impegnerò" perché "non mi sembra che ci sia granché interesse") basta declinarla su tutte le innovazioni che hanno cambiato il mondo, nell'istante in cui qualcuno ha pensato di realizzarle:
- non credo che mi impegnerò a costruire un automobile, perché non mi sembra ci sia in giro grande interesse;
- non credo che mi impegnerò a realizzare il telefono, perché non mi sembra ci sia in giro grande interesse;
- anche se ora esiste il telefono, non credo che mi impegnerò a farlo evolvere nella forma di Iphone, perché non mi sembra che in giro ci sia grande interesse;
- Interntet? Mah... non mi sembra che in giro ci sia grande interesse.
Chiaro, sì? Qualunque cosa - al momento della sua nascita - non aveva grande interesse, per il semplice fatto che i più, se non la totalità, ne ignoravano l'esistenza, la possibilità di realizzarla, e i vantaggi che ne avrebbero tratto.
"...la mia visione delle cose, il mio fiuto, il mio di interesse, a prescindere da ciò che pensava quello che oggi viene chiamato il mainstream" - per usare le parole di Tiziano - è ciò che anima lo spirito di tutti gli innovatori, che alla fine sono quelli che mandano avanti il mondo, prendendosi i loro rischi - giacchè, appunto, "Il confronto con gli altri è ineludibile" - e pronti a sopportarne le conseguenze, sì, ma non certo le offese gratuite di chi - per rancori personali - squalifica aprioristicamente il lavoro di chi, bene o male, prova comumque a far qualcosa.