Il collezionismo è incardinato sul possesso, non solo per il gusto del contatto visivo, del sottile piacere dello "sguardo che tocca", ma perché l'esigenza di possedere, scontrandosi col vincolo di bilancio, impone di filtrare gli oggetti migliori rispetto alla storia da raccontare attraverso la collezione, e di conseguenza di valutarli (in termini economici) in ragione del contributo che vi apportano e al pregio che ricevono dai pezzi già presenti: quelli - e solo quelli - sono i "nostri" pezzi, i francobolli e le lettere da amare.
Queste poche righe - nel distillare le Cinque Conversazioni sul Collezionismo - mandano un messaggio affatto subliminale: le collezioni "virtuali", le collezioni "sulla carta" o "ipotetiche", che talvolta si tenta di nobilitare con la qualifica di "impossibili", sono giochi sciocchi e forse addirittura diseducativi, perché sfilando l'elemento centrale - il possesso - fanno venir meno, a cascata, anche tutti gli altri (e così svanisce l'intero discorso).
Immaginate di voler costruire una collezione risorgimentale, centrata su francobolli e lettere del periodo dei Governi Provvisori: se rimuovete la base del possesso, se prescindente dal saper pazientare in attesa dei pezzi giusti, dal preservare il denaro dalle continue tentazioni, dalla risolutezza necessaria quando arriva il momento, se insomma il vostro collezionare si riduce a un puro disegno su carta, a una semplice speculazione intellettuale, ecco che nel vostro album virtuale si materializzerà all'istante - senza sforzo, tensione emotiva e alcuna gioia - un "trittico impossibile".
Collezionare senza possedere (se l'affermazione non suonasse già buffa e contraddittoria) è come organizzare un poker senza denaro: le partite vengono svilite sino a perdere di significato, perché senza un posta in gioco - per quanto piccola - viene naturale arrivare sempre e comunque sino alla fine, anche se non si ha nessun punteggio interessante, o magari tentando gli azzardi più improbabili, sempre pronti ad accettare ogni rilancio, solo per il piacere idiota di vedere le carte dell'avversario (o nella speranza di uscire vincitori per pura vanagloria).
Parlare di "collezioni virtuali" significa mettersi in una condizione piuttosto rischiosa: è alta la probabilità di passare per stupidi.
E sia: rischiamo.
La "Toscana" è stato il primo settore verso cui mi sono indirizzato, quando ho ripreso la mia avventura con gli Antichi Stati. Non ho punto voglia - per dirlo in fiorentino - di ripercorrere progetti, entusiasmi e delusioni del mio girovagare per il Granducato. Balzo subito alle conclusioni: avevo messo in piedi un gran bell'insieme - senza modestia - battezzato Collezione "Marzocco" - qui, sì, con una certa audacia - che ho poi dovuto giocoforza liquidare perché "battere in ritirata" era "l'unica scelta razionale", come scrivevo nell'amara presentazione della collezione (i cui pezzi venivano mostrati "nello stato 'da cantiere aperto' in cui si trovavano l'ultima volta").
Di quando in quando mi ritrovo però a fantasticare su come sarebbe evoluta la "Marzocco" se avessi tenuto duro, se mi fossi ostinato a portarla avanti, specialmente quando sul mercato transitano pezzi interessanti. Lo ammetto: a volte sto lì a immaginare ciò che poteva essere e non è stato, e nella mia testa prende forma una "collezione virtuale di Toscana", a cui posso dare una parvenza di senso soltanto vincolandomi al massimo realismo.
"Leoni Toscani" segue così una linea logica e temporale di estremo
rigore: fa base su ciò era stato effettivamente realizzato - la
"Marzocco" - e si estende in stretta coerenza con ciò che il mercato ha
proposto dal 2019 in avanti, sotto le condizioni di pertinenza (rispetto al progetto collezionistico) e di accessibilità
economica (con le mie disponibilità).
Tra i "Leoni Toscani" non troverete mai lettere col 60 crazie, perché chiaramente fuori portata. E non troverete neppure pezzi ordinari o minori, ben raggiungibili con le mie capacità di spesa, ma posseduti da collezionisti che non li cederebbero. Così come non vedrete pezzi di cui si è ormai persa traccia, non più apparsi pubblicamente da decenni, che nessuno sa dove siano, e di fatto al momento irreperibili.
I miei "Leoni", quindi, sono sì un'opera di fantasia, una simulazione, una collezione virtuale, ma la severità delle sue regole dovrebbe prevenire ogni degenerazione, e potrebbe persino rivelarsi educativa, nella misura in cui riesca a far passare un messaggio di speranza, alto e generale: è possibile portare avanti una bella e originale collezione di "Marzocchi" - fuori dagli stereotipi, ma ancora in grado di documentarne gli aspetti più rilevanti - avendo semplicemente un minimo di conoscenze storiche e competenze tecniche, di buon gusto nella scelta e soprattutto di capacità di pazientare, senza infognarsi in quello shadow philatelic system, popolato da granduchi fantocci e leoni di cartapesta, da cui si esce invariabilmente afflitti e nauseati.
"Leoni Toscani" - in prospettiva - ambisce ad assolvere una funzione pedagogica, vuol essere un progetto open-ended per "fare cultura" - filatelica e non solo, com'è nella tradizione del collezionismo - e perciò è un invito a tutti i collezionisti a mettere idealmente a disposizione i loro pezzi, nonché le conoscenze che vi stanno dietro, per alimentare le sezioni già presenti o proponendone di nuove, così da creare e consolidare un Museo dei Marzocchi - che sia di riferimento per i filatelici e gli accademici, o anche solo per i curiosi di passaggio - da diffondere massimamente per il web.
Gli interessati possono contattarmi all'indirizzo pitigrilli373@gmail.com.
Il Granducato di Toscana nasce il 27 agosto 1569 con la bolla papale di Pio V, dopo che la dinastia dei Medici - già a capo della Repubblica di Firenze -
conquista la Repubblica di Siena nella fase finale delle guerre d'Italia del XVI secolo.
Cosimo I, Francesco I, Ferdinando I, Cosimo II, Ferdinando II e Cosimo III
saranno i Granduchi di Toscana, dal 1569 al 1723.
Gian Gastone - secondogenito di Cosimo III - non ha la tempra dei predecessori,
e per più d'una ragione non riesce a tenerne il passo, a governare come dovrebbe.
Dal 1731 Vienna inizierà così a interessarsi ai territori della Toscana,
e Gian Gastone si ritroverà in mezzo a giochi di potere che non saprà contrastare.
Nel 1736 il Duca di Lorena Francesco III Stefano sposa Maria Teresa d'Austria,- unica e contestata erede dei variegati domini asburgici sparsi per l'Europa -
e la Francia paventa il passaggio della Lorena - regione francofona - agli Asburgo.
Si affretta perciò a riconoscere l'eredità spettante a Maria Teresa,
ma pretende la temporanea cessione del Ducato di Lorena a Stanislao Leszczyński
- antico Re di Polonia, suocero di Luigi XV - per poi acquisirlo alla morte del sovrano polacco;
e propone di compensare i Lorena proprio col Granducato di Toscana,
con l'impegno però a non annetterlo ai dominî asburgici,
ma di destinarlo a dei figli minori dell'unione.
Il ramo cadetto della casata degli Asburgo-Lorena
reggerà il Granducato fino al 27 aprile del 1859,
Sua Altezza Imperiale e Reale - Granduca Leopoldo II - "
approvando che la fabbricazione dei francobolli [...]
ha altresì ordinato che portino per impronta il 'Leone di Etruria coronato'. Quanto dovevo a Vostra Signoria Illustrissima a risposta della di Lei relativa partecipazione in data del 18 cadente"
.
La lettera del 21 dicembre 1850 - del Soprintendente Generale delle Poste, Giuseppe
Pistoj, al Ministro delle Finanze Baldasseroni - chiudeva l'iter istituzionale per la produzione dei francobolli.
L'incarico per la predisposizione del conio "non poteva convenientemente affidarsi ad altri che al Signor Niderost incisore della Regia Zecca" - si legge nella comunicazione del 2 gennaio del 1851 al Ministro delle Finanze.
L'incisore creò lo stereotipo del francobollo senza l'indicazione del valore,
e poi creò - a parte - i singoli tasselli dei diversi valori facciali.
Nella vignetta si vedono ancora le originarie quattro "X" agli angoli,
a cui poi si decise di sovrapporre un piccolo cerchio bianco.
I locali della Soprintendenza Generale delle Poste avrebbero ospitato i processi di stampa, e andavano perciò "rese libere le stanze che fino ad ora avevo potuto porre a disposizione di codesta Direzione principale" - si vide scrivere il 23 dicembre il Direttore dell'Ufficio Postale di Firenze - tanto più che "è
già possibile disporre la scaffalatura che da una stanza dell'archivio
alto, nella quale sarà collocato il torchio, deve essere rimessa ora
nella stanza da Lei lasciata".
La
cartiera Cini di San Marcello Pistoiese fornì la carta filigranata:
dodici corone disposte su quattro righe di tre corone, inquadrate da
quattro linee verticali e cinque orizzontali, con ulteriori quattro
linee attorno a ogni linea orizzontale per non lasciare troppi spazi
sprovvisti di filigrana; nel 1857 si sarebbe proceduto a un cambio di
filigrana, un tappeto di 78 linee ondulate disposte verticalmente, a
riempiere l'intero foglio, attraversate diagonalmente dalla scritta in
maiuscoletto "II E RR POSTE TOSCANE" con caratteri a doppio filo.
Le filigrane dei francobolli granducali, nelle tirature del 1851 (corone) e del 1857 (linee ondulate).
Filigrana a corone
Quattrini, Soldi, Crazie
Oggi parliamo di
quattrini e
soldi in
modo interscambiabile, li usiamo come sinonimi, senza sottigliezze lessicali, per evocare una generica disponibilità monetaria.
Ma nella Toscana granducale i quattrini e i soldi
erano effettivamente monete correnti di piccolo valore, e proprio il loro
trovarsi nelle tasche del popolo ha permesso di conservarne memoria, di
tramandare le due espressioni sino ai giorni nostri.
Il quattrino - invero diffuso sull'intera penisola, per la comodità nei conteggi - doveva il suo nome all'essere un multiplo di quattro del denaro - altra espressione d'uso corrente - allo stesso modo per cui si sarebbe chiamato "terzino" se fosse stato commisurato al soldo, secondo l'equivalenza vigente nella Toscana del Granduca Leopoldo II.
Diversa è la storia della crazia - dal tedesco kreuzer, derivazione di kreuz, croce - la moneta per eccellenza della filatelia di Toscana, ma sconosciuta ai più.
Fu
coniata da Cosimo I dei Medici, nel XVI secolo, col valore iniziale di 5
quattrini, e subito percepita come espressione generale di un valore
dozzinale ("non valere una crazia", per indicare un valore pressoché nullo). Era diventata una moneta di puro conto, ai tempi del
Granduca Leopoldo II, a cui non corrispondeva più alcuna realtà fisica, e
ciò può spiegare la scomparsa del termine dal gergo popolare, una volta
realizzato il cambio di monetazione con la lira italiana.
Quattrini, soldi e crazie
appartenevano all'articolato sistema monetario toscano duodecimale -
nato con Carlo Magno e preservato sino agli Asburgo-Lorena - ed
esaurivano la monetazione dei francobolli granducali.
La monetazione dei francobolli del Granducato di Toscana,
su esemplari con tre classici annulli postali ("mostaccioli", "P.D." e "sbarre").
Aritmetica toscana

L'emissione dei francobolli toscani era funzionale all'attuazione della Convenzione postale tra l'Impero
d'Austria e il Granducato, del 5 novembre 1850, che poneva le basi per la
Lega Austro-Italica.

La "Convenzione" sarebbe dovuta entrare in vigore il 6 marzo 1851, ma quando la Soprintendenza ebbe "l'idea esatta dell'ampiezza delle varie disposizioni che occorrono perché tale attuazione possa essere convenientemente fatta"
- come scriveva il 30 gennaio al Presidente del Consiglio dei Ministri e
al Ministro delle Finanze - realizzò anche l'impossibilità di
rispettare la scadenza, visto lo stato dell'arte del processo di
produzione dei francobolli.
"Fu
eseguito il disegno del francobollo, ma non è ancora fatta la matrice
occorrente.
La forma per la carta è già stata modificata, ma le risme
che ci occorrono per la stampa non potrebbero essere pronte prima della
metà di febbraio.
E' stata disposta la stanza per uso della stamperia,
ma non è ancora comprato il torchio e le altre macchine e utensili
necessari.
E' stata preparata anche la stanza per l'Ufizio dei
francobolli, ma mancano i 2 impiegati che devono occuparla.
Bisogna
preparare e pubblicare le nuove tariffe e regolamenti postali, e
occorre preparare le minime istruzioni occorrenti per gli Ufizi postali.
Il bisogno di preparare e dare per tempo tutte le suddette disposizioni
e molte altre, consegue la necessità di chiedere al Governo Austriaco
di rimettere almeno al primo di aprile l'attuazione della detta
Convenzione".
L'Austria
accordò il rinvio, ma la scadenza d'inizio aprile rimaneva sfidante; col suo approssimarsi gli operai lavorarono persino nei giorni
festivi, su concessione dell'Arcivescovo di Firenze, purché "ciò si faccia udita prima la S. Messa con
ogni ritiratezza, senza verun disprezzo, e rimossa alcuna occasione di
scandalo".
L'impegno fu rispettato, e il 19 marzo 1851 le Direzioni Postali si videro rifornire dei cinque i
francobolli previsti dalla "Convenzione", da distribuire agli uffici del Granducato:
* 1 soldo, per il porto di una stampa sino al peso di 15 denari;
* 2 soldi, per il doppio porto di una stampa (o al porto semplice di una stampa diretta in località della Lega Austro-Germanica);
* 2 crazie, per una lettera del peso sino a 15 denari tra uffici postali distanti fino a 40 miglia italiane;
* 4 crazie, per una lettera del peso sino a 15 denari scambiata tra uffici distanti da oltre 40 e fino a 80 miglia italiane;
* 6 crazie, per una lettera del peso sino a 15 denari tra uffici distanti oltre le 80 miglia italiane.
Costumi postali toscani.
L'uso dei francobolli era al principio obbligatorio solo per le corrispondenze verso gli Stati della Lega Austro-Italica, laddove le altre spedizioni per l'estero ammettevano ancora il pagamento in moneta (da parte del mittente e più spesso del destinatario) anche perché la corrispondente tariffa da 3 crazie (per far viaggiare la lettera sino al confine) non era coperta direttamente da nessun valore dell'emissione.
Il 22 ottobre 1852 il Soprintendente Generale delle Poste estendeva l'obbligatorietà dell'affrancatura a tutte le corrispondenze, giacché nel luglio 1851 erano stati emessi i valori da 1 crazia e 9 crazie per venire incontro alle nuove esigenze istituzionali (la serie si sarebbe
infine completata proprio sul finire del 1852, con i due esemplari agli estremi della scala: i francobolli da 1 quattrino e 60 crazie); ci si
rese inoltre conto della scarsità d'uso del 2 soldi e se ne stabilì pertanto il fuori corso.
In poco più d'un anno, dunque, l'articolazione dei valori postali si era riconfigurata e razionalizzata, nel numero e nel facciale dei pezzi, con l'introduzione di valori utili a coprire l'intero spettro tariffario - in particolare il costo da 3 crazie, per il secondo porto interno e il porto franco sino al confine delle spedizioni estere - e la soppressione di un valore (il 2 soldi) non più rilevante neanche in combinazione con altri.
Perché in effetti, sino al luglio del 1851, e comunque finché rimane in un uso, il 2 soldi tornava ancora utile, se non per l'uso isolato, di sicuro per via indiretta: il gioco delle conversioni - nell'articolato sistema monetario toscano - stabiliva l'equivalenza tra 1 soldo e 0,6 crazie, per cui 5 soldi corrispondevano a 3 crazie, e il modo
più "economico" per coprire la tariffa - in termini di numero di pezzi, prima dell'introduzione del valore da 1 crazia - era proprio la combinazione tra due esemplari da 2 soldi e uno da 1 soldo.
Dopo la sua soppressione - per il ridotto uso isolato e la ridondanza nell'uso combinato - non fu più possibile realizzare la suggestiva affrancatura da 3 crazie attraverso esemplari denominati esclusivamente in soldi, di cui oggi abbiamo testimonianza in appena 50 reperti.
Lettera da Empoli a Genova, del 30 luglio 1851, affrancata per 3 crazie,
a mezzo di una coppia del 2 soldi e di un esemplare da 1 soldo.
La migliore tra le 50 lettere note.
La carta azzurra
L'artigianato di produzione dei francobolli granducali.
Due torcolieri: erano loro gli operai dedicati alla stampa dei francobolli granducali.
Uno
inchiostrava la tavola di stampa, con un rullo: lo posava sulla piastra
- una lastra di metallo o una vecchia pietra litografica - e con
una punta della spatola toglieva una piccola quantità d'inchiostro
dal contenitore; ne stendeva sul rullo una striscia di circa
due centimetri per tutta la lunghezza, e lo passava più volte sulla
piastra, impugnandolo per le due
manopole,
per realizzare un'inchiostrazione uniforme.
L'altro torcoliere posava il foglio di stampa sul timpano, abbassava la fraschetta che teneva fisso il
foglio, e poi il timpano sulla tavola.
Il primo
torcoliere azionava quindi il torchio, e a operazione conclusa alzava il timpano e la fraschetta, e toglieva il foglio stampato.
I fogli venivano infine stesi ad asciugare, o posati uno sull'altro intercalando dei fogli provenienti da scarti di stampa.
La
vulgata sostiene che i fogli venissero immersi in
soluzioni acquose di colore azzurro - forse come misura di
anti-contraffazione o forse come semplice tocco di eleganza - ma una
bagnatura completa avrebbe ondulato la carta, impedendone la stampa. Con
ogni probabilità la coloratura avveniva già al momento della
fabbricazione, con l'aggiunta del colorante nell'impasto per produrre la
carta.
Quale
ne fosse l'origine - immersione in acqua o amalgama nell'impasto - il
procedimento rimaneva artigianale, e creò nel tempo una molteplicità di
sfondi, che spaziano da toni decisi ad altri sfumati, per poi diventare
grigiastri quando l'operazione fu sospesa: azzurro, azzurro intenso, azzurro chiaro, grigio è l'esatta progressione temporale del colore delle carte dei francobolli granducali.
La classica affrancatura da 2 crazie per la corrispondenza interna al Granducato
- da Firenze a Borgo San Sepolcro, del 2 gennaio 1853 -
con un esemplare su carta azzurra di eccezionale intensità.
Lettera da Firenze a Bologna del 12 maggio 1853, affrancata ancora per 6 crazie - fuori "Convenzione" -
con un esemplare su carta azzurra di eccezionale intensità.
La riga di colore
I fogli dei francobolli granducali accoglievano 240 esemplari, organizzati in tre gruppi da 80. Attorno alla composizione era disposto filetto tipografico metallico per dare rigidità e
sostegno alla tavola, che in fase di stampa produceva una riga di colore (di spessore variabile) sugli esemplari di bordo.
"Questa riga extra risulta
dall'impronta lasciata dal listello di metallo posto all'esterno della
composizione degli stereotipi, con la funzione di mantenere sollevata la
carta laddove non si trovava un ulteriore cliché, in modo da non creare
effetti sgradevoli nella stampa risultante" - documenta la più recente letteratura sull'argomento - "Sotto
la pressione della morsa, la carta poteva infatti ripiegarsi sui lati,
quasi ad avvolgere il cliché stesso, conferendo disomogeneità al
trasferimento dell'inchiostro".
E' peraltro inusuale rintracciare esemplari dotati della riga-extra, perché per consuetudine i fogli venivano privati dei margini laterali (e poi divisi nei tre blocchi da 80) prima di procedere alla distribuzione agli uffici postali.
"In
rari casi la riga di composizione rimaneva, in tracce, parzialmente
visibile o, molto raramente, visibile nella sua interezza".
9 crazie viola bruno scurissimo, cosiddetto "prugna", su carta grigia.
Linea di riquadro superiore completa, di notevole spessore.
La Grande Macchia
I
francobolli granducali presentano delle peculiarità di stampa che
alcuni chiamano "difetti costanti" (in omaggio alla
tradizione) altri "varietà di cliché" (per enfatizzarne la natura
tecnica) e altri ancora "caratteristiche ricorrenti" (per mediare tra le
due espressioni e restituirne una visione
più moderna).
Quale che sia la denominazione - difetto costante, varietà di cliché o caratteristica ricorrente - si tratta comunque di una alterazione della tavola di stampa,
che poteva esser presente sin dall'inizio della
tiratura, o più frequentemente determinata dall'usura o dalla risistemazione dei singoli tasselli.
Le
tavole richiedevano infatti delle
manutenzioni continue, e le operazioni di pulizia e riparazione, di riposizionamento o sostituzione, venivano eseguite senza troppe
delicatezze - spesso, alla lettera, "a martellate" - e diversi francobolli
portano così addosso gli effetti del trattamento subito dal cliché
di provenienza.
La tradizionale vis polemica toscana si è estesa anche al censimento
dei difetti costanti - 205 per alcuni, 230 per altri, in ragione dei pezzi di riferimento e dei criteri per
qualificarli - ma non v'è dubbio che il più noto e celebrato sia la "Grande Macchia" - "la regina delle varietà", com'è stata nobilmente definita - una vasta deformazione ellittica al centro della vignetta, sopra il leone, di cui a oggi sono censiti con certezza appena 37 esemplari.
La "Grande Macchia"
su francobolli da 4 e 6 crazie in carta azzurra.
Graticole e Mostaccioli
I
classici timbri postali toscani - "doppi cerchi", "creste",
"graticole", "P.D.", ... - diventarono timbri annullatori a seguito
dell'introduzione dei francobolli (per invalidarli e impedirne il riuso).
Non
tutti i timbri assolvevano però a dovere al nuovo compito, come
s'intuisce da uno stralcio della lettera inviata il 2 gennaio 1852 dalla
Soprintendenza delle
Poste alla Direzione di Siena.
"Poiché
il bollo a graticola adottato per l'annullamento dei francobolli nelle
direzioni non ha fatto buona riuscita, V.S. Ill.ma ordinerà che sia
spianato da un incisore e ridotto a mostaccioli, conforme è stato fatto
per quello della Direzione di Firenze".
Il bollo cosiddetto
"a graticola"
era formato da un fine riquadro rettangolare, con angoli smussati, dal
cui centro si diramavano delle linee sottili verso gli angoli e il punto mediano dei lati (restituendo complessivamente l'immagine di una grata).
Lettera da Lucca a Parma del 6 agosto 1851, affrancata per 3 crazie con tre esemplari da 1 crazia, per coperire il costo di spedizione sino al confine toscano, e poi tassata per il cammino residuo.
Gli esemplari sono annullati con il timbro "a graticola".
Il non aver "fatto una buona riuscita" era dovuto alla leggerezza strutturale dell'impronta,
che non permetteva di colpire il francobollo con la desiderata
definitività.
Da qui l'ordine di spianare il timbro e ridurlo
"a mostaccioli"
- col richiamo alla forma di un tipico biscotto - per assicurare un
annullo che rispondesse a pieno alla sua funzione istituzionale.
L'annullo "a mostaccioli"
sul francobollo da 2 soldi.

La buona riuscita dei "mostaccioli" dipendeva pur sempre dallo scrupolo dell'impiegato postale,
come dimostra emblematicamente questa lettera da Firenze per Parigi:
l'esemplare da 9 crazie - a coprire la tariffa di primo porto dalla Toscana alla Francia,
in base alla convenzione entrata in vigore nell'ottobre del 1851 -
è annullato con una inchiostrazione così leggera, da vanificare lo scopo del timbro.
Sbarre
Aste in ferro o in legno, che attraversano le strade e inibiscono
il cammino, o che bloccano porte e finestre, e più in generale un sistema per chiudere i passaggi.
Ma
anche - in filatelia - timbri postali a tratti neri o
colorati, sottili o spessi, collocati in orizzontale, verticale o
obliquo, composti da 3, 4, 5, 6, 7, 9 o 11 elementi, inizialmente
concepiti per la
cancellazione di apposizioni e poi diventati annullatori per impedirne
il riutilizzo dei francobolli.
Le
"sbarre" furono in uso negli uffici di Arezzo, Camaiore, Empoli,
Firenze, Follonica, Fucecchio, Grosseto, Livorno, Lucca, Marciana
Marina, Pisa, Pistoia, Pontedera, S. Sofia, Scarperia, Siena e Viareggio.
Porto a Destino
Corrieri
del Governo Granducale, negli anni Quaranta dell'Ottocento: un ordinario, accompagnato da due dragoni, partiva da Firenze per Roma
alle cinque della sera del
martedì, giovedì e sabato;
la carrozza, oltre al corriere postale, poteva portare quattro passeggeri,
con un bagaglio gratis fino a 40 kg di peso a testa;
il viaggio andava prenotato presso la
Direzione delle Poste,
in Piazza del Granduca (l'odierna Piazza Pitti).
Nella
Toscana delle crazie, dei soldi e dei quattrini, la spedizione di una
lettera poteva seguire più d'un rituale: vi era il
porto pagato, con il costo del servizio coperto dal mittente al momento della
spedizione (indicato con un frego diagonale a
penna sul frontespizio, o con l’indicazione "franca", o con un segno sul retro dell'importo pagato); si aveva il porto dovuto
- il più diffuso - quando il pagamento della tariffa era segnato sul
fronte
della lettera e lasciato a carico del destinatario (che aveva però la
facoltà di rifiutare il ritiro della missiva e quindi di non pagare); e
poi la franchigia, prevista per le amministrazioni pubbliche (che per goderne dovevano apporre il bollo che ne segnalava il diritto).
Se
la corrispondenza avveniva con uno Stato non convenzionato
postalmente, o lo attraversava, il costo della missiva era normalmente
pagato dal mittente sino al confine, e il destinatario provvedeva a
saldare l'integrazione di costo per la consegna dal confine al proprio
domicilio.
Quale
che fosse la modalità, il compito del servizio postale rimaneva
invariabilmente lo stesso: consegnare la lettera, portarla nel luogo di
destinazione, "a destino", come si diceva all'epoca, per indicare
l'indirizzo del destinatario.
L'annullo
"P.D." - "Porto [pagato fino a] Destino", "Port Debourse" - era
utilizzato già prima dell'introduzione dei francobolli, per le
corrispondenze dirette all'estero sgravate di qualsiasi onere per il
destinatario (già pagate per intero dal mittente, all'atto della
spedizione).
Divenne
poi un annullatore dei francobolli, utilizzato in una varietà di
combinazioni con altri timbri, alcune con ogni probabilità non regolamentate.
Fascetta per stampati, da Firenze a Palazzuolo di Romagne, dell'1 aprile 1854,con una coppia orizzontale del quattrino - tariffa di doppio porto per le stampe verso l'estero -
annullata col timbro "PD" in cartella.
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Lettera da Livorno a Carrara (Ducato di Modena) del 6 dicembre 1853,
affrancata con un 2 crazie (interspazio di gruppo in alto)
a coprire la tariffa di primo porto, prima distanza,
per le corrispondenze tra gli Stati della Lega Austro-Italica.
Lettera da Livorno a Modena del 4 aprile 1851, affrancata con un 4 crazie - tariffa di primo porto, seconda distanza, nella Lega Austro-Italica -
annullato col timbro "P.D." impresso in rosso.
Creste
I
francobolli nascono come oggetti per il pratico uso, con una funzione
precisa: assolvere il pagamento anticipato per la spedizione della
corrispondenza.
Qualunque
variazione nella loro produzione aveva quindi una motivazione pratica,
funzionale: il 2 soldi andò fuori corso per la scarsa frequenza di utilizzo (e perché divenuto ridondante per classica tariffa da 3
crazie dopo l'introduzione del francobollo da 1 crazia); il cambio di
filigrana -
dalle corone alle linee ondulate -
fu probabilmente dettato dalla volontà di inibire la pur remota
possibilità di esemplari sprovvisti del basilare dispositivo
anti-falsificazione; il 60 crazie non fu ristampato (su carta filigranata
a linee ondulate) perché se ne avevano già abbondanti scorte dalle tirature precedenti; il fatto stesso che la vignetta dei
francobolli sia rimasta invariata - per tutti i nove anni di validità
postale dell'emissione - è emblematico della percezione funzionale che si aveva di questi oggetti (fatta salva la loro dimensione istituzionale).
La stessa logica si ritrova nei timbri postali, che assolvevano
scopi precisi, e venivano rinnovati solo in risposta a nuove esigenze.
Negli anni '40 dell'800 il volume di traffico postale aumentò
vertiginosamente, sulla spinta di un progresso economico e sociale
innescato - tra l'altro - dai nuovi mezzi di trasporto.
Biglietto di invito all'inaugurazione della strada ferrata Leopolda,
la prima ferrovia toscana, datata 13
marzo 1844.
Le
Poste granducali fronteggiarono le nuove esigenze di
raccolta e smistamento della corrispondenza con un notevole incremento
di organico, ma anche attraverso una serie di provvedimenti
amministrativi che
cambiarono forma e sostanza delle timbrature.
Il
1844 segna uno snodo fondamentale di questa trasformazione, col
passaggio dai bolli lineari (col solo nome della località) ai bolli a
doppio cerchio (col nome del luogo e il datario interno) per
tracciare con maggior precisione i tempi e i percorsi della
corrispondenza.
"Per
sempre più tutelare e chiaramente constatare il regolare corso e
recapito, senza ritardo alcuno, delle corrispondenze alla postale
amministrazione affidate" - si legge in una circolare a firma del Sovraintendente Pistoj, indirizzata alle Direzioni postali - "è
venuta questa Gen. Sovrintendenza nella determinazione di adottare il
sistema che ogni lettera riceva in partenza, in unione al consueto bollo
del rispettivo luogo ed uffizio di impostazione, quello pure del giorno
della partenza stessa, ed in arrivo, in aggiunta all'attuale bollo del
giorno, quello dell'ufficio ove giunge e dal quale è distribuita. Nel
rimettere a tal fine a vs. ill.ma gli occorrenti bolli, sono a
prevenirla di ordinare il costante in eccezionale uso a datare dal 1°
agosto prossimo".
Da inizio agosto scattò dunque l'obbligo di apporre anche il datario sul
fronte di ogni lettera in partenza, e i bolli utili allo scopo - i doppi
cerchi - furono forniti contestualmente alle circolari.
Nella
fase di transizione - consapevole dei probabili ritardi con cui i doppi cerchi sarebbero arrivati nelle piccole distribuzioni - l'amministrazione decretò un
secondo timbro circolare, di forma diversa per ciascuna Direzione postale (Arezzo, Firenze, Livorno, Pisa e Siena, a cui si sarebbe
aggiunta Lucca, nel 1847, dopo l'annessione al Granducato): era
il "tondo a cresta", che si affiancò al "doppio cerchio" secondo le disposizioni del 14 dicembre 1844 (con oggetto "Nuovo bollo da apporsi alle lettere delle buche, ed a quelle dei fidati e sistema da osservarsi per l'applicazione dei bolli").
"Occorrendo
talvolta negli uffizi postali vuotare le buche delle lettere anche
nelle ore in cui può trovarsi assente dall'uffizio il Direttore, o chi
sotto la di lui responsabilità, custodisce i bolli, questa generale
Sopraintendenza, onde non rimanga fino al ritorno del ministro suddetto
impedita la scelta e rispettiva tassazione delle lettere che fossero
raccolte nelle buche, è venuta nella determinazione di prescrivere che
sia fatto e spedito a ciascuna delle primarie Direzioni un altro bollo
con l'indicazione del luogo, giorno, mese ed anno di forma però diversa
da quello ordinario, col quale nuovo bollo debbano marcarsi le lettere
tutte per l'interno del Granducato trovate in dette buche.
Il nuovo
bollo [...] dovrà essere apposto esclusivamente alle lettere che
verranno gettate nelle buche ed a quelle da distribuirsi in codesto
ufficio, dirette ai godenti fido o esenzione da tassa, ancorché esse
provengano dall'estero [...].
Questa distinzione di bolli tra le lettere che formano debito o no ad un uffizio [...]
viene ordinata col solo fine di rendere agevole il modo di
sorprendere le frodi che potessero commettersi da qualche subalterno
impiegato od inserviente a danno del R. Erario".
La
casistica era piuttosto variegata, e di sicuro complicata da ricordare, cosicché la Soprintendenza fornì uno specchietto riepilogativo, il cui gergo
d'epoca è tutta una poesia.
Rimane
ancora da dimostrare il mantenimento del sistema a seguito
dell'introduzione del francobollo - anche se l'eventualità è la più
probabile - ma di sicuro le "creste" diventarono timbri annullatori,
come testimoniano gli esemplari granducali che le portano addosso.

L'1 agosto 1851 entra in vigore la Convenzione tra il Granducato di Toscana e il Regno di Sardegna,
per il trasporto franco sino a destino della corrispondenza tra i due Stati.
Le tariffe erano definite in base al tipo di trasporto ("via mare" o "via terra")
e questa lettera da Firenze a Genova ne è una testimonianza:
l'esemplare da 6 crazie copriva la tariffa del primo porto della corrispondenza "via terra"
(equivaleva a 40 centesimi per il percorso inverso, dagli Stati Sardi verso la Toscana).
Sul fronte è presente il bollo lineare "DOPO LA PARTENZA",
che assolveva a una funzione giustificativa:
informava che la consegna della lettera all'ufficio di posta
era avvenuta successivamente alla partenza del dispaccio del giorno,
così da giustificare il maggior tempo richiesto per il recapito al destinatario.
Il francobollo dei banchieri
Il
banco ricoperto da un panno verde, ingombro di monete e sacchetti di
denaro, con dietro degli uomini dalle mani adunche, che inforcano gli
occhiali per segnare debiti e crediti nei loro libri contabili: sono
questi gli elementi consueti nella rappresentazione dei professionisti
del denaro, nell'arte europea del tardo Medioevo, che ne restituisce un'immagine fosca, com'è spesso ancor oggi la reputazione dei banchieri.
Serve
a poco scandalizzarsi, però, ché non appena in una società
s'introduce la "moneta" - uno strumento che funzioni da unità di misura
dei valori, intermediario degli scambi e riserva di ricchezza - si
configura in automatico un principio di attività bancaria, con
le sue logiche e i suoi modi di operare.
I
primi banchieri erano naturalmente i mercanti più facoltosi, già in
possesso delle basi per amministrare i flussi di denaro (contatto col settore monetario dell'economia, conoscenze
tecnico-contabili, rapporti personali nelle principali piazze commerciali,
informazioni sull'attività economica). Così
come - al principio - il banchiere era indistinguibile dall'usuraio,
giacché la Chiesa condannava l'idea stessa di tasso di interesse (nummus non parti nummos, col richiamo a un noto principio aristotelico) e banchieri e mercanti erano figure che esercitavano illecita negotia, o comunque inhonesta mercimonia, entrambi accomunati - nella gerarchia sociale - ai giullari e alle prostitute.
Ma
la prospettiva dell'inferno non era sufficiente a frenare uno sviluppo economico dalle radici salde e spesse.
Il trucco fu nascondere il prestito dietro il contratto di cambio: il
banchiere affermava di non prestare denaro al mercante bisognoso di
liquidità - in particolare di mezzi con cui pagare le merci acquistate
all'estero - ma di negoziare cambiali pagabili su un'altra piazza,
denominate in una diversa moneta.
La quota di interesse si mascherava così nel prezzo della tratta, chiamata lettera di cambio,
che non era un semplice pagamento, ma - come dice il nome -
un'operazione di cambio di valuta: il mercante partiva per il suo
viaggio con una lettera rilasciatagli da un banchiere, e arrivato a
destinazione la scambiava in moneta locale per pagare le merci, presso
un banchiere del luogo che si rivaleva poi sul banchiere iniziale.
E
se nell'immaginario collettivo la Toscana è collegata all'arte e alla
cultura, non di minor importanza fu il suo ruolo nello sviluppo di
questa tecnica d'avanguardia per la finanza dell'epoca: Francesco di
Marco Datini - passato alla storia come il mercante di Prato - è
considerato l'inventore stesso della lettera di cambio, per quante se ne
son trovate nel suo archivio, al punto da permettete una puntuale
ricostruzione della vita e degli affari di un mercante della seconda
metà del XIV secolo.
La capacità di Francesco di Marco Datini di condurre gli affari col giusto piglio
- "in nome di Dio e del guadagno" come si legge nei suoi libri contabili -
lo ha reso il simbolo dell'intraprendenza economica toscana:
un capitalista ante-litteram, ma anche un animo credente e benefattore,
che lasciò tutto il suo patrimonio ai poveri di Prato.
I
Signori del Denaro entrarono poi fatalmente in contatto coi Signori
del Potere, che per lungo tempo sono stati i Signori della Guerra, affamati di finanziamenti per portare avanti le loro imprese
belliche.
E' celebre e famigerata - a Firenze - la storia dei Bardi e dei Peruzzi:
supportarono finanziariamente le guerre di Edoardo III d'Inghilterra, ma
nel 1340 il Re si rifiutò di saldare un debito divenuto enorme, e la
sua insolvenza provocò sconquassi sull'intera società
fiorentina, come raccontano le cronache dell'epoca di Giovanni Villani.
La Toscana vanta dunque una tradizione di mercanti e banchieri, che nel bene o nel male ne hanno scritto un pezzo di storia.
E ancora a meta '800 Firenze rimaneva una città di grandi banchieri, con un'attività
alimentata da industriali e possidenti, bisognosa di relazioni
d'affari con analoghe figure di Stati esteri, anche attraverso la spedizione
di grossi plichi (che talvolta contenevano persino somme di denaro).
Serviva
perciò un francobollo idoneo allo scopo, dal facciale congruo a una
tariffa elevata, per non tappezzare le lettere con esemplari di taglio
minore.
Quel
francobollo apparve sulla scena nel novembre del 1852: era il 60 crazie, il
valore facciale più elevato di tutti gli Antichi Stati Italiani.
Filigrana a linee ondulate
Quattrini e Soldi
Il
francobollo da 2 soldi andò fuori corso nell'ottobre del 1852, da un
lato perché il suo utilizzo isolato si era rivelato minimale, dall'altro
perché l'emissione del valore da 1 crazia rendeva più semplice - con
l'abbinamento al 2 crazie - l'affrancatura da 3 crazie per far viaggiare
la corrispondenza sino al confine (rispetto all'equivalente
affrancatura da 5 soldi).
I
valori denominati in quattrini e soldi rimasero così soltanto due,
nelle tirature avviate nel 1857 su carta filigranata a linee ondulate.
Il quattrino e il soldo del 1857.
Un leone, tre ruggiti
La
magia della filatelia classica è nel poter creare dei meravigliosi
rimandi reciproci tra francobolli uguali e pur ogni volta diversi.
Anche
un semplice 2 crazie - il costo di un'affrancatura standard, di una
lettera per l'interno di peso inferiore ai 6 "denari" - può diventare un
piccolo gioiello, giocando sulle sfumature di colore (azzurro,
azzurro verdastro, verde grigio) e la varietà degli annulli ("a
sbarre", "a cresta", "P.D.").
La diversità nell'uguaglianza, nei francobolli granducali.
Interspazio
I francobolli granducali nascevano su fogli di 240 esemplari, disposti in 3 gruppi da 80 (5 righe di 16 pezzi) separati
da un'interspazio.
Era
prassi dividere i gruppi prima della consegna dei fogli per la
vendita, per cui non si hanno coppie con l'interspazio, ma al più
esemplari che lo mostrano (a volte con una parte del
francobollo adiacente).
Interspazio superiore Interspazio inferiore Interspazio superiore
Creste rosse e nere

Un Marzocco tra i Lorena e i Savoia
Il 26 aprile 1859 la Toscana è il teatro di "una rivoluzione finita a desinare", con la sarcastica immagine di Vincenzo Salvagnoli.
Artatamente sensibilizzato dal diplomatico piemontese Bon Compagni, con promesse di carriera politica, il Ministro della Guerra suggerisce al Granduca di rinunciare a sopprimere la rivolta, di non mettere alla prova la fedeltà dell'esercito, per evitare amare sorprese.
Il Sovrano avverte un clima di sfiducia e preferisce battere in ritirata, ma non per codardia, arrendevolezza o disinteresse, non per
salvare sé stesso piuttosto che tutelare i suoi dominî.
Leopoldo II a Firenze,
Francesco V a Modena e Luisa Maria a Parma, stanno semplicemente seguendo il canone di una dignità che
nell'Ottocento segna ancora la differenza: vedono nel proprio
volontario allontanamento la più nobile ed elegante forma di protesta, in attesa che
i tavoli diplomatici ripristino lo
status quo,
come li ha abituati la storia degli ultimi decenni.
Il Granduca aveva lasciato Firenze una prima volta nel febbraio del 1849, a seguito del trambusto del "Quarantotto", per rientrarvi nel luglio 1850, preceduto e protetto da una cospicua
guarnigione
austriaca.
Il giornale satirico "Il Don Pirlone a Roma" ricamò sopra l'episodio,
con una vignetta intitolata "I nobili schiavi", in cui Leopoldo rientra a Firenze
sulle braccia dei mastini austriaci e acclamato dai docili cagnolini della nobiltà locale.
Il nuovo congedo del Granduca - il 27
aprile 1859 - non ha nulla di drammatico o tumultuoso, avviene in punta di piedi, in un clima sereno e persino commovente. "Addio, babbo Leopoldo!" gridano i fiorentini - col cappello in mano, in segno di rispetto - al passaggio della carrozza della famiglia granducale, scortata da quei soldati che avrebbero
dovuto tradirla.
L'evento suscita più apprensioni alla Corte di Napoli, dove il Granduca è soprannominato affettuosamente
zì Popò di Toscana (la Granduchessa Maria Antonia era la sorella di
Re Ferdinando) per distinguerlo dal Conte di Siracusa, anch'egli chiamato
zì Popò.
Estratto da "La Fine di un Regno", di Raffaele de Cesare (Volume I). Il Re di Napoli ha intuito che il moto rivoluzionario ha cambiato veste, per trasferirsi dalle barricate sulle strade
agli intrighi sui tavoli diplomatici, dalle urla in piazza alla spregiudicatezza politica.
Il Granduca è appena fuori da Firenze, e Ubaldino Peruzzi, Vincenzo Malenchini e Alessandro Danzini danno subito corpo a un Governo Provvisorio Toscano - "
puramente e semplicemente [...]
istituito pei bisogni della pubblica sicurezza" - che già il giorno dopo, il 28 aprile, offre la dittatura a
Vittorio Emanuele II.
Il Re di Sardegna ripiega su una linea di prudenza, non sapendo quale sia l'opinione di Napoleone III sull'eventuale annessione: accorda soltanto una generica protezione e nomina Commissario straordinario quel Bon Compagni già ambasciatore piemontese presso il Granducato.
L'11 maggio prende vita un nuovo Gabinetto di Governo con personalità locali - Bettino Ricasoli, Cosimo Ridolfi, Enrico Poggi e Raffaele Busacca - che preserva l'immagine di una Toscana indipendente e sovrana, autonoma nelle decisioni.
Non è una scelta di facciata, di mero rispetto delle forme, ché varie anime si agitano nel consesso governativo: Ricasoli e Salvagnoli sponsorizzano la fusione col Piemonte, Ridolfi e Poggi caldeggiano invece l'autonomia, e nel mezzo arriva il Principe Gerolamo Napoleone - a Livorno, il 23 maggio - suscitando non pochi imbarazzi tra Torino, Parigi e Firenze.
Non solo i francobolli toscani rimarranno a lungo gli stessi - servirà arrivare al gennaio del 1860 per
l'emissione "patriottica" - ma la Soprintendenza delle Poste metterà addirittura in circolo un nuovo esemplare da 9 crazie - l'ultimo valore della serie su filigrana a linee ondulate - quando la dinastia dei Lorena era lontana ormai da tempo e Casa Savoia non si era ancora ufficialmente fatta viva.
Il 9 crazie del 1859:
emesso in periodo di Governo Provvisorio,
ma parte di una serie del periodo granducale:
il testimone di una Toscana ancora ballerina,
tra un Granduca andato via da mesi,
e un Re che si faceva attendere.
Riferimenti bibliografici .png)
FERRUCCIO LUCINI
Granducato di Toscana - Studio tecnico sulla preparazione delle tavole e della stampa
("Vaccari Magazine", n. 24, novembre 2000)
LUIGI SIROTTI
Note storico postali e caratteristiche dei francobolli
("Vaccari Magazine", n. 24, novembre 2000)
ANDREA BRIZO GRADENIGO
("Cronaca Filatelica", n. 271, marzo 2001)
GIUSEPPE PALLINI
Cronache Postali del Granducato - Ragno o graticola...
("Vaccari Magazine", n. 31, maggio 2004)
FABRIZIO FINETTI
Toscana, 1° Agosto 1844: tutti "al fronte"
("Vaccari Magazine", n. 30, ottobre 2003)
Toscana - 14 dicembre 1844. Doppio cerchio o "banderuola"?
("Vaccari Magazine", n. 35, maggio 2006)
TIZIANO NOCENTINI
ALESSANDRO PRATESI
Una precisazione sul 9 crazie del 1859, "tra i Lorena e i Savoia".
RispondiEliminaI francobolli granducali impropriamente detti "della seconda emissione" - e più correttamente qualificabili come seconda tiratura, o con filigrana del secondo tipo (a linee ondulate) - sono sprovvisti di supporti documentali d'epoca che ne giustifichino l'esistenza (il cambio di filigrana, con tutta evidenza, fu considerata una mera variante tecnica, che non necessitava di un atto formale).
Ne segue che per questi esemplari non esiste un "primo giorno" in senso proprio - rigoroso, istituzionale - ma solo "prime date d'uso" (riscontrate dai collezionisti).
Ora, la prima data conosciuta del 9 crazie del 1859 è l'8 luglio, e questo porta a congetturare - come si afferma nel post - che l'esemplare sia stato messo in circolo dopo che il Granduca Leopoldo aveva lasciato la Toscana.
Nel numero 36 del "Vaccari Magazine" - novembre 2006 - si afferma invece (a pagina 23) che "[n]ei documenti dell'epoca si rileva che venne distribuito 'ufficialmente' dal 27 aprile 1859", cioè il giorno stesso della partenza del Granduca, e primo giorno del Governo Provvisorio.
In filatelia - disgraziatamente - persiste ancora un'abitudine contraria a ogni precetto scientifico e metodologico, e prima ancora offensivo per il buon senso: l'occultamento delle fonti (e talvolta mi viene il dubbio che le fonti sono occultate semplicemente perché... non ci sono).
Quando si dice che "[n]ei documenti dell'epoca si rileva che..." servirebbe l'accortezza di caratterizzarli per bene questi benedetti "documenti d'epoca". Cos'erano, esattamente? Una nota della Soprintendenza delle Poste? Una disposizione del neo-istituito Governo Provvisorio? O che altro?
Perché - insomma - suona ben strano che vi sia un documento specifico per il 9 crazie (mancando invece per tutti gli altri) e soprattutto che sia passato così tanto tempo tra la sua presunta introduzione (27 aprile) e la prima data nota (8 luglio).
Sarà sicuramente come afferma il "Vaccari Magazine", non ne dubito, ma al tempo stesso torno a dire - come già fatto a proposito dell'opera di De Angelis e Pecchi: https://tesoridicarta.blogspot.com/2025/10/questione-di-metodo-e-di-stile-lezione.html - che non è così che si fa in ambito scientifico, non è così che si trasmette un'immagine appropriata della filatelia, non è così che la si fa apparire come una disciplina meritoria di studio, ricerca e approfondimento.